CARBURI, Marino
Nacque dal conte Demetrio in Argostoli, capoluogo di Cefalonia, nel 1729, secondo di tre fratelli. Compiuti gli studi ginnasiali sulla Terraferma veneta, probabilmente a Padova, si iscrisse all'ateneo di quella città, dove si addottorò in matematica pura e applicata, nonostante che il padre lo volesse avvocato. Il suo principale biografo, il Mazarakis, afferma che il C. avrebbe studiato a Bologna, raggiungendo il fratello maggiore Giovanni Battista studente in medicina presso la stessa università. Ma la notizia non è del tutto esatta, in quanto tutti e tre i fratelli Carburi, come era naturale per dei sudditi della Serenissima, frequentarono in un primo tempo l'università di Padova.
Ultimati gli studi, il C. tornò in patria, ma fu costretto a fuggirne per motivi di ordine penale. "Une passion" secondo quanto egli stesso ci dichiara nell'Avertissement di una sua opera (Monument élevé à la gloire de Pierre-le-Grand) - "toujours impetueuse dans la jeunesse, mais cent fois plus tyrannique encore dans les climats meridionaux, lui fît commettre une action de violence". A causa di quest'atto di violenza, il C., che non volle, come avrebbe potuto, "antivenire gli effetti della legge comprando il perdono" (De Tipaldo, IX, p. 194), preferì salvare l'onore suo e della sua famiglia con un volontario esilio, inseguito dal bando della Serenissima. "Un exil nécessaire, la plus cruelle peine, sans doute, pour celui qui eût le bonheur de naître sujet d'une republique sage et eclairée, fut la punition rigoureuse qu'il s'imposa à lui-même".
Sotto il falso nome di cavalier Lascari si rifugiò a Pietroburgo ove entrò in contatto con alcuni suoi compatrioti: fu proprio un cefaleno, il generale della guardia imperiale Melisino, che lo presentò a corte e lo fece nominare luogotenente colonnello del genio. Non abbiamo altre sue notizie fino all'inverno 1768-69, quando la corte decise di elevare un monumento equestre alla gloria di Pietro il Grande, proporzionato nelle misure al ruolo e alla statura storica del grande zar.
Il progetto approvato, quello del Falconet, prevedeva una statua di bronzo raffigurante Pietro il Grande che sopra un cavallo rampante calpesta e uccide un serpente. Fusi assieme il cammino dello zar e quello della Russia, a renderne l'idea dell'impervietà, si era deciso di porre la statua su un basamento a forma di rupe scoscesa. Iniziarono subito a corte le polemiche sulla reperibilità e la trasportabilità di un masso delle dimensioni richieste per il basamento, tanto che alla fine lo stesso Falconet aveva dovuto accettare l'idea di far cementare tra loro più massi.
Facendo notare che, se composito, un simile basamento non avrebbe retto all'usura del tempo, il C. si assunse la responsabilità del trasporto di un monoblocco sufficiente, presentando alla corte il progetto del macchinario necessario. L'imperatrice, il Betxky, "ministro ai pubblici edifici", e lo stesso Falconet discussero e approvarono il progetto dei Carburi.
"Nella vana ricerca della pietra era trascorsa una intera estate" (De Tipaldo), quando finalmente si ebbe notizia di un enorme masso erratico di granito, semisprofondato in una palude. Si trattava quindi di trasportarlo fino a Pietroburgo. A ciò è legata la fama dei Carburi. Che si trattassero di 4.000.000 di libbre (Zani) o di 3.200.000 (Milizia) o di 3.000.000 (come afferma il C. stesso), sta di fatto che i contemporanei ebbero coscienza che si trattasse della più grande massa mai trasportata a memoria storica.
Il masso fu posto sopra una specie di chassis, la cui struttura principale era costituita da due travi di legno parallele. Nella parte inferiore di queste due travi, per tutta la loro lunghezza, il C. inserì una scanalatura in lega metallica (e forse qui sta, dato il livello della siderurgia dell'epoca, il suo maggior merito), di sezione trapezoidale con i lati obliqui fortemente arrotondati. Lo chassis scorreva su analoghe travi, con uguali scanalature rivolte verso l'alto, per mezzo dell'interposizione di sfere della stessa lega delle scanalature. Combinando e anticipando l'idea della ferrovia e del cuscinetto a sfera, il C. risolse in questo modo il problema dell'attrito. Un altro chassis, di forma circolare, fu ideato per far "changer de route" alla massa in movimento.
Mentre la massa granitica avanzava, arrampicato sulla roccia, un piccolo esercito di scalpellini già sbozzava il disegno del Falconet. Tutta Pietroburgo, persino la corte al completo, andò ad assistere allo spettacolo rappresentato dalla "montagna che cammina sulle uova" (Milizia). Il trasporto durò sei settimane, per percorrere quattordici miglia, quattro via terra, dalla palude alla Neva, e dieci lungo il fiume fino a Pietroburgo.
Il C. ebbe occasione di mostrare la sua genialità anche quando si trattò di organizzare il trasporto per nave. Il barcone predisposto dai genieri dell'ammiragliato, infatti, non resse al peso mal distribuito del masso, e cominciò a cedere. Il C., fatto riequilibrare con nuovi pesi il carico della nave, ordinò si accostassero due fregate alle fiancate del barcone e, fatto un ponte, vi fece caricare sopra il masso. Costruì quindi un piedistallo, con colonne di legno poste a raggiera, di modo che il peso del masso si distribuisse ugualmente sulle strutture portanti del barcone e vi fece riadagiare il blocco di granito. Infine tutte e tre le imbarcazioni, saldate assieme, in modo che le fiancate di quella centrale non cedessero sotto la pressione delle travi del piedistallo, si mossero, trascinate da riva, verso Pietroburgo.
La "megalodoros" imperatrice compensò abbondantemente il C. per la sua impresa e lo nominò luogotenente di polizia con la direzione del Corpo mobile dei cadetti di terra, nonché aiutante di campo del consigliere segreto del governo Betzky, ministro, dei Pubblici edifici e delle arti. Nel 1777 il C. chiese licenza e si recò a Parigi, dove incontrò il fratello Giovanni Battista che lo introdusse a corte. Con la collaborazione di questo (che curò l'esame chimico-fisico di un campione del granito), il C. pubblicò quindi il suo, libro (Monument élevé à la gloire de Pièrre-le-Grand, ourelation des travaux et des moyens mécaniques qui ont été employés pour transporter à Pétersbourg un rocher de trois millions pesant,destiné à servir de base à la statue équestre de cet impereur; avec un examen physique et chymique du même rocher..., Paris 1777), in cui descriveva tutti i mezzi meccanici messi in opera per il trasporto. Sempre con l'aiuto e l'appoggio del fratello, allora uno dei medici della famiglia reale, ottenne che un modello della sua macchina fosse depositato presso la scuola militare di Parigi, e una patente reale che gliene concedeva il brevetto.
Nello stesso anno si recò di nuovo a Pietroburgo a raccogliere nuove prove della generosità di Caterina e a chiederle il definitivo licenziamento. Fatto ritirare per intercessione dell'imperatrice il bando che ancora vigeva contro di lui, poté finalmente rimettere il piede in patria nel 1778, anche se il viaggio non fu dei più fortunati: perse infatti in un naufragio il figlioletto che gli era nato da una giovane donna sposata a Parigi.
Dopo una breve permanenza nella sua isola, accarezzò il progetto di coltivare alcune piante esotiche. Si mise quindi in viaggio alla volta di Venezia per cercare di cointeressare all'impresa il governo. Convinto più dalla fama del C. che dalla economicità dei suoi progetti, il Senato gli concesse comunque il terreno semipalustre che egli aveva richiesto. Tornato in patria, avviò immediatamente i lavori di bonifica e la coltivazione della canna da zucchero, dell'indaco e del cotone. A tal fine fece venire dalla Grecia un centinaio di braccianti, mentre il governatore dell'isola gli concedeva quattro soldati e un sergente per sua sicurezza e sorveglianza.
Le culture riuscirono, e la cosa ebbe tanta risonanza che molti viaggiatori di passaggio si recavano nei poderi del conte per ammirare queste primizie del suolo e del clima europeo. Ma sebbene il C. inviasse a Venezia alcuni campioni dei suoi raccolti, non sembra che l'impresa fosse molto redditizia. La fonte principale dei suoi redditi, questa era la fama, continuò ad essere la generosità di Caterina di Russia.
Il C. morì assassinato dai suoi braccianti nell'estate del 1782. Le circostanze della sua morte non sono però chiare. Non si sa infatti se gli uccisori avessero agito di propria iniziativa, a scopo di rapina, o se fossero stati aizzati dai proprietari terrieri confinanti che, avendo perso i diritti boschivi è di pascolo sul terreno donato al C., non vedevano certo di buon occhio le sue imprese.
Ma in questa vicenda non è da escludere lo zampino e la "politiké zelotypìa" (gelosia politica) del governo veneto. Era infatti il periodo in cui Caterina II andava accarezzando l'idea della creazione nella penisola balcanica di un impero ortodosso e, d'accordo con l'imperatore Giuseppe II nel tentativo di smembrare il sempre più scricchiolante Impero ottomano, andava accendendo focolai di guerriglia e di ribellione facendo leva sui sentimenti religiosi dei sudditi cristiani dei Turchi e sul particolarismo delle province periferiche. Né era un mistero che l'accordo tra Austria e Russia prevedeva l'annessione ai territori di Vienna di alcune isole della Dalmazia veneziana.
Sta di fatto che nell'estate del 1782 i Cefaleni parteciparono ad una scaramuccia navale contro i Turchi e che combatterono sotto ufficiali e bandiera russi. Capo ed ispiratore dei "patrioti" cefaleni era considerato, a torto o a ragione, proprio il Carburi. Tra l'altro pochi giorni prima della sua fine violenta, il governatore aveva ritirato i cinque soldati dai suoi poderi.
Il fratello maggiore del C., GiovanniBattista, nacque ad Argostoli nel 1722. Dopo aver ottenuto la laurea in medicina nella università di Padova, fu chiamato il 6 ott. 1750 da Carlo Emanuele III a occupare la seconda cattedra di medicina teorica presso l'università di Torino, da cui fu trasferito alla prima cattedra il 26 sett. 1754. Frattanto nel 1751 era stato nominato medico del regio ospedale di Torino. Nel 1762 partì per un lungo viaggio d'aggiornamento in Europa, soggiornando in Francia, Olanda, Inghilterra e Finlandia, ove raccolse vario materiale per la sua raccolta di storia naturale che costituirà poi una sezione del Museo di antichità di Torino. Lasciato l'insegnamento nel 1770, nel 1773 seguì come medico personale a Parigi Maria Teresa di Savoia, andata sposa a Carlo conte d'Artois.
Ritornato in Italia nel 1795, per interessamento del fratello Marco ebbe la cattedra di fisiologia nell'università di Padova. In questa città morì probabilmente nel 1801.
Fonti e Bibl.: Efemeridi letter. di Roma, VII (1778), col. 398; F. Milizia, Dizion. delle belle arti e del disegno…, Bassano 1797, I, pp. 156 s.; P. Zani, Encicl. metodica... delle Belle Arti, I, 5, Parma 1820, pp. 303, 365; A. Mazarakis, Biographiai ton endoxon andron tes nesou Kephallenias, Venezia 1843, pp. 71-118; E. De Tipaldo, Biografia degli ital. illustri..., IX, Venezia 1844, pp. 194-205; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia..., Appendice, Venezia 1857, pp. 332-335; G. Plumidis, Gli scolari greci nello Studio di Padova, in Quaderni per la storia dell'univ. di Padova, IV (1971), p. 138. Su Giovanni Battista cfr. A. Mazarakis, cit., pp. 176-189; De Tipaldo, cit., IX, pp. 106-109.