CARAVELLO, Marino
Appartenente a una nobile famiglia veneziana, nacque intorno alla metà del secolo XIV da Luca, e iniziò presto una brillante carriera politica che lo doveva portare ai più alti uffici della Repubblica. La circostanza che nei documenti gli viene spesso attribuito il titolo di "ser" lascia supporre che avesse conseguito il dottorato, probabilmente in diritto come si addiceva a una persona del suo rango, ma non sappiamo quando né dove. Se non si tratta di un suo omonimo, nel 1388 partecipò alle operazioni militari contro il signore di Padova Francesco da Carrara il Vecchio, che in quel momento aveva posto l'assedio a Treviso. Al C. era stato affidato il comando di ventiquattro barche con le quali, a quanto sembra, doveva risalire il Brenta ("ad aperiendum fluminis cursum" dice il testo del mandato) per tagliare la strada del ritorno alle milizie carraresi.
Negli anni successivi gli incarichi affidatigli si susseguirono con grande rapidità. Dal gennaio al maggio 1391 fu consigliere ducale per essere eletto poi, l'11 giugno, ambasciatore in Siria, insieme con Niccolò Valaresso. Si trattava di raggiungere un accordo con il sultano, soprattutto a tutela del commercio e dei mercanti veneziani che operavano nei territori sottoposti alla sua giurisdizione. Una lunga istruzione del 24 giugno fissava tutti i punti da discutere e gli ambasciatori lasciarono Venezia con la cocca di Alessandria, verso la fine dello stesso mese. Dal 1396 al 1398 il C. ricoprì la carica di castellano di Corone e di Modone, dal 1399 al 1401 quella di bailo e capitano di Corfù. Nel marzo del 1402 fu nominato per la prima volta capitano del Golfo, cioè supremo comandante della flotta veneziana nell'Adriatico, ed esercitò questo ufficio, di grandissima importanza militare, fino al dicembre dello stesso anno. Tornato in patria il 24 marzo del 1403, egli venne eletto ambasciatore presso il Turco, ma rifiutò l'incarico. Andò invece nel settembre come podestà a Capodistria, dove rimase fino all'inizio del 1405, anno in cui gli fu affidata nuovamente la carica di capitano del Golfo. In questa veste riuscì a sottomettere al dominio veneziano i Comuni albanesi di Dulcigno, Antivari e Budua. I patti di dedizione di questi Comuni furono infatti ratificati dal doge nel 1406, dopo il ritorno del C. a Venezia.
Se il C. fino ad allora aveva servito la Repubblica prevalentemente nei territori di Levante, gli toccò ora una carica in Terraferma di grande delicatezza politica: fu nominato infatti, all'inizio del 1406, podestà di Padova da pochi mesi passata sotto il dominio veneziano dopo la sconfitta dei Carraresi. Successe nell'ufficio a Tommaso Mocenigo, il futuro doge, prima (nel febbraio) come vicepodestà, poi dal marzo fino alla primavera del 1407 come podestà. Tornò a Padova ancora una volta nel 1409, questa volta in veste di capitano, come risulta dagli atti di alcuni dottorati che si svolgevano alla sua presenza.
Nel frattempo aveva già partecipato più direttamente al governo della Repubblica. Nell'estate del 1407 funse, insieme con altri illustri suoi concittadini, come rappresentante del doge e del Comune nelle trattative con Niccolò d'Este, Francesco Gonzaga e Pandolfo Malatesta signore di Brescia, conclusesi con la stipula di un'alleanza. Verso la fine dello stesso anno (le istruzioni portano la data del 20 dicembre) gli fu affidata un'importante missione che aveva per scopo la composizione del grande scisma della Chiesa. Insieme con Zaccaria Trevisan si doveva recare presso Gregorio XII (il veneziano Angelo Correr) e presso l'antipapa Benedetto XIII per indurli a rinunciare al papato. Ma se è fuori dubbio che gli ambasciatori si incontrarono con Gregorio XII a Siena dove allora questi risiedeva (è conservato infatti il testo di una loro orazione pronunciata in quest'occasione), non è altrettanto sicuro che essi continuassero il viaggio fino in Spagna, una volta ricevuto il rifiuto di Gregorio XII.
Nel dicembre del 1410 fu eletto tra i procuratori di S. Marco ai quali spettava l'amministrazione dell'immenso patrimonio della chiesa di S. Marco. Quest'ufficio, di grandissimo prestigio ed inferiore di rango solo al dogato, era conferito a vita.
Negli anni seguenti gli furono affidate altre importanti missioni diplomatiche. Nel 1411 fu mandato a Roma, insieme con Antonio Moro. Nel 1415 egli si recò insieme con Francesco Foscari a Firenze, allo scopo di promuovere una lega contro il re dei Romani Sigismondo, il quale come re d'Ungheria rimaneva uno degli avversari più temibili della Repubblica, nonostante che la tregua di Castellotto del 1413 avesse interrotto temporancamente le ostilità. Nel 1417 fu scelto con Antonio Contareno, Fantino Michiel e Francesco Foscari a far parte dell'ambasceria che si doveva recare a Costanza per congratularsi con papa Martino V per la elezione. L'istruzione del 6 marzo 1418 incaricò gli oratori di dichiarare l'obbedienza della Repubblica e la sua disponibilità di venire ad un accordo con Sigismondo.
Savio del Consiglio per molti anni e procuratore del doge in varie circostanze, non sorprende che il C., alla morte del doge Tommaso Mocenigo (4 apr. 1423), fosse considerato uno dei possibili candidati al dogato. Il Mocenigo stesso l'aveva raccomandato nel suo testamento come "huomo degno et [che] merita per lo intellecto et bontade et per le piage" (cit. in Kretschmayr, p. 618). Il C. ottenne parecchi voti, ma alla fine la scelta cadde su Francesco Foscari, suo collega in varie occasioni. Il C. stesso aveva fatto parte del Consiglio dei quarantuno che aveva il compito di eleggere il nuovo doge. Dopo questa data non si hanno più notizie precise. Pare che morisse nel 1427, sicuramente in età molto avanzata.
II C. fu certamente uno degli uomini politici più autorevoli della Venezia del suo tempo. Il prestigio di cui godeva anche fuori della sua patria è testimoniato tra l'altro da due lettere indirizzategli dalla regina Giovanna II di Napoli. In una di esse lo pregava di fungere da tramite tra lei e i duchi d'Austria suoi cognati. Non pare che avesse lasciato figli. Con tutta probabilità era sua figlia Lucia moglie di Andrea Foscolo, che fece testamento nel 1406, ma non pare che sia sopravissuta al padre. Il C. aveva sposato, ma sembra in seconde nozze, Moretta che peraltro non risulta esser la madre di Lucia.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Cancelleria inferiore,Notai diversi, busta 147, fasc. 7, n. 6; busta 55, fasc. 1, n. 34; Notarile,Testamenti, busta 1254, n. 210; Senato,Sindicati, reg. 1, ff. 180v-181; Lettere di rettori, busta 1, nn. 65, 71, 87, 179; Secreta, reg. 1, f. 59; Deliberazioni miste, reg. 41, ff. 122v, 125v, 129-130, 137; reg. 42, ff. 2, 11v, 12v, 15v-17v; reg. 43, ff. 128, 166, 183v, 186v; reg. 44, ff. 10, 57v, 60v, 124, 129v, 142v, 143v; reg. 45, ff. 20, 28, 75, 89, 111; reg. 46, ff. 1v, 24, 37, 38v-39v, 42v, 44v, 52, 57v, 68, 90v.; Misc. ducali ed atti dipl., busta 15, A, nn. 1-8, 13-19, 25, 30-34, 36; Venezia, Civico Museo Correr, cod. Cicogna 3476, XV, 1, 5; Biblioteca naz. Marciana, cod. Lat. XIV, 72 (=4273), n. 21; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia,Regesti, a cura di R. Predelli, III-V, Venezia 1883-1901, ad Indices; J. F. Böhmer, Regesta Imperii, XI, Die Urkunden Kaiser Sigmunds(1410-1437), a cura di W. Altann, Innsbruck 1896-1900, nn. 2789, 3095; Acta Concilii Constanciensis, a cura di M Finke, III-IV, Münster 1926-1928, ad Indicem; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini, a cura di C. Zonta-I. Brotta, Patavii 1922, ad Indicem; Regestes des déliberations du Sénat de Venise concernant la Romanie, a cura di F. Thiriet, II, Paris 1959, n. 1624; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, Venezia 1855, IV, pp. 68, 75-77; A. Gloria, Podestà e capitani in Padova per la Repubblica veneta, Padova 1858, p. 14; H. Kretschmayr, Geschichte von Venedig, II, Gotha 1920, pp. 331; F. Nicolini, Un amico veneziano di Giovanna II, in Boll. d. arch. stor. del Banco di Napoli, III (1956-57), pp. 327-30.