BOFFA STENDARDO, Marino
Nacque, probabilmente a Pozzuoli, poco dopo il 1380. Conseguito il dottorato in utroque iure - a Napoli, è da presumere -, nel 1406 sposò Giovannella Stendardo, damigella della regina Maria d'Enghien, assai in vista alla corte di re Ladislao, la quale aveva ereditato dal padre la contea d'Alife. Giovannella portava in dote le terre di Arpaia, Arienzo e Cancello, e il B., subito dopo il matrimonio, ottenne con il consenso regio l'arrogatio del cognome di lei al suo.
La salita al trono di Giovanna II favorì il Boffa. Il 15 ottobre 1415 la regina esonerava Leonardo de Afflictis de Scalis dall'ufficio di gran cancelliere e nominava al suo posto il B. allora presidente della camera del Regio Consiglio e giudice collaterale. Nel 1417, poi, la regina lo creava gran giustiziere.
Ma la sua fortuna fu di breve durata. Nel 1418 Gianni Caracciolo, favorito della regina e da poco creato gran siniscalco del Regno, convocò una corte di giuristi tra i quali era il B., per decidere su una controversia relativa all'eredità della moglie Caterina Filangieri, figlia di Iacopo Nicola conte di Avellino. La sentenza fu favorevole al Caracciolo. Il B., che ad essa si era opposto, venne allontanato da corte dalla regina su istigazione del Caracciolo.
Si ritirò allora a vita privata. Il 25 nov. 1422 la regina decideva in suo sfavore la vertenza che lo vedeva opposto al mercante fiorentino Azzareto Portinari per il possesso del casale di Sant'Antimo.
Nel 1424 partecipò alla difesa di Napoli contro Alfonso d'Aragona. Ma solo nel 1430, in seguito alla caduta in disgrazia del Caracciolo, ritornò nelle grazie della regina. A lui - oltre che a Ottino Caracciolo, Francesco Cimmino, Pietro Palagano e Leonardo Bucio - venne affidata l'esecuzione della congiura contro ser Gianni, accusato di tradimento e caduto assassinato il 19 ag. 1431.
Si andava, intanto, delineando l'azione di Alfonso d'Aragona intesa alla conquista del Regno: la partenza di costui, il 22 dic. 1432, da Messina per Ischia gettava lo scompiglio nella corte angioina e atterriva Giovanna. In un suo messaggio Alfonso le comunicava di volere sbarcare nel Regno per iniziare negoziati. A garantire le intenzioni pacifiche dell'Aragonese intervennero presso la regina Giovanni Antonio Orsini del Balzo, principe di Taranto, Nicolò Ruffo, conte di Catanzaro, Covella Ruffo, duchessa di Sessa, e il Boffa. In effetti l'anno seguente, il 7 luglio 1433, Alfonso lasciava Ischia sottoscrivendo una tregua di dieci anni i cui capitoli - peraltro non pervenutici -, furono redatti da vari giuristi tra cui il Boffa.
Alla morte di Giovanna (2 febbr. 1435) il B. entrò a far parte del Consiglio di reggenza secondo quanto disposto dal testamento della regina. Nel partito angioino rimase anche dopo l'arrivo nel Regno di Alfonso; né la sua ostilità all'aragonese terminò con la tregua che con Alfonso sottoscrisse nel 1437, in virtù della quale si impegnava a troncare le ostilità e a non accogliere nelle sue terre i nemici del re. Il B. non rispettò l'accordo e nel settembre 1438 Alfonso assalì il suo castello di Arpaia. Fatto prigioniero e ottenuta salva la vita, passò allora al partito aragonese. Prestò giuramento di fedeltà al re ottenendo in cambio, con diploma del 10 marzo 1439 (Faraglia, Storia della lotta, pp. 146 s.), la conferma di tutti i precedenti privilegi feudali. E altri privilegi ottenne da Alfonso il 17 genn. 1440.
Dopo tale data mancano notizie su di lui ed è ignoto l'anno della morte. Dei suoi figli conosciamo il primogenito Matteo, conte di Alife, e Giannotto, signore di Sant'Antimo.
Figlio di Giannotto è Giacomo, nato a Napoli nel primo decennio del sec. XV, il quale fu camerario di Alfonso I e militò al suo servizio fin dal 1450. Egli si mantenne fedele alla casa regnante nel corso della prima congiura dei baroni esplosa nel 1458 quando, alla morte di Alfonso, i feudatari ribelli opposero all'erede, Ferrante, Giovanni d'Angiò. La sua fedeltà gli accattivò la gratitudine del re, il quale nel 1484 lo investì della terra di Sant'Antimo, venutagli per la morte del padre, condonandogli il relevio e concedendogli l'esazione dei pagamenti fiscali. Egli era allora coppiere di Ferdinando d'Aragona, principe di Capua. Con questo, l'11 luglio 1487, alla vigilia della grande congiura dei baroni fu incaricato dal re di convincere la contessa Caracciolo di Melfi e il di lei figlio Troiano a desistere dalla ribellione e ad affidarsi alla clemenza del re. Morì poco prima del marzo 1494.
Fonti e Bibl.: Annales de Raimo, in L. A. Muratori, Rerum Italic. Script., XXIII, Mediolani 1733, p. 225; I Diurnali del duca di Monteleone, in Rerum Italic. Script., 2 ediz., XXI, 5, a cura di M. Manfredi, ad Indicem; Notar Giacomo, Cronica di Napoli, a cura di P. Garzilli, Napoli 1845, p. 78; A. Minuti, Vita di Muzio Attendolo Sforza, a cura di G. Porro Lambertenghi, in Miscellanea di storia patria, VII, Torino 1869, p. 203; Ioannis Albini Lucani De gestis regum neapolitanorum ab Aragonia, in Racc. di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale, V, Napoli 1769, p. 15 e passim (per Giacomo); Regis Ferdinandi I Instructionum liber, a cura di L. Volpicella, in Mon. stor. a cura della Soc. napol. di storia patria, s. 2, III, Napoli 1916, pp. 283 s. (per Giacomo); A. Di Costanzo, Historia del Regno di Napoli, V, 3, Napoli 1710, p. 548; G. A. Summonte, Historia della città e regno di Napoli, III, Napoli 1748, p. 548; N. F. Faraglia, Storia della regina Giovanna II d'Angiò, Lanciano 1904, pp. 78 nota 6, 79, 92-108, 371-374, 403-427 e passim; Id., Storia della lotta tra Alfonso V d'Aragona e Renato d'Angiò, Lanciano 1908, pp. 18, 86, 141-146, 199 nota 1; A. De Lorenzi, Pulcinella. Ricerche sull'Atellana, Napoli 1957, pp. 10 ss. (per Giacomo); E. Pontieri, Muzio Attendolo e Francesco Sforza..., in Divagazioni storiche e storiografiche, s. 1, Napoli 1960, pp. 75-199; Id., Alfonso V d'Aragona..., ibid., pp. 203-310; Id., Per la storia del regno di Ferrante d'Aragona..., Napoli 1969, passim, in generale per l'atteggiamento della feudalità nei confronti della monarchia aragonese.