MARINEO, Gilberto Beccadelli di Bologna marchese di
– Nacque all’inizio del Cinquecento, probabilmente a Palermo, secondogenito di Francesco Beccadelli di Bologna e di Antonella di Magistroantonio (o Mastroantonio).
Trasferitasi da Bologna a Palermo all’inizio del Trecento, la famiglia aveva conosciuto una rapida ascesa: ai primi decenni del XV secolo alcuni suoi membri erano già pretori e capitani d’arme; Simone Bologna fu arcivescovo di Palermo, ambasciatore del re e presidente del Regno, nel 1460 fece erigere il palazzo arcivescovile; Bernardino fu vescovo di Malta nel 1503, poi arcivescovo di Messina (morì nel 1512).
Francesco, il padre del M., costruì la sua fortuna e quella della casata a partire dalla donazione propter nuptias del feudo di Falconeri fattagli dalla madre Virginia Omodei, alla morte della quale egli acquisì altri feudi in territorio di Naro, Licata e Trapani, di cui ottenne nel 1517 l’investitura e che unì in un’unica baronia. Sin dal primo Cinquecento la consorteria dei Bologna ebbe un peso determinante nelle vicende politiche siciliane. Francesco, che al momento della rivolta baronale si schierò con la Corona, riuscì in seguito ad acquisire anche Cefalà, entrando così nei ranghi dell’aristocrazia parlamentare, e poi le baronie di Montefranco, di Motta Sant’Agata e infine, nel 1549 acquistandolo dalla Gran corte, il territorio di Marineo con facoltà di popolarlo. Inserito nel commercio di grano e zucchero, Francesco si arricchì anche con la gestione di importanti uffici pubblici. La sua attività fu oggetto di un’inchiesta, iniziata nel 1545 dall’inviato di Carlo V, Diego de Córdoba, che lo portò a rispondere di trenta capi d’imputazione relativi ad appropriazioni indebite, interesse privato e malversazioni. Il 14 febbr. 1555 ne uscì condannato al pagamento di somme cospicue.
Il M. successe a Francesco, morto il 15 luglio 1555, come erede universale, poiché il primogenito Girolamo era premorto al padre. Fu investito di tutti i beni feudali del padre, li riunì in una unica baronia e ricevette, oltre al titolo di barone di Cefalà, anche quello di conte, nel 1563, e poi di marchese di Marineo, nel 1565.
Aveva studiato a Bologna con Ugo Boncompagni, il futuro Gregorio XIII; dottore in legge, fu capitano di Giustizia di Palermo probabilmente nel 1559.
In quell’anno, durante la rivolta palermitana del notaio Cataldo Tarsino – il tumulto annonario che, causato dalla penuria di frumento, dalla conseguente crescita del prezzo del pane e dall’assenza del viceré di stanza a Messina, sembra proseguire le rivolte dei primi decenni del Cinquecento per la richiesta di un maggiore peso dei populares nei Consigli cittadini –, il M. si oppose ai rivoltosi. La repressione del tumulto viene comunemente attribuita al ruolo dei familiares del S. Uffizio, tra cui erano lo stesso M., il cugino consultore Giantommaso e il genero Fabrizio Valguarnera.
In seguito il M. fu ambasciatore in Spagna (1564) e deputato del Regno nel 1570 e 1576.
Il M. affrontò la difficile situazione economica conseguente ai rovesci del padre. Ricorse contro la sentenza e contro la liquidazione del debito, quindi dovette predisporsi al pagamento e stipulò una serie di soggiogazioni per soddisfare l’esigenza di liquidità. Nel frattempo i giudici si pronunciarono contro i ricorsi del M. e lo condannarono a pagare: doveva restituire subito 320 onze alla Magna Regia Curia. Vendette il feudo Monterusso in Val di Mazara, nei pressi di Campobello, di pertinenza della baronia di Capaci, per onze 650 a Michele Celestri; stipulò nel 1567 una soggiogazione (mutuo ipotecario) di 140 onze annuali a favore di Alessandro Platamone facendo intervenire tutti i possibili eredi della casata: furono impegnati quasi tutti i beni superstiti dei Bologna, feudi, case urbane e rurali, ogni possedimento.
Nel 1553 il padre Francesco aveva fatto costruire a Marineo cento case e già nel 1559 il M. vi aveva edificato altre duecento case e il castello, come si legge nella lapide che ne commemora la costruzione. Il nuovo centro abitato incrementò la vocazione cerealicola dell’area, attrasse piccoli affittuari, aratores, terraggieri, commercianti, grazie ai quali si ripristinò la molitura e la pastorizia nei numerosi boschi della baronia. Nel 1576 il M. stipulò i Capituli fatti et concessi per la Università, vassalli et habitaturi della terra di Marineo (Arch. di Stato di Palermo, Notai defunti, vol. 17103, cc. 453-462, notaio Vincenzo Gabriele, 15 luglio 1609). L’operazione immobiliare e la rendita proveniente dal Comune di nuova fondazione non servirono a rialzare una condizione economica difficile che, nonostante le cariche pubbliche, la famigliatura nel S. Uffizio e le larghe parentele, obbligarono il M. a cedere quote rilevanti del patrimonio. Vendette infatti parte della baronia di Capaci, la Tonnara del palazzo di Trapani e il feudo Monterosso nel 1563, la baronia e castello di Cefalà nel 1570.
Il 13 ott. 1575, il M. dettò le sue ultime volontà. Morì nel 1577 e fu sepolto nella chiesa del convento palermitano di S. Francesco.
In data imprecisata aveva sposato, secondo una politica matrimoniale strettamente endogamica, Elisabetta Mastroantonio Bardi, da cui ebbe sei figli: Vincenzo; Giovanna, data in sposa a Fabrizio Valguarnera, barone di Monteforte; Susanna, moglie di Tommaso Gioieni e Cardona, marchese di Giuliana (poi principe di Castroleone); Maria, moglie di Mariano Migliaccio, barone di Montemaggiore; Ippolita e Antonia, entrambe monache.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Palermo, Arch. Camporeale, vol. 260, cc. 111-124 (testamento, 7 apr. 1576), 127-135 (inventario dei beni, 13 apr. 1576); Palermo, Biblioteca comunale, Mss., QqE.58: V. Di Giovanni, Del Palermo restaurato; 2QqE.166-167: M. Pluchinotta, Genealogia della nobiltà siciliana; Descrittione della famiglia e casa Bologna nella Città di Palermo in Sicilia e in Napoli… raccolta da don Baldassare Bologna di don Bernardino dell’istessa famiglia, l’anno 1598, Palermo 1600 (edita a cura di L. Pinzarrone in Mediterranea Ricerche storiche, IV [2007], pp. 355-398); F. Mugnos, Teatro genealogico delle famiglie nobili titolate feudatarie e antiche del fedelissimo Regno di Sicilia, I, Palermo-Messina 1647, p. 144; I. La Lumia, La Sicilia sotto Carlo V imperatore. Narrazione istorica, Palermo 1862 passim; F. De Spucches San Martino, Storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, Palermo 1941, II, pp. 193-196; IV, p. 420; L’Archivio dei Visitatori generali di Sicilia, a cura di P. Burgarella - G. Fallico, Roma 1977, pp. 29, 31, 33, 70 (per Francesco); O. Cancila, Così andavano le cose nel secolo sedicesimo, Palermo 1984, p. 131; F. Maurici, «Illi de domo et familia Abbatellis». I baroni di Cefalà: una famiglia dell’aristocrazia siciliana fra ’400 e ’500, Palermo 1985, p. 51; F. Giunta, Dossier Inquisizione in Sicilia, Palermo 1991, pp. 45, 47; A. Giuffrida, La Sicilia e l’Ordine di Malta (1529-1550). La centralità della periferia mediterranea, Palermo 2006, pp. 81-83.