MARINA (XXII, p. 322; App. I, p. 821)
Marina da guerra. - Evoluzione del potere marittimo. - I mutamenti nella costituzione organica delle grandi marine attraverso la seconda Guerra mondiale hanno segnato l'evoluzione dal potere marittimo al potere aeromarittimo, che è la risultante del potere marittimo e del potere aereo impiegati in stretta correlazione.
Sui caratteri e sulle forme del conflitto il mare ha avuto influenza determinante: l'esito è in gran parte dipeso dalla capacità di ciascuno dei belligeranti di eseguire trasporti marittimi per alimentare i proprî fronti e quelli degli alleati, nonché di ostacolare i trasporti nemici, eseguire o contrastare invasioni dal mare, con l'azione coordinata delle forze navali e aeree. Le previsioni unilaterali sulla diminuita capacità operativa delle forze navali (per effetto del contrasto delle forze aeree) sono state smentite dai fatti, poiché l'antidoto contro i pericoli incombenti sulle navi per l'offesa dall'aria e per la loro svalutazione rispetto al potere aereo è stato fornito dalla stessa arma aerea. L'esperienza guerresca ha in definitiva confermato che il potere marittimo e il potere aereo hanno carattere complementare. La cooperazione aeronavale ha quindi assunto importanza essenziale: infatti una forza navale priva di cooperazione aerea si trova in condizioni di estrema inferiorità, e talvolta nella pratica impossibilità di azione, contro una forza navale cui la suddetta cooperazione sia efficacemente assicurata.
L'importanza della marina per effetto dello sviluppo dell'arma aerea non è perciò diminuita, anzi si è manifestata crescente. Però le flotte delle principali potenze marittime hanno subìto un'ampia evoluzione qualitativa, per due ragioni principali: 1. la necessità di difesa delle comunicazioni marittime ha prodotto un grande sviluppo dei mezzi antisommergibili delle navi, oltreché dell'aviazione marittima; 2. la necessità di realizzare in forma diretta la correlazione aeromarittima ha prodotto la trasformazione delle forze navali in forze aeromarittime.
Guerra antisommergibile (v. anche antisommergibile, difesa; atlantico, in questa App.). - Nel periodo della preparazione la marina inglese aveva realizzato e perfezionato armi e apparecchiature contro i sommergibili e aveva costruito cacciasommergibili (corvette). Allo scoppio del conflitto l'apparecchio ultrasonoro per la localizzazione dei sommergibili immersi (asdic = ecogoniometro) costituì una sorpresa per i sommergibili nemici. La realizzazione di questo strumento fu seguita da quella di apparecchiature di carattere complementare. Dal tempo di pace la marina inglese aveva formato un gruppo di personale addestrato, che costituì il nucleo di specialisti nel servizio antisommergibile durante la guerra; ma, nonostante le predisposizioni, il naviglio antisommergibile risultò scarso rispetto alle esigenze belliche, specialmente dopo le perdite subìte nella campagna di Norvegia e nella ritirata da Dunkerque. Per porre rimedio a quella situazione, nel settembre 1940 il governo britannico ottenne dagli Stati Uniti 50 cacciatorpediniere costruiti durante la prima Guerra mondiale. Nel contempo la marina inglese mise in costruzione numerosi cacciasommergibili di altura più grandi, più veloci e con migliori qualità marine delle corvette, ripristinando per tali unità navali l'antica denominazione di fregate.
Parallelamente agli ecogoniometri furono sviluppate le apparecchiature radar, per localizzare i sommergibili in superficie. Altra possibilità di localizzare i sommergibili fu fornita dai radiogoniometri ad alta frequenza, che consentirono di captare le trasmissioni fatte dai sommergibili su onde corte. Questi apparecchi, per ragioni d'ingombro, poterono essere imbarcati soltanto sulle navi maggiori, fino ai cacciatorpediniere; essi furono redditizî specialmente sulle navi portaerei ausiliarie di scorta (navi mercantili trasformate con ponte di volo). Negli Stati Uniti e in Inghilterra dalla prima metà del 1941 cominciarono ad entrare in servizio queste navi che, pur potendo portare pochi velivoli, risultarono molto utili per ricercare ed attaccare i sommergibili, con gli apparecchi pronti a partire al primo allarme. Sviluppando la tattica di difesa attiva la marina inglese, dall'autunno del 1942, costituì gruppi per la caccia antisommergibile, formati da fregate e da cacciatorpediniere antiquati. Questi gruppi, con la cooperazione dei velivoli da stazioni terrestri o dalle navi portaerei di scorta agivano anche in modo indipendente dai convogli, per localizzare e attaccare i sommergibili.
Nel gennaio 1943 la guerra antisommergibile entrò nel periodo risolutivo, in seguito alle direttive così stabilite dagli Alleati nella conferenza di Casablanca: a) copertura aerea dei convogli mediante l'aviazione a grandissimo raggio da stazioni costiere e mediante l'aviazione con base mobile, cioè quella delle navi portaerei di scorta; b) azioni aeree contro le basi dei sommergibili e contro le industrie per la loro costruzione (bombardamenti strategici); c) posa di mine nelle zone di addestramento (Mar Baltico) e nelle acque vicine alle basi dei sommergibili (Golfo di Guascogna); d) ricerche scientifiche per migliorare i sistemi di localizzazione dei sommergibili, così da impedire la loro azione in superficie; e) sviluppo dei gruppi navali di protezione indiretta, cioè dei gruppi di sostegno dei convogli in correlazione con l'offesa aerea.
Per effetto dell'attuazione di questo programma la guerra antisommergibile raggiunse il culmine nel 1944. Come risulta dalla pubblicazione ufficiale inglese sulla battaglia dell'Atlantico, in quell'epoca il controllo operativo dell'Ammiragliato si estendeva su 880 unità navali britanniche, dei Dominî e delle marine alleate impiegate nei convogli oceanici, e su circa 2200 altre navi dotate di ecogoniometri, impiegate in servizî costieri. La marina degli Stati Uniti aveva istituito la cosiddetta X flotta, organizzazione avente il compito di coordinare tutta l'attività antisommergibile.
Le forze aeromarittime. - La cooperazione aerea alla guerra sul mare ha assunto la massima efficacia mediante le navi portaerei, che assicurano la cooperazione diretta, offensiva e difensiva, con carattere di continuità. Le marine degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e del Giappone anteriormente al conflitto avevano sviluppato le navi portaerei, ma con carattere ausiliario rispetto alle forze di battaglia. Un nuovo indirizzo nella politica navale fu segnato dalla marina degli Stati Uniti in seguito al disastro di Pearl Harbor, per cui fu dato principalmente impulso alla costruzione delle navi portaerei. Alla fine del 1943 ne furono messe in servizio più di 50, mentre un gran numero di navi portaerei di scorta erano state cedute all'Inghilterra. Il disastro di Pearl Harbor aveva messo in crisi la marina americana, per le condizioni di relatività nelle forze da battaglia. Successivamente le battaglie del Mar dei Coralli e di Midway misero in luce l'importanza delle navi portaerei come navi di combattimento. La decisione americana ha segnato nelle costruzioni navali una svolta decisiva. Come all'epoca delle dreadnoughts il cannone di grosso calibro potenziò in altissimo grado le flotte del tempo, così i velivoli bombardieri e siluranti lanciati dalle navi portaerei sono divenuti arma navale essenziale e spesso prevalente delle flotte.
Le maggiori navi portaerei sono oggi capital ships (navi di linea) delle flotte da battaglia; la funzione delle navi da battaglia è ora soprattutto intesa alla protezione delle navi portaerei. Le nuove condizioni guerresche hanno aumentato la complessità delle marine militari.
Infatti, dalle grandi alle piccole navi di superficie e ai sommergibili sono sopravvissute (ma con varianti per l'impiego di nuove armi) le diverse specie di preesistenti unità navali, con l'aggiunta di navi portaerei di scorta, cacciasommergibili, naviglio da sbarco costituito da una grande varietà di tipi, naviglio di pattuglia, cannoniere, posamine e dragamine, motosiluranti, vedette antisommergibili, Mas, naviglio di scorta e naviglio sussidiario (v. anche nave, in questa App.).
Della marina statunitense e di quella inglese, oltre alle forze aeree con base sulle navi, costituiscono parte integrante quelle forze aeree, con basi terrestri, che sono destinate ad agire sul mare. Soltanto così è possibile assicurare lo sviluppo delle forze aeree con caratteristiche appropriate alle necessità dell'azione sul mare (che implica esigenze tutte speciali) e risolvere i problemi di addestramento, comunicazioni e unità di comando. Organizzazione analoga esisteva in Giappone.
Il programma di espansione della marina negli Stati Uniti. - Lo sviluppo della marina degli Stati Uniti durante il conflitto ha costituito l'attuazione e il progressivo ampliamento del programma approvato dal Congresso degli Stati Uniti nel 1938, che aveva stabilito l'aumento del 20% alla forza esistente nel 1934; un nuovo aumento dell'11% fu votato nel giugno 1940. Nel frattempo l'andamento del conflitto fece ritenere necessario un maggiore sviluppo navale, perché - scrive l'ammiraglio E. J. King - "in quell'epoca occorreva prepararsi all'eventualità della scomparsa del potere marittimo britannico". Nel luglio 1940 fu deciso un nuovo incremento del 70%, affinché la flotta americana assumesse uno sviluppo adeguato alle necessità dei due oceani. L'entità dello sviluppo navale prestabilito per effetto delle leggi suddette risulta dalle seguenti cifre:
Quel programma, che non aveva precedenti per la sua vastità, richiese un grandioso sviluppo industriale che consentì di accelerare il ritmo delle costruzioni; ciò ebbe grande importanza per fronteggiare le contingenze impreviste. Infatti, dopo il disastro di Pearl Harbor, il tempo necessario per la costruzione delle corazzate fu ridotto da 38 mesi a 32, quello delle navi portaerei da 32 mesi a 16, dei cacciatorpediniere da 14 mesi a 5, e dei sommergibili da 14 mesi a 7. L'enorme e rapidissimo aumento della marina militare americana e il corrispondente enorme aumento dell'aviazione della marina ebbe decisiva influenza, specialmente sulla guerra nel Pacifico.
La gara dî armamenti navali fra Stati Uniti e Giappone. - All'inizio delle ostilità nel Pacifico la marina giapponese era in vantaggio nelle corazzate di grandissimo dislocamento e nelle navi portaerei. Alle dieci corazzate che formavano la spina dorsale di quella marina si aggiunse nel dicembre 1941 la corazzata Yamato e nell'agosto 1942 la corazzata Musashi, di circa 70.000 t. a pieno carico. Quelle navi erano ultrapotenti, avendo un armamento di 9 cannoni del calibro di 456 mm., spessore di corazza 406 mm. al galleggiamento e 635 mm. sul frontale delle torri. Le 9 navi portaerei che inizialmente formavano la flotta aeronavale della marina giapponese si accrebbero nel dicembre 1941 con l'entrata in servizio di una portaerei leggera, e di altre 3 navi portaerei di squadra nel 1942, nonché di 3 navi portaerei di scorta. Ciò costituiva una buona preparazione, ma quel ritmo non poteva essere mantenuto. Dopo i primi cinque mesi di ostilità, in cui la marina giapponese non subì perdite, il suo temporaneo margine di superiorità andò riducendosi, benché la marina degli Stati Uniti subisse nel 1942 la perdita di 4 navi portaerei di squadra. Infatti, in quell'anno furono affondate 6 navi portaerei e 2 corazzate giapponesi; inoltre da parte americana entrarono in servizio 4 corazzate, una nave portaerei e 8 navi portaerei di scorta. La situazione relativa rapidamente cambiò in senso svantaggioso per il Giappone, perché il prolungamento del conflitto produsse una gara di armamenti che il Giappone non poté sostenere, essendo la sua capacità industriale di gran lunga inferiore a quella americana. Complessivamente, nel corso delle ostilità, nella marina degli Stati Uniti entrarono in servizio 8 corazzate, 27 navi portaerei di squadra e 110 portaerei di scorta (di cui 37 furono cedute all'Inghilterra.
Oltre che il compito antisommergibile e quello del trasporto dei velivoli, le navi portaerei di scorta avevano l'importante funzione di rafforzare la massa principale di attacco aereo, costituita dalle navi portaerei di linea. Contemporaneamente nella marina giapponese entrarono in servizio 2 corazzate, 12 navi portaerei di squadra e 5 navi portaerei di scorta. Lo sforzo costruttivo giapponese raggiunse il culmine con l'entrata in servizio di 7 navi portaerei di squadra nel 1944; inoltre furono trasformate le 2 corazzate Ise e Hyuga, in cui fu costruito a poppa un ponte di volo togliendo una torre, cioè fu realizzato un tipo ibrido di nave da battaglia portaerei. Ma per le svantaggiose condizioni di relatività la marina giapponese subì ingenti perdite, che le navi entrate in servizio nel 1944 non riuscirono a compensare. Mancò da parte giapponese la possibilità di costruire navi portaerei di scorta, per effetto delle perdite di naviglio mercantile e specialmente di petroliere, che erano le unità più adatte alla trasformazione.
Col prolungarsi del conflitto la flotta aeronavale giapponese aveva perduto consistenza per la scarsità dei velivoli e per la mancanza di addestramento dei piloti. Per questa situazione, di fronte alla strapotente preponderanza americana, i disperati sforzi controffensivi della marina giapponese portarono al suo quasi totale annientamento, mentre le perdite della marina americana furono di 2 corazzate, 5 navi portaerei, 6 navi portaerei di scorta, 10 incrociatori, 82 cacciatorpediniere, 52 sommergibili. La quasi totalità di queste perdite avvenne nel Pacifico; esse furono piccole nel periodo 1943-45. Alla fine delle ostilità le forze che la marina degli S. U. aveva in quell'Oceano erano il 90% delle sue forze complessive: tale entità risulta dalle seguenti cifre, che si riportano dal rapporto dell'ammiraglio King. Corazzate, 23; navi portaerei, 26; navi portaerei di scorta, 64; incrociatori, 52; cacciatorpediniere, 323; navi di scorta, 298; sommergibili, 181; posamine, 160; navi ausiliarie, 1060; grandi mezzi da sbarco, 2783; velivoli da combattimento, 14.847; velivoli da trasporto, 1286.
Perdite e costruzioni navali inglesi durante la guerra. - Il conflitto tra gli Alleati angloamericani e le potenze del Tripartito ha segnato la fine dei criterî di equilibrio che costituivano il fondamento della precedente politica navale. La marina britannica ha sopportato il massimo sforzo per la guerra in Occidente, incorrendo in perdite che sono state gravi in senso assoluto e in senso relativo, rispetto alle forze di cui la stessa marina disponeva all'inizio del conflitto, come emerge dai seguenti dati riassuntivi.
Attualmente (dicembre 1948) la marina inglese conta 15 corazzate, 14 navi portaerei di squadra e 3 navi portaerei di scorta: il numero di incrociatori è pari a quello anteguerra, mentre il numero di cacciatorpediniere è aumentato di circa la metà e quello dei sommergibili è raddoppiato. Le costruzioni nel periodo bellico hanno quindi numericamente mantenuto la marina inglese a un livello assoluto alquanto superiore alla forza che essa aveva prima del conflitto, ma assai al disotto della marina americana. Nel commento del primo lord dell'Ammiragliato alle previsioni del bilancio per l'anno finanziario 1947-48 il concetto regolatore è così definito: "La marina deve essere in grado di mantenere aperte le linee di rifornimento, dare alle Nazioni Unite l'appoggio che eventualmente può essere richiesto, e nel tempo stesso gravare il meno possibile sulle risorse del paese".
La marina italiana dopo l'armistizio. - La consistenza del naviglio militare italiano all'atto dell'intervento dell'Italia e le successive costruzioni navali durante la guerra sono state esposte nella voce italia: Marina da guerra, in questa App. Di questo naviglio, in applicazione delle clausole di armistizio, un quantitativo di 266.011 t. raggiunse le basi degli Alleati: esso era costituito da 5 corazzate, 9 incrociatori, 11 cacciatorpediniere, 22 torpediniere, 19 corvette e 37 sommergibili. Delle altre 135.443 t. (corrispondenti al 35% del totale) una parte (92.280 t.) fu perduta per navi autoaffondate o sabotate nei porti; l'altra parte (43.163 t.) fu perduta nel trasferimento o in seguito (è compresa in quest'ultima cifra la corazzata Roma, affondata dall'attacco aereo tedesco il 9 settembre 1943).
Prima ancora che l'Italia fosse riconosciuta come potenza cobelligerante delle Nazioni Unite, nel settembre 1943 un accordo fra l'ammiraglio inglese comandante in capo delle flotte nel Mediterraneo e il ministro della marina italiana R. De Courten inserì la flotta nel quadro delle forze armate delle Nazioni Unite. Le unità della marina italiana, mantenendo la propria bandiera, iniziarono l'attiva cooperazione navale che durò fino alla resa della Germania (ossia 20 mesi). I compiti assegnati alle navi italiane furono progressivamente ampliati nel Mediterraneo, nell'Oceano Atlantico e nell'Oceano Indiano, in relazione alle aumentate esigenze della condotta della guerra: essi consisterono nella scorta ai convogli, nell'attività antisommergibile e in missioni speciali. Per le clausole navali del trattato di pace, v. italia, in questa App.
Le marine militari nel dopoguerra. - La vittoria ha dato alle nazioni anglosassoni una situazione di assoluto predominio in tutti i mari, come l'Inghilterra ebbe soltanto dopo Trafalgar. La marina giapponese e quella tedesca sono scomparse. La ricostituita marina francese è formata da 2 corazzate, di cui una moderna e una antiquata (utilizzata come nave scuola), una nave portaerei leggera di 14.000 t. (ceduta temporaneamente dall'Inghilterra) e una nave portaerei di scorta; 13 incrociatori, 24 cacciatorpediniere, 19 sommergibili, nonché un complesso di unità per servizî antisommergibile e per servizio coloniale. Il tonnellaggio globale è di 381.000 t. Il governo sovietico mantiene il più rigoroso segreto sulla sua marina, che sembra comprenda molti sommergibili. Da questi dati e da quelli prima riassunti sulla potenzialità delle principali marine emerge come, rispetto all'anteguerra, sia enormemente cresciuto il distacco fra le marine anglosassoni e tutte le altre.
Le nuove condizioni. - Dopo la fine delle ostilità le marine anglosassoni hanno fatto drastiche riduzioni nei programmi costruttivi prestabiliti; la marina degli Stati Uniti sospese nel 1946 l'allestimento di grandi navi. Ma questa sospensione fu dovuta alla necessità di stabilire dati sperimentali sugli effetti delle nuove formidabili armi, che avevano nell'ultima fase del conflitto manifestato la loro terribile potenza. La politica navale nell'attuale momento è ancora caratterizzata, secondo l'espressione inglese, dal motto wait and see: attesa vigilante. Le bombe atomiche, i velivoli e le armi a reazione radiocomandate, con velocità superiori a quella del suono, hanno segnato l'inizio di una nuova era, con possibilità di evoluzione radicale nei mezzi e nelle forme della guerra sul mare.
La guerra modema si combatte fra gli scienziati, prima che fra le forze armate. Le possibilità di azione dei belligeranti dipendono dallo stato della preparazione, riflettente lo sviluppo delle ricerche scientifiche per produrre nuovi mezzi e per potere efficacemente contrastare quelli del nemico.
Nella evoluzione delle forze aeromarittime gli Stati Uniti sono in condizioni estremamente vantaggiose, in virtù del possesso dell'energia atomica e della possibilità di procedere a esperimenti su vastissima scala, come quelli eseguiti nel 1946 nell'atollo di Bikini, impiegando il cosiddetto surplus fleet, cioè la parte più antiquata ed esuberante delle forze navali. È particolarmente significativo il fatto che, dopo quelle grandiose esperienze, la marina degli Stati Uniti ha deciso la costruzione di un tipo di nave portaerei di 65.000 t., continuando così l'evoluzione segnata dalle navi portaerei della classe Midway di 45.000 t. Velivoli di crescenti dimensioni, armi ultrapotenti, sistemi protettivi contro le armi atomiche, spiegano l'aumento nelle dimensioni delle nuove navi portaerei. Ciò consente di presumere che l'importanza delle forze aeromarittime caratterizzerà la nuova evoluzione, che sarà il proseguimento di quella iniziata nella seconda Guerra mondiale, con più vaste possibilità. Singolarmente le navi saranno facilmente vulnerabili, ma l'impiego coordinato delle varie specie di mezzi assicurerà la capacità operativa delle flotte. Il progresso dei mezzi offensivi e dei sistemi di propulsione non potrà quindi diminuire, ma anzi aumenterà l'importanza del potere aeromarittimo.
Marina mercantile (XXII, p. 337; App. I, p. 823).
Il naviglio mercantile nel 1939 aveva quasi raggiunto il massimo di oltre 70 milioni di t. registratosi nel 1931, con 69.439.659 t. lorde, avendo recuperato le perdite provocate dalle demolizioni avvenute negli anni di crisi dal 1932 al 1935. A quell'epoca era in atto un processo quasi generale di rimodernamento e miglioramento del materiale, concomitante alla politica di riarmo di tutti i paesi del mondo.
Ecco le cifre del Lloyd's Register of Shipping al 30 giugno 1939 confrontate con quelle del 1930 e del 1920, in tonnellate lorde, relative alle unità di stazza lorda di almeno 100 tonnellate:
Il naviglio a vela e i galleggianti varî ammontavano nel 1939 a 2.538.229 t. lorde; il resto era a propulsione meccanica.
La seconda Guerra mondiale ha avuto conseguenze profondissime sulla situazione marittima, quale si era venuta riassestando nei 21 anni successivi al 1918, in seguito al perfezionamento dei mezzi di offesa sottomarini ed aerei, e per la maggior estensione del campo delle operazioni. Infatti, di fronte ai 13 milioni di t. di perdite accertate nel 1915-18, valutazioni non definitive fanno ascendere a oltre 40 milioni di t. le perdite della guerra 1939-45, così ripartite:
a queste occorre aggiungere alcuni milioni di t. di navi perdute, demolite e naufragate per fatti normali di navigazione.
In compenso, si sono avute oltre 50.000.000 di t. lorde di nuove costruzioni, delle quali circa 40.000.000 negli Stati Uniti, ed altri 6 milioni in Inghilterra e intorno a 4 milioni in Giappone: questi tre paesi hanno assorbito il massimo sforzo costruttivo degli anni di guerra, assommando a qualche milione di t. soltanto il contributo degli altri paesi. Cifre approssimate, ma sufficienti a dare un quadro preciso dei mutamenti intervenuti.
Solo alla fine di marzo 1948 il Lloyd's Register of Shipping ha pubblicato i primi dati delle sue statistiche del dopoguerra riferentisi al 30 giugno 1947, con un salto di ben otto anni. Ma neppure la vecchia istituzione inglese ha potuto assicurare la precisione delle sue elaborazioni, ed ha anzi espressamente avvertito che i dati pubblicati debbono considerarsi intermedî tra lo stato di guerra e quello di pace. Più di 4.000.000 di t. attribuiti al Giappone debbono essere depennati perché, da comunicazioni pervenute soltanto recentemente, risultano affondati. Anche per altri paesi, come la Francia e l'Italia, le cifre del Lloyd's Register si discostano notevolmente da quelle ufficiali dei rispettivi governi.
Quasi contemporaneamente, sono state rese note le statistiche della U. S. Maritime Commission riguardanti però le navi di stazza lorda superiore alle 2000 t. Si riportano, per un utile confronto, le cifre dell'una e dell'altra fonte per i principali paesi; in una terza colonna, sono i dati ufficiali per i paesi che li hanno pubblicati al 10 gennaio 1948, tutti riferiti al naviglio a propulsione meccanica.
Il naviglio velico e i galleggianti censiti dal Lloyd's ammontavano, al 30 giugno 1947, a 930.000 t. lorde: cifra praticamente irrilevante, di fronte alla massa delle navi a propulsione meccanica. La consistenza effettiva totale del naviglio mondiale si riduce a 78-79 milioni di t., con un aumento del 15% rispetto all'anteguerra.
Si riportano qui di seguito i principali dati delle elaborazioni integrative del Lloyd's. Il maggior aumento, rispetto al 1939, si è registrato nel numero delle unità di stazza unitaria superiore a 4000 t., passate da 3608 nel 1914 a 6309 nel 1939 e a 8669 nel 1947, con un processo accentuatosi negli anni di guerra, durante i quali l'attività costruttiva si è polarizzata verso le unità da carico di 7 ÷ 7500 t. lorde; le unità superiori a 10.000 t. sono passate da 478 nel 1939 a 969 nel 1947, grazie soprattutto alla costruzione in serie di grandi navi petroliere. Le navi superiori a 20.000 t. sono invece diminuite da 67 nel 1939 a 49 nel 1947, a causa delle perdite di grandi unità da passeggeri durante la guerra.
La partecipazione percentuale rispetto al totale mondiale delle navi a propulsione meccanica, di stazza lorda unitaria superiore alle 100 t., delle principali marine è così variata:
Mancano in questo novero le flotte germanica e giapponese che, al pari dell'italiana, hanno subìto gravissime perdite in seguito al conflitto. Mentre l'una è ridotta intorno al mezzo milione di t., l'altra ha una consistenza maggiore, di circa 1.500.000. La cifra di 5.808.000 t. circa per la flotta nipponica data dal Lloyd's Register, non ha alcun fondamento.
Quanto al tipo di combustione, v. nave, in questa App.
Uno degli aspetti caratteristici del dopoguerra è stato l'arretramento delle flotte europee, che nel 1938 superavano il 60% del tonnellaggio mondiale e che nel 1947 ammoritavano a circa il 40%. Tuttavia la loro situazione relativa va continuamente migliorando, grazie agli acquisti di navi "surplus" di guerra vendute dagli Stati Uniti sulla base dello speciale Ships sales Act del 1946, in numero di circa un migliaio di unità per 6 ÷ 7 milioni di t. lorde; e alle nuove costruzioni, assai intense, destinate per quasi quattro quinti dei cantieri europei a marine di nazioni europee. Un largo programma di sviluppo delle marine europee è pure previsto con l'attuazione dell'ERP che mira, tra l'altro, a ridurre la deficienza di tonnellaggio mercantile originata dal conflitto nei 16 paesi partecipanti, tra i quali un ruolo importante è ricoperto dall'Italia.
Nonostante l'incremento del tonnellaggio mondiale, i noli si mantengono elevati, in contrasto con la riduzione del quantum delle merci trasportate via mare. Anche per queste valutazioni occorre procedere a induzioni, essendo interrotta dal 1939 la pubblicazione degli indici dei noli, e mancando indagini specifiche sul volume dei traffici.
Alcuni indici del traffico mondiale mostrano però che esso va rapidamente recuperando i livelli di anteguerra: nel corso del 1947 il traffico delle merci attraverso il canale di Suez, con 30.688.000 t. ha superato del 6% la cifra registrata nel 1938; nell'anno fiscale, terminato il 30 giugno 1947, il traffico merci del canale di Panamá è stato inferiore con 21.670.518 t. del 22% a quello registrato nell'anno 1938-39. Tanto l'uno quanto l'altro accusano un aumento del 35 ÷ 45% rispetto all'esercizio precedente. Il traffico dei porti americani è aumentato rispetto all'anteguerra, ma è diminuito quello europeo, che assorbiva più della metà delle merci che si muovevano via mare nel mondo. Italia e Francia, che si trovano all'avanguardia del progresso in Europa, hanno già raggiunto rispettivamente l'80 e il 75% delle cifre prebelliche, ma i porti inglesi, olandesi, germanici, belgi, polacchi registrano più forti contrazioni, soprattutto per la riduzione delle esportazioni carbonifere: in complesso, mentre nel 1946 il quantum delle merci spostate via mare si faceva ammontare al 60 ÷ 66% del livello prebellico, nel 1947 si sarebbe giunti al 75 ÷ 80%.
Ma, come s'è accennato, l'aumento del naviglio e la riduzione del traffico non trovano riferimento nelle quotazioni dei noli.
Per sopperire alla mancanza di numeri indici attendibili, si è provveduto a calcolare un indice molto grezzo sulle quotazioni in scellini per t. di peso su rotte caratteristiche del commercio mondiale, benché la loro importanza relativa sia alquanto variata rispetto al 1938. Inoltre, una riserva importante va fatta per l'impossibilità di tener conto delle quotazioni per i carboni in uscita dagli Stati Uniti, ora predominanti, e nel 1938 del tutto inesistenti. Per il 1946 si sono prese le quotazioni del 2° semestre, epoca dalla quale si è potuto parlare di un mercato sufficientemente libero. Non si è tenuto conto dei noli petrolieri, i quali hanno un mercato a sé, e sono notevolmente più elevati di quelli per carichi secchi (vedansi i dati nella tabella alla colonna seguente, in alto).
Per tener conto della svalutazione della sterlina si è diviso l'indice così costruito per quello ufficiale dei prezzi all'ingrosso in Inghilterra con base 1938, che è stato 173 nel 1946 e 190 nel 1947, coi seguenti risultati: 1938 = 100; 1946 = 235; 1947 = 191.
Al principio del 1948, i noli effettivi sono ancora doppî di quelli del 1938, i quali, a loro volta, erano all'incirca pari di quelli del 1913. Questo aumento è però compensato dal forte incremento dei costi di esercizio, che già tecnici inglesi valutavano nel 1946 dal 125 al 150% in più di quelli prebellici e ciò per i seguenti capi: a) maggiori salarî agli equipaggi; b) allungamento del ciclo viaggio, con prolungamento delle soste in porto; c) aumento del costo dei combustibili, fino al 2 ÷ 300%; d) aumento dei viaggi di andata a vuoto; e) persistente rischio delle mine.
Delle tre specialità, il naviglio per i trasporti passeggeri è ancora molto al disotto della domanda, fatto dal quale trae vantaggio la concorrenza dell'aeronautica. Così sulla rotta del Nord Atlantico, le navi da passeggeri in servizio durante il 1947 sono state solo 42, contro 89 nel 1938. Anche la flotta cisterniera che ha subìto i più forti aumenti relativi, non è sufficiente, essendo la produzione petrolifera mondiale passata da 272 milioni di t. nel 1938 a 410 milioni di t. nel 1947, con un incremento maggiore in territorî lontani dai centri di consumo (Irān, Arabia Saudiana). Queste due specialità assorbono quasi completamente il lavoro di ricostruzione delle flotte, in riferimento al quale si riportano le seguenti cifre per i vari effettuati nei primi anni del dopoguerra, sempre secondo il Lloyd's Register of shipping: 1946: t. s. l. 2.127.421; 1947: 2.111.886.
Il grosso della flotta mondiale è dato dal naviglio non qualificato, destinato ai traffici delle merci di massa, che rappresenta, con la maggior parte delle costruzioni di guerra, un passo indietro nell'efficienza tecnica, e si avvia a diventare sovrabbondante, con il raccorciamento delle rotte, con la minor durata delle soste nei porti, e con la ripresa delle vecchie rotte con i viaggi a carico completo, tanto all'andata quanto al ritorno. Sulla base di questi elementi si è creata la convinzione di una prossima crisi dei noli, a meno che eventi imponderabili non intervengano a migliorare la domanda di navi. Peraltro, l'abbondanza dell'offerta è attualmente in parte rimediata con la messa in disarmo nella Reserve Fleet nordamericana, di circa 9.000.000 di t., in grande prevalenza per carico secco.
Le vicende della marina mercantile italiana sono state fra le più dolorose. Essa ha perduto 3.220.000 t. di navi tra affondate e catturate, su 3.536.516 t. possedute al 31 dicembre 1939. All'8 settembre 1943 non ne restavano, sotto il controllo del governo legale, che 300.000 t.; all'8 maggio 1945, data di cessazione delle ostilità, si avevano 402.519 t. a propulsione meccanica e circa 70.000 t. di velieri e motovelieri. Al 1° gennaio 1946, si era risaliti rispettivamente a 540.366 e g0.000 t.; al 1° gennaio 1947 a 1.159.146 e 106.000; ed al 1° gennaio 1948 a 1.863.107 e 116.046.
La marina mercantile italiana nel 1938 era ben bilanciata nelle sue varie specialità. Questa caratteristica è stata alterata dal conflitto, perché il naviglio di qualità è andato in gran parte distrutto. Infatti, contro 1.087.854 t. di navi miste e da passeggeri esistenti nel 1940 non ne erano rimaste che 191.547 t. alla fine del 1946, aumentate poi a 297.000 t. al 1° gennaio 1948. La ricostruzione si è avuta principalmente nelle navi da carico secco e nelle navi-cisterna, grazie agli acquisti di navi americane vendute come "surplus", delle quali 95 sono navi Liberty da 7500 t. lorde; 9 sono navi del tipo n. 3 da 2200 t. lorde, tutte per carichi secchi; e 20 sono navi-cisterna del tipo T-2 da 10.160 t. lorde.
La ripartizione per tipo del naviglio italiano a propulsione meccanica, di stazza lorda unitaria superiore a 100 t., al 10 gennaio 1948 era la seguente:
La tabella a p. 269 dà infine un quadro riassuntivo, sempre per le stesse unità a propulsione meccanica, di s. l. superiore a 100 t., del lavoro di ricostruzione della flotta italiana.
Alla stessa data erano in corso di costruzi0ne, di restituzione, acquisto, ripristino ecc. altre 450.000 t. circa.