marina
Il sostantivo è usato nell'accezione più ampia di " mare " in Pg XIV 35 infin là 've [l'Arno] si rende per ristoro / di quel che 'l ciel de la marina asciuga, / ond'hanno i fiumi ciò che va con loro, dov'è icasticamente descritto il processo circolare per il quale l'acqua del mare fatta evaporare dal calore del sole forma le nubi che, condensandosi, precipitano a terra in forma di pioggia, alimentando le sorgenti e i corsi dei fiumi e tornando così al mare (cfr. Ristoro d'Arezzo Della composizione del mondo VI 5 " Per questo si dice che i fiumi escono del mare ed entrano nel mare ").
Nell'immagine di Pg I 117 L'alba vinceva l'ora mattutina / che fuggia innanzi, sì che di lontano / conobbi il tremolar de la marina (certamente ripresa da Aen. VII 9 " splendet tremulo suo lumine pontus "; altre reminiscenze, da Ovidio e da Claudiano, sono citate dal Raimondi, in Lect. Scaligera II 32), e nel passo di Pg IX 45 Dallato m'era solo il mio conforto, / e 'l sole er'alto già più che due ore, / e 'l viso m'era a la marina torto, il significato appare prossimo all'accezione più specifica di " tratto di mare presso una costa ", con la quale il sostantivo è assunto anche in If V 98 (la marina dove 'l Po discende / per aver pace co' seguaci sui), Pg II 100 (la marina... / dove l'acqua di Tevero s'insala), VI 86 (cerca, misera [Italia], intorno da le prode / le tue marine), XIV 92 (E non pur lo suo sangue è fatto brullo, / tra 'l Po e 'l monte e la marina e 'l Reno).