MARESCA, Mariano
– Nacque a Piano di Sorrento il 23 maggio 1884 da Pasquale e da Angela De Gennaro. Nel 1912 si laureò in filosofia all’Università di Napoli, dove fu allievo di F. Masci. Dedicatosi all’insegnamento, fu supplente di pedagogia nel 1913 presso la scuola normale L. Settembrini di Napoli; nel 1914, di filosofia e di pedagogia e morale a Lucca, rispettivamente presso il liceo N. Machiavelli e la scuola normale L.A. Paladini; infine, nel 1915, di pedagogia e morale presso la scuola normale e complementare femminile R. Govone di Mondovì.
Nel 1914 aveva intanto conseguito la libera docenza in pedagogia presso l’Università di Torino; la sua attività filosofica era iniziata con una comunicazione, presentata al IV congresso internazionale di filosofia tenutosi a Bologna nel 1911, su Il valore dell’elemento conoscitivo della religione (Ascoli Piceno 1911).
Un tema, quello della religione – concepita come una forma concreta della vita dello spirito affatto distinta dalla filosofia e irriducibile a qualsiasi principio logico, come una sfera spirituale originaria, del tutto eterogenea rispetto alle categorie della razionalità, espressione di un bisogno vitale, di un’esigenza spontanea dell’uomo – su cui il M., anche in forza di una giovanile esperienza come sacerdote, tornò ripetutamente a riflettere nel corso della propria attività scientifica, esaminandolo da varie angolature e prospettive e in relazione con altre dimensioni della vita spirituale limitrofe e affini. Le sue concezioni in materia religiosa, svolte in numerosi saggi pubblicati in riviste scientifiche di varia ispirazione, trovarono organica e compiuta espressione nel volume Il problema della religione nella filosofia contemporanea (Roma-Città di Castello 1932), da alcuni salutato, con reminiscenza kantiana, come la quarta critica, la critica della fenomenologia religiosa.
L’attenzione e l’impegno scientifico del M. appaiono comunque inizialmente concentrarsi attorno alla pedagogia, a partire dall’Appendice sul pensiero di J.F. Herbart pubblicata negli Scritti herbartiani di N. Fornelli (Roma 1913, corredato anche da note del M.); è lungo tale prospettiva, infatti, che si muovono alcuni dei suoi primi, fondamentali lavori: Fatto etico e fatto pedagogico, Lucca 1914; Il problema gnoseologico della pedagogia e il fine dell’educazione: appunti critici, ibid. 1914; Introduzione alla didattica, Catania 1915; Le antinomie dell’educazione, Torino 1916; La lezione, Roma 1919; La pedagogia sta da sé? Saggio critico sulle correnti della pedagogia contemporanea, ibid. 1920.
Decisamente critico nei confronti dello scientismo pedagogico di ispirazione positivista e contemporaneamente risoluto nel denunciare i limiti dell’idealismo pedagogico, in particolare della totale risoluzione compiuta da G. Gentile della pedagogia nella filosofia, il M. ha ripetutamente riproposto al centro della sua attenzione la questione del rapporto di stretta interlocuzione tra filosofia e pedagogia, insistendo in ogni caso sul tema dell’«autonomia» e dell’«identità» di quest’ultima, quale ambito di riflessione essenzialmente orientato al riconoscimento della struttura dualistica dell’educazione concepita come un processo dinamico volto a realizzare e a organizzare l’essenza della vita spirituale attraverso la sintesi degli elementi antinomici a essa immanenti: infinito-finito, assoluto-relativo, eterno-effimero, libertà-necessità, universale-particolare.
Nel marzo del 1916 il M. fu chiamato alle armi come sottotenente nel XXXVI battaglione della milizia territoriale a Fossano e inviato, il 15 dicembre, in zona di guerra «alle dirette dipendenze del comando supremo». Tenente nel 6° reggimento mitraglieri della 6ª armata, nel giugno 1918, fu insignito con la croce al merito di guerra.
Vicino ai circoli modernistici napoletani, autore, tra il 1913 e il 1917, di una serie di contributi apparsi ne La Nuova Riforma di G. Avolio, fu indotto, per la personale esperienza di conflitto con la Chiesa, ad abbandonare l’iniziale scelta sacerdotale. Ottenuta, dopo la guerra, la reductio in statum laicalem e la dispensa dal celibato, sposò, nel 1919, Maria Felicia Cappiello dalla quale ebbe sette figli (Angela, Glauco, Iride, Ovidio, Renata, Clara, Ottavia) tutti ancora minorenni quando la moglie morì, il 18 sett. 1936.
Vincitore di concorso nei licei, nel 1920 optò per la sede di Genova, ma le difficoltà incontrate nel trovare un alloggio conveniente lo indussero ad accettare un posto di professore di filosofia nel liceo di Tunisi, dove rimase fino al 1923 e dove ebbe modo di toccare con mano le gravi deficienze del governo italiano nella politica scolastica in quel Paese (cfr. M. Maresca, Attività scolastica del governo italiano in Tunisia, in L’Africa italiana. Boll. della Soc. africana d’Italia, XL [1921], 3, pp. 102-109).
Conseguita, nel 1923, l’idoneità nel concorso alla cattedra di pedagogia dell’Università di Messina, dal 16 ottobre fu chiamato a coprire in qualità di straordinario tale insegnamento presso la facoltà di lettere e filosofia dell’ateneo di Pavia. Benché gli fosse stato proposto il trasferimento alla stessa cattedra del R. Istituto superiore di magistero di Roma, il M. rimase a Pavia, forse anche in considerazione del ruolo che tale Università aveva avuto quale centro di propagazione del neokantismo in Italia; qui pronunciò la sua prima lezione universitaria il 26 novembre con una prolusione dal titolo Il valore della conoscenza pedagogica (Milano-Roma-Napoli 1924), inizialmente apparsa nella Rivista pedagogica, con la quale, proprio in questo periodo, iniziò un rapporto di febbrile e feconda collaborazione, espletandovi, «a tutti gli effetti, le funzioni di un “direttore aggiunto”» (D’Arcangeli, p. 139).
Sulle pagine del periodico, fondato e diretto da L. Credaro, il M., oltre a illustrare alcuni momenti della propria teoresi, delineò le ragioni del suo dissenso nei confronti della gentiliana riforma della scuola che, ispirata a un «idealismo statolatra», si rivelava ai suoi occhi «un groviglio di assurdità» (cfr. lettera a E. Formiggini Santamaria, da Napoli, 7 ag. 1926, conservata in Modena, Biblioteca Estense universitaria, Arch. editoriale Formiggini, Fondo Formiggini).
Firmatario, nel 1925, del crociano Manifesto degli intellettuali antifascisti, in difesa dei principî di libertà contro il modello culturale sotteso alla proposta gentiliana, si piegò nel 1931 a prestare giuramento al regime rifiutando tuttavia l’iscrizione al Partito nazionale fascista (PNF) sino al 1940 quando, in seguito a una circolare relativa alla riapertura delle iscrizioni per gli ex combattenti, dovette rassegnarsi a chiedere la tessera.
Seguace del neocriticismo, il M. – a partire da alcuni lavori: Realismo ed idealismo nel problema gnoseologico della realtà esterna ed il loro valore per la pedagogia, Tunisi 1922; La sensazione (Analisi gnoseologica), in Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, LVII (1921-22), 10-11, pp. 435-473; La percezione sensoriale (appunti di critica gnoseologica), in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, LV (1922), 11-15, pp. 355-378 – assunse, attraverso una personale rielaborazione di elementi di matrice neokantiana e idealista, una posizione originale relativamente al problema della conoscenza in cui egli individuava il problema centrale e propedeutico della filosofia, premessa indispensabile per la fondazione di una metafisica critica, in quanto dottrina filosofica della realtà. È a questo problema che il M. rivolse incessantemente la sua analisi nel tentativo di indagare criticamente il funzionamento, la struttura, l’evoluzione dell’attività conoscitiva.
Apertamente ostile nei confronti, da un lato, di un monismo realistico più incline a ricondurre l’originalità formale del pensiero a momento del contenuto, dall’altro, del monismo idealistico teso viceversa a derivare il contenuto del pensiero dall’originaria e assoluta attività del pensare, in quanto polarizzazioni estreme tese a concepire il rapporto tra pensiero e realtà come un processo omogeneo e a eludere la problematicità della relazione come sintesi d’esigenze eterogenee, il M. denunciava, in ogni caso, a differenza di altri neokantiani, la duplice illusione realistica in cui era incorso I. Kant col trasformare i fattori trascendentali della sintesi a priori in radici ontologiche della nostra conoscenza, vale a dire in due realtà assolute, oggetto di una ipotetica intuizione, «una di carattere formale (forme a priori della sensibilità e categorie dell’intelletto concepite come immutabili e assolute), e una di carattere realistico ontologico (il noumeno, l’essere in sé assoluto delle cose)» (M. Maresca, Autopresentazione, in Filosofi che si confessano, a cura di G.M. Sciacca, Messina 1948, p. 172).
Se il M., infatti, difendeva la validità della impostazione gnoseologica kantiana tesa a sottolineare l’unità concreta e vivente di forma e materia, pensiero e contenuto, soggetto e oggetto, di contro all’unilateralità delle posizioni idealistiche e positivistiche, egli non poteva comunque fare a meno di rimarcare, nel prosieguo della sua riflessione teoretica, la contraddittorietà e intenibilità di una impostazione volta da un lato a concepire lo spirito umano «come attività assoluta, originaria, che detta leggi fisse ed immutabili all’esperienza, la quale non reagisce, ma riceve semplicemente i quadri formali dell’intelligenza» e dall’altro, per ciò che concerne la radice originaria del «contenuto del conoscere» come «cosa in sé», a proiettare sulla conoscenza effettiva «l’ombra del dubbio» rendendola «soggettiva ed apparente» (ibid., p. 173). Procedendo lungo questa linea il M. attribuiva alla sensazione, nell’economia complessiva della conoscenza umana, un ruolo tutt’altro che passivo, proprio in quanto vi coglieva non già la semplice materia dell’intuizione empirica cui si applicherebbero le forme a priori, ma piuttosto un vero e proprio centro iniziale di attività psichica, di cui i livelli ulteriori della coscienza rappresenterebbero la continuità e lo sviluppo. L’approfondimento delle problematiche relative al senso dei «costituenti originari o trascendentali dell’esperienza» conduceva il M., nel prosieguo della sua riflessione (I fondamenti filosofici dell’attività educativa, in Rivista pedagogica, XXVII [1934], 2, pp. 161-177; Moralità e conoscenza (Critica del razionalismo morale), Roma 1939), a concepire il rapporto tra forma e contenuto, in cui Kant aveva colto la «struttura della conoscenza», quale rapporto originario e assoluto tra esigenze eterogenee e irriducibili, come un aspetto del rapporto tra pensiero assoluto e volontà – ossia azione – assoluta (tra il cogito e il volo), tra un a priori teoretico e un a priori pratico senz’altro concepiti nella loro unità-distinzione come le condizioni, le radici trascendentali dell’esperienza spirituale, come i poli della realtà, la cui sintesi si svolge liberamente secondo un ritmo né stabile né univoco, e di cui l’uomo, come centro particolare di esperienza, cioè come spiritualità concreta, è libera attuazione, che si fa in maniera consapevole e volontaria. Suprema categoria della vita dello spirito, la nozione di libertà, irriducibile come tale a semplice concetto, appariva in definitiva al M. l’esito di un percorso educativo iscrivibile all’insegna di uno sviluppo fenomenologico dello spirito come processo di redenzione totale dell’uomo da tutti i fattori di asservimento spirituale (Principî di una teoria dell’educazione come redenzione totale dell’uomo, in Rivista di filosofia, XXI [1930], 2, pp. 94-114; I fondamenti filosofici dell’attività educativa, in Rivista pedagogica, XXVII [1934], 2, pp. 161-177; Introduzione generale alla pedagogia, Roma 1937).
Nell’ottobre 1936 il M. fu trasferito alla neoistituita cattedra di filosofia morale per passare, dal 1° dic. 1938, a quella di filosofia teoretica, conservando comunque l’incarico, periodicamente rinnovato, per l’insegnamento della pedagogia. Il 16 nov. 1940 sposò in seconde nozze Margherita Marini. Nominato il 10 ag. 1943, durante il governo Badoglio, dal prefetto G. Vitelli di Pavia, preside della locale amministrazione provinciale, ricoprì tale incarico fino al 22 ottobre, data dell’occupazione di Pavia da parte delle forze nazifasciste. Fermato dai nazifascisti il 19 ag. 1944, fu scagionato da ogni imputazione e rilasciato il 29 dello stesso mese. Dal 28 aprile al giugno del 1945 tenne la presidenza del Comitato di liberazione nazionale (CLN) provinciale in rappresentanza del Partito d’azione. Nell’anno accademico 1945-46 fu eletto preside della facoltà di lettere e filosofia dell’ateneo pavese.
La condanna in contumacia del figlio Glauco a 14 anni di carcere per aver partecipato all’uccisione, il 1° genn. 1946, di un giovane già militante delle Brigate nere, e dell’altro figlio Ovidio, per il ferimento, qualche tempo dopo, di un altro pavese, nonché il sospetto, risultato poi infondato, di un suo diretto coinvolgimento nella progettazione di un’azione tesa a liberarli, insieme con altri partigiani detenuti, utilizzando armi nascoste all’interno dell’Università – azione in cui risultò implicata la figlia Iride –, segnarono drammaticamente l’ultimo periodo della vita del M., provocandogli uno stato di profonda prostrazione.
Autore, nel 1946, di una serie di articoli apparsi ne La Cittadella di Bergamo, nel 1947, fra le pagine del suo ultimo libro (Libertà e scuola nello Stato democratico, Milano 1947), il M. difese l’urgenza di una radicale riforma della scuola, quale strumento per promuovere, diffondere e consolidare i valori della libertà e della democrazia.
Una riforma progettualmente centrata sulla difesa dell’autonomia della scuola dall’ingerenza politica o religiosa, sulla sua apertura a una dimensione culturale di respiro internazionale, sul principio dell’obbligatorietà del triennio postelementare per tutti, sulla scuola media unica e conseguente sostituzione del latino con una lingua moderna, sul principio dell’aconfessionalità dell’insegnamento religioso.
Il M. morì a Pavia il 21 marzo 1948.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale istruzione universitaria, Fascicoli personali dei professori ordinari, III versamento, b. 295, ad nomen; Pavia, Università degli studi, Archivio di deposito, Fascicoli personali, ad nomen. Vedi ancora: U. Spirito, L’idealismo italiano e i suoi critici, Firenze 1930, pp. 174-177; E. Formiggini Santamaria, M. M., Correnti di pedagogia italiana contemporanea, in Enciclopedia delle enciclopedie. Pedagogia, Roma 1931, pp. 204-214; L. Cappiello, Il pensiero filosofico e pedagogico di M. M., in Rivista pedagogica, XXIX (1936), 2, pp. 158-213; M.F. Sciacca, La revisione del neocriticismo del Masci: M. M., in Id., Il secolo XX, Milano 1947, pp. 160-165; G. Bontadini, M. M. (1884-1948), in Università degli studi di Pavia, annuario a.a. 1948-49, Pavia 1949, pp. 189-191; A. Reitano, M. M., in Ateneo pavese, XVI (1964), 3, p. 4; A. Pane, Una cattedra di antifascismo, in La Voce repubblicana, 30 dic. 1965; Onoranze a M. M.: 19 sett. 1965, Aversa s.d.; F. Cafaro, Una mente e un carattere: M. M. (1884-1948), in Id., Figure e momenti della pedagogia italiana, San Severino Marche 1970, pp. 175-181; E. Giammancheri, La struttura della pedagogia secondo M. M., in Pedagogia e vita, 1972, n. 5, pp. 486-507; F. Cambi, M. M. e la struttura della pedagogia, in Id., L’educazione tra ragione e ideologia: il fronte antidealista della pedagogia italiana, 1900-1940, Milano 1989, pp. 98-107; P. Mulè, I principî della pedagogia di M. M., in I Problemi della pedagogia, XLV (1999), 4-6, pp. 469-490; V. Russo, Esperienza e libertà: la vita spirituale e il processo educativo nel pensiero di M. M., in La Terra delle sirene, 1999, n. 17, pp. 49-65; M.A. D’Arcangeli, Luigi Credaro e la «Rivista pedagogica» (1908-1939), Roma 2000, pp. 137-150; P. Mulè, I principî teorici della pedagogia di M. M., Cosenza 2001; E. Signori, M. M. filosofo e educatore civile, in Id., Minerva a Pavia. L’ateneo e la città tra guerre e fascismo, Milano 2002, pp. 255-274.