SOZZINI (Socini), Mariano il Vecchio
SOZZINI (Socini), Mariano il Vecchio. – Nacque a Siena, dove fu battezzato il 12 agosto 1397, da Sozzino di Giovanni di ser Mino e da Margherita Malavolti.
La morte prematura del padre, artefice delle fortune della famiglia, lo costrinse a farsi carico, insieme con il fratello maggiore Giovanni, della gestione del patrimonio familiare, affrontando controversie con i parenti, alienando a vario titolo una parte consistente degli immobili e assumendo obbligazioni per somme rilevanti nei confronti del cognato Ugo Benzi, il celebre medico coniugato con la sorella Ladia. Ebbe comunque la possibilità di intraprendere gli studi giuridici presso l’Università di Siena, almeno a partire dal 1417, in diritto civile sotto la guida dapprima di Cristoforo e Franchino da Castiglione e poi di Antonio Roselli, e nel contempo in diritto canonico, avendo per maestro il maggior canonista del tempo, Niccolò dei Tedeschi, detto l’Abate Panormitano.
Nel patrio ateneo tenne, già nel secondo anno di studi, una repetitio civilistica e successivamente, nell’anno accademico 1424-25, sempre da scolaro, fu condotto a un insegnamento di diritto civile con il salario di 20 fiorini d’oro. Dopo avere conseguito il dottorato in utroque iure, presumibilmente tra il 1426 e il 1427, fu incaricato di leggere, nell’anno accademico 1427-28, il Liber Sextus e le Clementinae in concorrenza con il canonista fiorentino Roberto Cavalcanti ed ebbe confermata la stessa condotta per l’anno accademico 1428-29, con il salario di 30 fiorini d’oro. Nello stesso periodo, frequentando l’ambiente universitario senese, strinse amicizia con il giovane Enea Silvio Piccolomini, studente di legge e allievo di Roselli, e con altri umanisti, quali Antonio Beccadelli, detto il Panormita, assistette alle lezioni del teologo agostiniano Gabriele da Spoleto e ascoltò i sermoni e le prediche di Bernardino degli Albizzeschi, con il quale disputò, anche in privato, su argomenti di rilevanza giuridica e morale.
Il magistero di Sozzini incontrò subito l’apprezzamento del governo senese, che nel giugno del 1429 e nel settembre del 1430 deliberò di portargli lo stipendio annuo a 70 fiorini d’oro, confermandogli la lettura sul Liber Sextus e le Clementinae, ma nell’estate del 1430 lo scoppio della peste lo costrinse a lasciare precipitosamente Siena e a trasferirsi, insieme con il collega Bartolomeo Borghesi, a Padova, dove insegnavano autorevoli docenti: nella facoltà medica Ugo Benzi e in quella giuridica Paolo di Castro, Antonio da Pratovecchio e Prosdocimo dei Conti. Nell’ambiente universitario patavino, secondo la testimonianza del giovane umanista Pietro del Monte, Sozzini dette ampiamente prova delle sue doti intellettuali e delle sue capacità dialettiche nelle dispute accademiche, a tal segno che gli fu offerto di restare in quello Studio per tenervi un insegnamento, ma la proposta risultò irrealizzabile. Nel gennaio del 1431, infatti, Mariano era di nuovo a Siena, dove prendeva in moglie Nicola di Bartolomeo Venturi, ricevendo in dote 1450 fiorini d’oro, mentre la sua fama di giureconsulto si andava diffondendo, tanto che un autorevole prelato, Domenico Capranica, richiese il suo parere circa la validità della propria nomina a cardinale.
Peraltro il ritorno in patria non fu confortante: il soggiorno a Siena dell’imperatore Sigismondo, nell’estate del 1432, significò per Sozzini l’invio al confino, dapprima a Corsignano e poi a Montalcino, poiché i partiti al governo e in particolare i noveschi temevano che si ripetesse quanto accaduto nel 1355, in occasione della visita del padre di Sigismondo, Carlo IV, allorché la fazione alla quale i Sozzini appartenevano, detta dei Dodici, aveva rovesciato quella dei Nove e si era impadronita del potere. Anche la nuova condotta nello Studio senese risultò deludente: nell’agosto del 1432, infatti, a Mariano fu assegnato un compenso annuo di 30 fiorini d’oro, che tale restò anche quando, nell’aprile del 1433, egli ricevette l’incarico di subentrare a Tedeschi nello svolgimento del corso ordinario di diritto canonico, mentre di lì a poco, in luglio, il giovanissimo collega civilista Ludovico Pontano sarebbe stato condotto con uno stipendio più che decuplicato. Forse per questa ragione, nella tarda estate dello stesso anno, Sozzini si recò dapprima a insegnare a Ferrara, dove si era da poco trasferito Benzi con la sua famiglia, nella speranza di ricevere un trattamento economico più dignitoso, e nel novembre del 1433, dinanzi a una vaga promessa del governo senese di soddisfare le sue richieste, decise di non fare ritorno in patria e si fermò a Firenze, dove insegnò per circa tre anni, proprio mentre vi soggiornava anche la Curia di papa Eugenio IV. In tale ambiente ritrovò il suo maestro Roselli e i colleghi Cavalcanti e Pontano.
Nello stesso tempo, anche se i governanti senesi continuavano a stimarlo per le sue qualità professionali e richiedevano i suoi pareri, i rapporti restavano tesi sul piano politico, tanto che nell’aprile del 1436 Sozzini fu confinato a Magliano, località insalubre della Maremma, e in agosto, mentre si trovava a Poggibonsi gravemente ammalato, ricevette l’autorizzazione a porre la propria dimora a non meno di dieci miglia da Siena. Continuando la malattia, gli venne successivamente concesso di recarsi di nuovo a Ferrara per farsi curare da Benzi con l’impegno, mediante una fideiussione di mille fiorini, di ritornare in patria appena i Savi dello Studio avessero richiesto le sue prestazioni didattiche. Nell’ottobre del 1436, infatti, venne condotto per un anno, senza indicare la disciplina né l’importo della retribuzione, e finalmente nel giugno del 1437 fu assunto per i due anni accademici successivi, questa volta precisando che si trattava della lettura ordinaria mattutina di diritto canonico, retribuita con lo stipendio di cento fiorini d’oro all’anno. L’affidamento di un corso ordinario significò per Sozzini il passaggio alla lettura del Liber Extra di Gregorio IX: tra il 1436 e il 1438, infatti, egli iniziò a commentare i titoli De accusationibus e De homicidio voluntario vel casuali.
Tuttavia già nell’aprile del 1438 chiese di essere esonerato dall’insegnamento per motivi di salute e non bastandogli le cure termali ai bagni di Petriolo, dove ebbe modo di incontrare gli umanisti Leonardo Bruni e Berto Ildibrandini e il cardinale Giuliano Cesarini, si recò di nuovo a Ferrara. Nella città degli Este Eugenio IV aveva trasferito d’autorità il Concilio di Basilea provocando gravi lacerazioni; fu in tale circostanza che Sozzini si adoperò per convincere il proprio governo ad accogliere a Siena i padri conciliari. Ma la sua appartenenza politica e soprattutto i contatti che ancora manteneva con un noto fuoruscito insospettirono i suoi concittadini e provocarono il fallimento della coraggiosa iniziativa, a tutto vantaggio di Firenze, dove il 6 luglio 1439 fu proclamata la storica, seppure effimera, riconciliazione tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa.
Nel novembre del 1438 Sozzini era tornato a insegnare nel patrio ateneo e la condotta gli venne rinnovata per quattro anni accademici, dal 1439-40 al 1442-43, durante i quali egli commentò il titolo De sententia et re iudicata del Liber Extra e proseguì l’analisi del De accusationibus, dedicando speciale attenzione al capitolo Qualiter et quando, fatto oggetto di un’ampia trattazione, che successivamente Felino Sandei e Tommaso Diplovatazio considerarono pienamente esaustiva. In una lettera del 19 settembre 1443 diretta a Piccolomini, che intanto era divenuto segretario del cancelliere imperiale Kaspar Schlick e che stava per dedicare all’amico Mariano l’Historia de duobus amantibus, il giurista senese affermò di avere pubblicato commentari sulle decretali e di avere composto ben ventiquattro trattati, tra i quali più di recente il De sortibus dedicato al cardinale Bessarione, ma di avere rinunciato, per quell’anno, alla lettura universitaria, «quoniam aliquando vivere, non semper degere vitam institui» (Enea Silvii Piccolominei, epistolarium seculare..., 2007, p. 176).
Pochi giorni prima, infatti, Eugenio IV era partito da Siena dopo un lungo soggiorno, durante il quale Sozzini aveva potuto consolidare i suoi rapporti con cardinali e prelati del seguito papale, ottenendo il titolo di avvocato concistoriale e l’invito del pontefice a entrare nella Curia romana. Il governo senese, però, rispose subito al pontefice negando l’autorizzazione alla partenza del «famosissimo» professore, poiché si preoccupava del danno che l’ateneo cittadino avrebbe patito, e contemporaneamente gli rinnovò la condotta per gli anni accademici 1443-44 e 1444-45, fissando a 115 fiorini d’oro il suo stipendio annuo, che in seguito, per il biennio dal 1445 al 1447, venne elevato a 145 fiorini, mentre egli acquisiva, con vent’anni di insegnamento, la qualifica di conte palatino.
Peraltro, nello stesso periodo i rapporti con le fazioni al potere in Siena non migliorarono, giacché Sozzini dovette dapprima sopportare la detenzione nel palazzo comunale con l’accusa di non avere adempiuto, insieme con altri concittadini, alla fideiussione a favore del mercenario Angelo Morosini, che era stato al servizio dei senesi e si trovava in prigione per debiti contratti verso un gruppo di mercanti fiorentini.
Nell’autunno del 1447, a causa dello stato d’emergenza provocato dalla presenza di re Alfonso V d’Aragona nel territorio senese, fu nuovamente spedito al confino, dapprima a Massa Marittima e poi nel villaggio di Vico d’Arbia a breve distanza da Siena, sempre con la motivazione della sua appartenenza alla fazione dei Dodici. Per tale ragione egli non fu in grado di andare subito a Bologna, dove in ottobre era stato chiamato a tenere la lettura ordinaria serale delle Decretali per l’anno accademico 1447-48, ma è presumibile che vi si recasse al termine del periodo di confino, nel gennaio del 1448. Per l’arco di tempo considerato, la sua attività esegetica, sia a Siena sia a Bologna, continuò a svolgersi sul Liber Extra, del quale egli commentò diversi capitoli e titoli, compresi nel primo, secondo e quinto libro, oltre a produrre un Tractatus in materia oblationum.
Alla metà del XV secolo il Concistoro della Repubblica senese definiva Sozzini «doctissimus et in omni Italia celeber iureconsultus» (Nardi, 1974, p. 135), e infatti i suoi pareri erano richiesti da principi e personaggi autorevoli d’ogni parte d’Italia e in controversie di notevole valore economico. Anche se dichiarava di non accettare cause in Siena, non poteva rifiutarsi di rilasciare pareri al governo della sua città e, pur lamentandosi di non ricavare abbastanza dall’esercizio della professione forense e dalle rendite dei suoi possedimenti, doveva comunque provvedere all’amministrazione del patrimonio familiare e al sostentamento dei figli, tra i quali Bartolomeo si distingueva per acume e impegno negli studi, e dei nipoti rimasti orfani. Fu probabilmente anche per queste ragioni che Sozzini restò a insegnare nel patrio ateneo almeno sino all’anno accademico 1456-57, arrivando a percepire uno stipendio di 160 fiorini d’oro, che era il più alto tra quelli assegnati a docenti senesi, e nello stesso tempo proseguì la lettura del Liber Extra, esaminando i titoli del secondo libro, concernenti prevalentemente istituti di diritto canonico processuale, e pubblicando i trattati De citationibus e De visitatione. Alla stesura di quest’ultimo attese nella villa di campagna di Scopeto, dove si stabilì tra l’ottobre e il novembre del 1457 per sfuggire alla peste, continuando a rilasciare pareri ai suoi clienti, anche in forma epistolare e in lingua volgare, e a curare la gestione dei propri beni patrimoniali.
L’elezione di Piccolomini al pontificato, avvenuta il 19 agosto 1458, influì positivamente sulla reputazione e sull’attività professionale di Sozzini e gli permise di instaurare rapporti amichevoli non solo con gli ambienti curiali, ma anche con personaggi di spicco della politica e del mondo finanziario del tempo, come Giovanni di Cosimo de’ Medici e il banchiere Ambrogio di Nanni Spannocchi. Tra la tarda estate e l’autunno del 1458 Mariano fu a Roma per fare visita al vecchio amico divenuto papa e per esercitare il patrocinio di avvocato concistoriale occupandosi soprattutto di cause matrimoniali, come continuò a fare anche in seguito.
Non mancarono, durante il pontificato di Piccolomini, altre occasioni di incontro, come nell’aprile 1459, allorché il pontefice passò da Siena diretto a Mantova per la preparazione della crociata e Sozzini lo seguì almeno sino a Firenze, riuscendo a procurare alla Repubblica senese la bolla di concessione perpetua dei diritti già spettanti alla Sede apostolica sul castello di Radicofani. Successivamente, tra l’inverno e la primavera del 1460, Pio II fu di nuovo a Siena e nell’autunno del 1462 soggiornò nella sua Corsignano, divenuta Pienza, mentre l’amico giureconsulto dimorava a breve distanza, nel borgo di Asciano, dove risiedeva anche la Cancelleria papale.
Tali frequentazioni giovarono sicuramente a Sozzini anche in patria, dove, pur restando escluso dalle cariche pubbliche per il suo antico legame con la fazione dei Dodici, riscuoteva ancora la fiducia del governo, tanto che tra il 1462 e il 1465 ottenne importanti consulenze e la nomina in una commissione incaricata di riformare il sistema di tassazione degli immobili. Conservò inoltre il corso ordinario di diritto canonico nello Studio, arrivando a percepire, nel 1465, uno stipendio annuo di 250 fiorini d’oro.
Continuò, pertanto, a leggere il Liber Extra, commentando più estesamente i primi titoli del quarto libro in materia di rapporti matrimoniali e rielaborando il titolo De causa possessionis et proprietatis del secondo libro, in modo da ricavarne diversi trattati concernenti per lo più le azioni processuali a tutela del diritto di proprietà e delle situazioni possessorie.
Proprio mentre attendeva alla redazione di uno di questi trattati, lo colse la morte, il 30 settembre 1467.
La produzione scientifica di Sozzini ebbe notevole diffusione, mentre egli era ancora in vita, come attesta il gran numero di manoscritti che hanno tramandato la maggior parte delle sue opere esegetiche e dei suoi consilia. A dieci anni dalla sua scomparsa e soprattutto tra gli anni Ottanta e Novanta del XV secolo furono dati alle stampe trattati e repetitiones che nel corso del Cinquecento entrarono a far parte di ampi commentari canonistici più volte editi. Agli inizi del XVI secolo fu pubblicato il primo volume di consilia al quale se ne aggiunsero altri quattro, ma di essi solo il quinto comprendeva prevalentemente pareri rilasciati da Sozzini, mentre il secondo e il terzo erano formati esclusivamente da consilia del figlio Bartolomeo.
Ad accrescere la fama di Sozzini presso i posteri contribuì il ritratto che di lui tracciò Piccolomini nel De viris illustribus e in un’epistola a Kaspar Schlick, lodando non solo la sua opera di giurista, ma anche, in modo piuttosto iperbolico, le sue attitudini di letterato e artista, tanto da indurre Georg Voigt e Jakob Burckhardt ad annoverarlo tra quegli «uomini universali» che, secondo i due storici, avrebbero segnato l’età dell’Umanesimo. Studi più approfonditi sull’opera di Sozzini hanno chiarito, invece, che nonostante i suoi stretti rapporti con molti e autorevoli umanisti e i suoi molteplici interessi culturali, egli analizzò ed espose i contenuti delle fonti del diritto comune applicando rigorosamente il metodo dialettico tipico della scuola dei commentatori e pur consultando su questioni etimologiche studiosi da lui stesso definiti «peritissimi» come Francesco Filelfo e Gasparino Barzizza, non recepì mai il metodo filologico adottato dagli umanisti, preferendo attenersi sempre ai testi d’autorità.
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