DATI, Mariano
Figlio di Matteo di Cecco, nacque a Siena nel 1406, e vi fu battezzato il 27 marzo. Di professione cimatore (lo dice firmando il poemetto L'incontro di Federigo III imperatore con Eleonora del Portogallo), prese in moglie la figlia - le fonti non ce ne hanno tramandato il nome - di un conciatore, Antonio di Marco detto il Pallazola, dalla quale ebbe quattro figli, tre femmine ed un maschio (nel 1453 quest'ultimo aveva appena tre mesi, mentre la maggiore delle sue sorelle era già m età da marito). Abitava nel terzo di Camollia, popolo di S. Donato. Al lavoro di artigiano alternò l'attività poetica, che doveva avergli fatto acquistare una certa notorietà tra il popolo senese, se è vero quanto dice in più luoghi dell'Incontro, di essere stato spinto a scriverlo dall'insistenza di "alcuni ... cittadini".
Della sua attività poetica, comunque, ci restano solo il poemetto citato, composto nella tarda primavera del 1452, ed il sonetto "Era 'l sicondo di vespar sonato" che ricorda la fine del lavoro di trascrizione, su quello che sarebbe poi diventato il codice Bodleiano 285, dell'Eneide volgarizzata dal senese Ciampolo di Meo degli Ugurgieti. Il sonetto ricorda infatti che era il giorno dell'Immacolata Concezione (dunque l'8 dicembre) del 1454, "quando Marian di Matheo cimatore 1finì copiare el testo et le postille 1di questo clar poeta, almo ed decore, 1che 'nfino al ciel mandò le sue faville". Con questa terminano le notizie relative al D. in nostro possesso.
Il D. scrisse la sua opera di maggior respiro in occasione dell'incontro, avvenuto a Siena, tra l'imperatore Federico III d'Asburgo e la figlia dei re Edoardo del Portogallo, Eleonora, sua promessa sposa, incontro alla cui preparazione non era rimasto estraneo il vescovo della città toscana, Enea Silvio Piccolomini. La narrazione, che si stende per 3.360 endecasillabi, è particolareggiata e minuziosa: una cronaca completa degli avvenimenti, dall'arrivo del sovrano in Italia nell'autunno del 1451, alla sua partenza dalla penisola dopo l'incoronazione imperiale avvenuta a Roma per mano di Niccolò V (15 marzo 1452).
Introdotta da un "Prolago" in prosa che spiega l'oggetto del poema, la materia è suddivisa in tre parti (o libri) comprendenti 36 quadri o scene (capitoli o canti) della lunghezza media di 91 endecasillabi: 12 capitoli formano la prima parte, 11 la seconda (con uno di 94 versi ed uno di 88), 13 la terza (tra i quali ve ne sono due di 88 versi ed uno di go). Ogni capitolo è preceduto da una breve didascalia in prosa. A questi ne va aggiunto un altro, sempre di 91 versi, dove l'autore, conclusa l'opera, "s'ingegna rendare a le Muse degne gratie de la loro benignità". Cinque sonetti sono posti nei punti chiave del racconto: due ad introduzione dei poema e del I libro, un terzo premesso al II libro ed un quarto al III; il quinto è un commiato dall'opera che 13 endecasillabi firmano ("Finito è qui 'l sonecto dell'autore 1 di questo libbro, et per nome è chiamato / Mariano di Matheo di Cecco cimatore"). Il "libbro" si esaurisce in una limpida descrizione dell'avvenimento: ben partita, ben illustrata, ben rivissuta. Per suo tramite si viene a conoscenza del corredo della principessa Eleonora, della ricchezza dei finimenti e delle bardature dei cavalli, della lunghezza dello strascico delle vesti indossate dalle dame del seguito, di tutto quanto insomma poteva incuriosire, con lo splendore dell'apparato e la maestà dei personaggi, il popolo di un Comune. E in ciò il poeta raggiunge il suo scopo: comunicare meraviglia e stupore, lasciando da parte ripercussioni politiche e notazioni psicologiche. I suoi personaggi si esauriscono nell'abito, nell'acconciatura e nella maestà dellaloro carica, e sono sempre spunto di richiami mitologici o biblici. Quanto accade risulta superlativo agli occhi del D. che rivive l'intera vicenda secondo i moduli propri della narrazione epico-cavalleresca. Alla lunga parata di eroi che costituisce la trama non manca un discorso di fondo, additato esplicitamente nel prologo: la grandezza di Siena. In una con la figura del suo più alto rappresentante, Enea Silvio, la Signoria e le attese e i preparativi apprestati per l'occasione sono i protagonisti della narrazione; quello che più sta a cuore al cimatore è mostrare come dalla vicenda esca accresciuta la fama e la gloria della città, che è direttamente proporzionale alla ricchezza degli ospiti, alla magnificenza del loro seguito, alla loro potenza. Poeta popolare, il D. si mostra esaltato dal riconoscimento, più o meno ufficiale, avuto con la commissione dei poema; la sua presenza diretta vi è continua: non gli bastano il prologo, i sonetti e le didascalie: vero e proprio canterino da piazza, all'interno di buona parte dei canti egli torna in primo piano prodigandosi in presentazioni di scuse o in dichiarazioni di ignoranza. Acquistato lo status di poeta e giunto sulla ribalta, non vuole più abbandonarla; nel finale ritarda al massimo il congedo: alla jarola "finis" fa seguire un canto di ringraziamento alle Muse, un "sonetto dello autore al presente libbro", tredici endecasillabi ed una breve notazione in prosa. Senza curarsi della sproporzione fra il peso reale dell'avvenimento e la grandiosità abnorme dell'apparato creato, stempera ogni canto in un'arida e monotona successione di particolari inutili, complice la terzina che gli permette di condurre una narrazione in linea con le sue possibilità ed intenzioni: in ognuna racchiude una scenetta, un piccolo discorso, un episodio in sé completo e la presenta come una pennellata netta, senza sbavature o ristate, fredda e precisa al pari della tessera di un mosaico. Nella sua mente infatti il poema, che non vive di una sua vita interna, è dato dalla successione o (spesso) dalla giustapposizione di parti rese indispensabili da una retorica meschina e restrittiva.
Il poema ci è giunto in due diversi manoscritti, il cod. I VIII 39della Biblioteca comunale di Siena, ed il cod. Reginense 1108 della Bibloteca Apostolica Vaticana, meno completo e corretto del precedente. Ampi stralci ne pubblicò per primo il Piccolomini (pp. 27-43) nel suo studio sulla vita e sulla poesia curiale a Siena nel Rinascimento, scritto in occasione delle nozze Piccolomini-Ciacci (14 nov.1904); l'edizione critica integrale, completa del prologo in prosa, fu data pochi anni dopo - sul Bullettino senese di storia patria, XIII (1906), pp. 323-79;XIV (1907), pp. 35-96 - dal Parducci, il quale, con un uso non sempre preciso defle virgolette, ha utilizzato ampiamente il materiale pubblicato dal Piccolomini. Il sonetto "Era 'l sicondo di vespar sonato", che il D. pose come sfragis in quello che sarebbe divenuto il codice Bodleiano 285, è stato pubblicato dal Mortara.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Siena, Biccherna1020, Battesimi, ad ann. 1406; Ibid., Lira 147, Denunzie di Terzo di Camollia, popolo di S. Donato, ad ann. 1543; A. Mortara, Catal. dei manoscritti italiani che sotto la denominazione di Codici canoniciani Italici si conservano nella Bibl. Bodleiana a Oxford, Oxonii 1864, num. 285, coll. 253 s.; L. Fumi-A. Lisini, L'incontro di Federigo III imperatore con Eleonora di Portogallo sua novella sposa e il loro soggiorno a Siena. Narrazione e descrizione storica corredata dagli originali documenti, Siena 1878, pp. 6, 24, 35;P.Piccolomini, Dalla vita e dalla poesia curiale di Siena nel Rinascimento, Nozze Piccolomini-Ciacci, Siena 1904, pp. 16-22; P. Parducci, L'incontro di Federigo III imperatore con Eleonora del Portogallo, in Bull. senese di storia patria, XIII (1906), pp. 318-322.