MARIANO da Siena
MARIANO da Siena. – Non molto è noto della sua vita: le notizie che lo riguardano provengono da alcuni documenti senesi e, soprattutto, dal poco ch’egli racconta o fa indirettamente sapere di sé nel suo diario di pellegrinaggio. Fu figlio di un Nanni e nacque a Siena; dai registri di battesimo della cattedrale di Siena redatti negli ultimi decenni del XIV secolo risultano alcuni «Mariano di Nanni»: M. è probabilmente quello battezzato l’8 sett. 1384, nel giorno della festa della nascita di Maria.
Testimonianze provenienti dall’Archivio dell’Opera del duomo documentano pagamenti a un Mariano di Nanni, allora chierico, tra il maggio 1402 e l’aprile 1403: è probabile che si tratti di M., mentre quel Mariano da Siena discepolo di Bernardino da Siena e in contatto con Alberto da Sarteano, di cui tratta Bertagna, è un omonimo coevo. Ancora nel 1403 M., cappellano della cappella del Crocifisso nel duomo, ricevette, insieme con ser Pietro di Nicolò suo padre spirituale, 20 lire come compenso per funzioni liturgiche officiate nella cattedrale dal maggio all’agosto. Successive notizie dello stesso carattere riguardano il 1405. Poi le tracce di M., almeno nei documenti conosciuti, si perdono.
M. fu rettore della parrocchia di S. Pietro a Ovile a Siena dopo il 1423, anno nel quale l’ufficio era ancora tenuto da tale ser Antonio. Alla fine del luglio 1428 il vescovo di Siena, Carlo Bartoli, nel corso di una visita pastorale nella sua diocesi compiuta tra quell’anno e il successivo, accertò personalmente le condizioni della parrocchia e delle anime di S. Pietro e il comportamento del suo rettore, ser M., che, rispondendo al questionario della visita pastorale, si definì «onesto e di vita morigerata» (Siena, Arch. arcivescovile, 14, c. 37).
Queste men che scarne notizie biografiche sono appena sufficienti a restituire i tratti di un uomo che alla data del suo terzo viaggio in Terrasanta, nel 1431, del quale egli scrisse una relazione, era già per i suoi tempi decisamente maturo. M. era quindi cresciuto nel clima ideale e religioso della Siena del primo Quattrocento e ne aveva aspirato l’aroma mistico: come dimostrano le sue pagine, riecheggianti i concetti e le espressioni di Caterina da Siena e di Bernardino da Siena, che incitavano al pellegrinaggio ai Luoghi Santi e all’imitatio Christi. Non è neppure improbabile che M. avesse colto in qualche modo l’eco dell’impressione e dell’entusiasmo provocati dalla predicazione di un altro «divo della penitenza» del primo Quattrocento, il domenicano Manfredi da Vercelli, che tra il 1419 e il 1425 aveva soggiornato in Firenze – per quanto egli mai avesse visitato Siena – e che strettamente legava la Gerusalemme terrena all’avvento dell’Anticristo.
Dal testo del suo diario di pellegrinaggio è noto che M. era già alla sua terza esperienza specifica: e forse si era adattato ad affrontare, non più giovane, gli strapazzi e i costi del viaggio soprattutto dietro l’insistenza dei suoi amici e confratelli – che furono suoi compagni di viaggio –, il suo maestro spirituale Pietro di Nicolò e il più giovane Gaspare di Bartolomeo, cappellano della cappella della Visitazione di Maria a Elisabetta nel duomo.
È presumibile che i primi due pellegrinaggi di M. siano stati effettuati nel quarto di secolo compreso tra 1403 e 1428, durante il quale non risultano sue notizie: è piuttosto improbabile (per quanto non impossibile) che uno di essi fosse compiuto da un ragazzo o da un giovane non ancora ventenne.
Si può ritenere che al momento d’intraprendere il suo terzo pellegrinaggio in Terrasanta egli avesse circa quarantasette anni. Quest’ipotesi, basata sul registro dei battesimi della cattedrale senese, è corroborata sia pur indirettamente dal confronto con il resoconto che Gaspare di Bartolomeo redasse al ritorno dal pellegrinaggio.
Il viaggio del 1431 si configura come pensato e realizzato all’interno del clero senese: erano tre i sacerdoti di quella città, evidentemente decisi a un’esperienza comunitaria della quale M. – esperto, in quanto già due volte pellegrino ai Luoghi Santi – doveva presumibilmente essere la guida.
Partiti da Siena il 9 apr. 1431 a piedi, per la via che conduceva a Chiusi e di lì a Perugia, Gubbio e Urbino, M. e i suoi compagni arrivarono a Ravenna da Rimini la sera del 16, ma solo per pernottarvi. Il giorno dopo partirono per Venezia, dove giunsero verso le 5 del pomeriggio e rimasero per una settimana.
La loro nave lasciò la città della laguna «a nona» del 25, costeggiò Istria e Dalmazia sostando nei principali porti per giungere a Corfù il 6 maggio e di lì al porto veneziano di Modone, estrema propaggine del Peloponneso, e poi a Candia, a Rodi, a Baffo nell’isola di Cipro.
Il 25 maggio «a terza» i pellegrini poterono infine sbarcare nel porto di Giaffa. Il viaggio per mare, da Venezia alla Terrasanta, era durato 46 giorni: si era grosso modo nella media delle traversate di questo tipo non solo nel Quattrocento, ma anche nel secolo successivo.
La permanenza a Gerusalemme, con la visita alla basilica della Resurrezione (il Santo Sepolcro) e ai centri di pellegrinaggio vicini – Betlemme, Ain Karem (Montana Iudeae), Gerico, Betania – durò fino al 7 giugno, vale a dire un paio di settimane. La permanenza in Terrasanta durò dunque poco più di un decimo del viaggio complessivo, gran parte del quale (un mese e mezzo all’andata e 35 giorni al ritorno) fu occupato dalla traversata del Mediterraneo. Rispetto alle usanze dei pellegrini del tempo, le «cerche» (le visite ai vari luoghi santi) che M. testimonia nel suo diario furono molto abbreviate: di solito esse contemplavano anche la visita della Samaria con Sichem (il «pozzo di Giacobbe») e della Galilea con Nazareth e il lago di Tiberiade. M. stesso testimonia che i suoi due precedenti pellegrinaggi avevano avuto più lunga durata.
Molte possono essere state le cause di questo itinerario abbreviato: dalle ristrettezze economiche alla salute di qualcuno dei pellegrini, sino alla disponibilità d’imbarco per il ritorno. In effetti, giungere in Terrasanta e ripartirvi da uno stesso porto era frequente, ma non necessario.
Ripartiti da Giaffa il 7 giugno, i pellegrini seguirono, all’inverso, praticamente la medesima rotta dell’andata sino a Corfù; da lì si scelse di approdare sulla costa pugliese il 12 luglio per recarsi in pellegrinaggio al santuario dell’arcangelo Michele sul Gargano, dove si sostò tra il 20 e il 21 luglio; e di rientrare quindi per San Severo e Serracapriola, attraversare il Molise e l’Abruzzo – tutti luoghi segnati dalla memoria di Bernardino da Siena – e da lì attraverso l’Umbria e la Val d’Orcia rientrare a Siena, il 4 agosto.
Complessivamente, il viaggio coprì più di 5097 miglia, gran parte (4170) per via marittima, oltre a quelle percorse a piedi, cioè 138 in Terrasanta e 789 nei viaggi di andata da Siena a Venezia (275) e di ritorno dalle coste pugliesi a Siena (514). Il tragitto sarebbe durato in tutto 105 giorni, se ci si fidasse del computo presente alla fine del resoconto: in realtà, la durata di esso fu di 118: M. non considera, probabilmente, i giorni impiegati all’andata per raggiungere Venezia e la sosta qui fatta in attesa della partenza della galea.
Dall’agosto 1431, data del suo ritorno a Siena, le informazioni che lo riguardano mancano di nuovo, con l’eccezione di un altro pagamento effettuato a suo vantaggio nel giugno 1432.
Dopo questa data non risultano altre notizie su di lui. Non sono noti il luogo né la data della sua morte.
Nel suo resoconto M. segue evidentemente, pur non dichiarandolo, qualche Descriptio o Itinerarium precedenti, com’era del resto costume corrente nei pellegrini-scrittori: egli sottopone d’altronde a costanti verifiche le sue fonti, come si fa scrupolo di sottolineare più volte con espressioni del tipo «et chosì la misuray di mia propria mano», o «sonci molti altri Sancti Luoghi [ma] perché no’ gli o visitati corporalmente non ce li pongho». Notevole anche l’attenzione ai costumi e agli ambienti nei quali egli s’imbatte e che descrive con notevole originalità.
L’itinerario descritto da M. dispone di una narrazione in un certo senso parallela, per quanto incompleta, redatta a nome di Gaspare di Bartolomeo, che al momento del viaggio doveva esser sui 35-36 anni e non era mai stato in Terrasanta. L’esistenza dei due testi non ha mancato di sollevare ipotesi e polemiche a proposito della precedenza o della dipendenza di questo da quello e viceversa. L’itinerario di Gaspare di Bartolomeo è tradito dal ms. Magliab., XIII.30 (già Mariti; cartaceo, sec. XV per le prime sei carte, le restanti di epoca successiva) della Biblioteca nazionale di Firenze. Il testo, non autografo, del pellegrinaggio di M. è conservato presso la Biblioteca nazionale di Firenze, Magliab., XIII.92 (già Strozzi, 4, n. 632), membranaceo, riferibile per grafia e per caratteristiche estrinseche al secolo XV. Si tratta dell’unica copia del resoconto di M. conosciuta definibile come coeva. È nota tuttavia un’altra redazione, posteriore, conservata presso la Biblioteca comunale di Siena e riferibile alla fine del XVII o ai primi del XVIII secolo: poco fedele data la massiccia modernizzazione degli usi grafici e comunque vicina al testo magliabechiano. Il tardivo e scorretto manoscritto senese non pare pertanto utile a una restaurazione del testo di M., e come tale non è preso in considerazione – espletate le dovute verifiche – nell’edizione a cura di Pirillo. Resta aperta la possibilità che M. abbia attinto, in maniera certo più consistente rispetto a Gaspare, a un altro redattore con la cui stesura nessuno dei due compagni di viaggio aveva avuto a che fare: un «terzo uomo», come l’ha definito Pirillo, dunque. Una congettura affascinante, ma arbitraria, suggerirebbe di attribuire questo testo scomparso al «padre spirituale» di entrambi: ser Pietro di Nicolò. Ma tale testo forse non è mai esistito.
Il resoconto di viaggio di M. fu edito per la prima volta a Firenze nel 1822: Mariano da Siena, Del viaggio in Terrasanta, a cura di D. Moreni. Il canonico Moreni, dichiarando il rispetto del testo in volgare, per brevità omise in maniera sistematica tutto l’apparato liturgico devozionale accennando soltanto al principio dei salmi e degli inni. L’edizione del Moreni fu ristampata a Parma nel 1843, a Firenze nel 1862 e infine di nuovo a Parma nel 1865, questa volta unitamente al resoconto del viaggio in Terrasanta redatto dal fiorentino Simone Sigoli (che fu pellegrino nel 1384-85). Nel 1991 a Pisa è apparsa l’edizione integrale del testo: Mariano da Siena, Viaggio fatto al Santo Sepolcro, a cura di P. Pirillo, che va considerata pertanto, salva la possibilità di nuove scoperte in campo documentario o strettamente codicologico, definitiva; in appendice è pubblicato il testo del resoconto di Gaspare di Bartolomeo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Siena, Biccherna, 1132, cc. 9v, 30v, 37v, 44r, 50v, 72v; Siena, Arch. arcivescovile, 14, c. 37; Ibid., Arch. dell’Opera del duomo, 382, cc. 72v, 73v, 74v, 77r; 383, cc. 112v, 113r, 114v, 115r; D. Balestracci - G. Piccinni, Siena nel Trecento, Firenze 1977, p. 171; F. Cardini, Nota su Mariano di Nanni rettore di S. Pietro a Ovile in Siena, in Toscana e Terrasanta nel Medioevo, a cura di F. Cardini, Firenze 1982, pp. 177-187 (per cui cfr. la nota di C. Zarrilli, in Bull. senese di storia patria, LXXXIX [1982], pp. 469 s.); R. Rusconi, Gerusalemme nella predicazione popolare quattrocentesca tra millennio, ricordo di viaggio e luogo sacro, ibid., pp. 285-298; M. Bertagna, L’Osservanza di Siena, I, Siena 1985, p. 95; F. Cardini, I costi del viaggio in Terrasanta di ser Mariano di Nanni, prete senese, in Studi di storia economica toscana nel Medioevo e nel Rinascimento in memoria di Federigo Melis, Pisa 1987, pp. 89-102; Id., In Terrasanta, Bologna 2001, ad ind.; N. Chareyron, Pilgrims to Jerusalem in the Middle Ages, New York 2005, ad ind.; Rep. fontium historiae Medii Aevi, VII, pp. 457 s.