MARIANO d'Arborea
Giudice d’Arborea, secondo di questo nome, visconte di Bas; era figlio del giudice d’Arborea Pietro (II) e di una non meglio identificata Sardinia. La data di nascita è da collocarsi entro i primi anni Quaranta del XIII secolo, periodo nel quale morì suo padre, vivo ancora nel 1241. Morto Pietro (II), salì al trono Guglielmo da Capraia, che vantava imprecisate parentele con i giudici, la ricostruzione delle quali, tentata da Boscolo, resta congetturale. Sulla mancata elezione di M. potrebbe aver pesato il suo esser figlio naturale o di secondo letto (Pietro aveva sposato in prime nozze tale Diana de Lacon), piuttosto che la minorità, che avrebbe giustificato di più un tutorato di Guglielmo che non risulta dalle fonti.
La mancanza di testimonianze non consente di stabilire quale ruolo avesse M. negli anni in cui era vivo Guglielmo. Forse aveva compiti di governo, perché discendente diretto di Pietro, che poteva vantare anche qualche imprecisato diritto su parti del Giudicato di Torres: elemento che faceva gioco alle mire espansionistiche di Guglielmo da Capraia in anni in cui questo Giudicato si avviava a un repentino crollo.
Dalla metà degli anni Cinquanta del XIII secolo, infatti, nei Regni di Cagliari e Torres, e in modo diverso anche nel resto dell’isola, erano iniziati processi di ricomposizione del potere politico-istituzionale. In Cagliari tra il 1256 e il 1257 una guerra aveva portato alla sconfitta e alla morte il giudice Chiano di Massa e alla spartizione del Giudicato tra il Comune di Pisa e alcune famiglie pisane. Guglielmo da Capraia, partecipe della guerra come alleato dei Pisani, tra il 1257 e il 1258 aveva ottenuto la signoria feudale della terza parte dell’ex Giudicato. In Torres, invece, la situazione precipitò nel 1259, dopo la morte senza eredi di Adelasia di Torres: ne derivò una crisi dinastica che favorì anche Guglielmo da Capraia. Alla metà del Duecento il Comune di Pisa e alcuni cittadini pisani controllavano quasi tutta l’isola, dato che anche i Visconti, giudici di Gallura, provenivano da quella città.
Nella primavera 1263 Guglielmo assediò la roccaforte di Goceano, la cui conquista gli avrebbe facilitato il controllo del Giudicato di Torres che «dicebat […] ad se […] pertinere». Guglielmo, comunque, morì di lì a poco, forse entro l’anno.
M. approfittò della minorità del figlio di questo, Nicolò, per divenire giudice. Non fu un’azione immediata: ancora il 17 giugno 1265 M. era baiulo del giovane. L’anno dopo, probabilmente avendo già estromesso Nicolò dalla pratica del potere, M. assunse il titolo di giudice almeno in condominio. Nicolò sarebbe poi morto senza eredi, forse nel 1274.
Nel 1265 M. strinse con Pisa, a nome suo e di Nicolò, forti legami di alleanza e dipendenza: si dichiarava «civis et fidelis» della città, pronto a rispettarne le volontà, a compiere qualunque atto richiestogli per conto del Comune, a sottoporsi alla giurisdizione pisana per i suoi affari in città e a impedire che l’arcivescovo di Pisa perdesse i diritti dei quali godeva in Sardegna. Poiché, inoltre, mantenne anche il titolo di dominus della terza parte dell’ex Giudicato di Cagliari, si deve ritenere che al momento della sua ascesa al trono a danno di Nicolò avesse prima ricevuto almeno una sorta di nulla osta da parte del Comune stesso, forse dietro pagamento di forti somme di denaro.
Stando così le cose, M. avrebbe dovuto trovarsi in una posizione di forte subalternità verso il Comune; egli seppe invece interpretare al meglio il proprio ambiguo e triplice ruolo istituzionale di giudice, cittadino pisano e di dominus Sardinee, rafforzando il suo potere personale. Approfittando di un quadro politico e istituzionale estremamente mutevole, divenne il punto di riferimento di Pisa sull’isola. Per raggiungere l’obiettivo, fece uso di notevoli disponibilità economiche delle quali si ignora la provenienza – il pisano Feo Guitti lo accusò in seguito di aver «con li sua denari […] atosichati li Pisani» (Cristiani, p. 79) – in anni nei quali, invece, Pisa affrontava gravi travagli interni e notevoli spaccature politiche. Il giudice possedeva una casa-torre in città «in capite pontis veteri» e già dal 1265 e sino circa al 1285 il suo procuratore davanti al Comune e nelle relazioni d’affari fu Marzucco Scornigiani, uno degli uomini politici di primo piano della città, tra i «maggiori conoscitori della politica non solo cittadina, ma italiana» della seconda metà del Duecento (Petrucci, pp. 88 s.). Oltre alla rivalità con Anselmo da Capraia, che avrebbe voluto sottrargli il governo giudicale, furono forse i consigli di Marzucco che spinsero M. a rimanere alleato del Comune e a opporsi nel 1273 a Giovanni Visconti, giudice di Gallura, e a Ugolino Della Gherardesca di Donoratico, entrati in contrasto con Pisa.
Nello stesso anno nel Cagliaritano avvennero scontri armati tra M., che ebbe aiuti militari pisani, e Giovanni Visconti. Fu forse in questa occasione che M., vista Oristano assediata, riuscì a liberarla corrompendo gli alleati di Giovanni Visconti (Memoria…, pp. 18 s.). Questi alla fine ebbe la peggio e si rifugiò presso i conti Aldobrandeschi di Santafiora, alleati di Carlo I d’Angiò. Lo stesso Ugolino dovette fuggire da Pisa, per rientrarvi poco dopo.
Inoltre già dal 1266 Ugolino, forse come rappresentante di Enzo di Svevia, aveva invaso l’ex Giudicato di Torres attirando su di sé e sul Comune di Pisa, che probabilmente non ebbe alcun ruolo diretto nell’occupazione, le ire di papa Clemente IV, che lo scomunicò e interdisse la città.
M. seppe approfittare della situazione: nel 1272 controllava «maiorem partem regni Turritani» e un’epigrafe del 1274 (Spanu; Spiga) conferma la sua proprietà del castrum di Monteforte nella Nurra, area dell’ex Giudicato di Torres, inizialmente passata alla famiglia genovese Doria. A ciò si aggiunga che M. ottenne, entro il 1276, la nomina a vicario generale «in regno Logudoris pro sacrosancta Romana Ecclesia» – riuscendo dove avevano fallito prima Giacomo I d’Aragona ed Enrico di Castiglia, che nel 1267 avevano inutilmente chiesto il titolo di re di Sardegna al papa, e poi Manfredi e Moroello Malaspina, che nel febbraio 1268 non erano riusciti a ottenere la vicaria pontificia sull’isola.
Per la concessione del titolo dovettero pesare fattori diversi: il timore del papa di perdere nuovamente e definitivamente qualunque possibilità di esercizio di sovranità nel Logudoro, visto anche che l’11 ag. 1269 il figlio di Carlo I d’Angiò, Filippo, veniva proclamato rex Sardinie da alcuni maggiorenti logudoresi, tra i quali l’arcivescovo di Torres; il fatto che M., oltre a vantare non meglio precisati diritti ereditari sul Giudicato, come già accennato, sembrava essere l’unico militarmente in grado di far valere la propria vicaria; infine il riconoscimento feudo-vassallatico di dipendenza dei diritti giudicali dalla Sede apostolica, che suo padre aveva compiuto sin dal 1237 e che Guglielmo da Capraia aveva rinnovato nel suo testamento. Anche il Comune di Pisa traeva vantaggio dalla concessione pontificia, vista la stretta alleanza che univa il giudice alla città.
Nel groviglio degli interessi particolari non stupisce che M. fosse al contempo alleato pisano e vicario del pontefice nel Logudoro; certo questo non ne faceva un filoangioino e la sua «concorrenza nelle terre turritane con Ugolino non significa[va] che il giudice perseguisse una politica anti-imperiale» (Petrucci, p. 100).
Per tessere con efficacia la propria politica, nella quale l’alleanza con il Comune di Pisa non venne mai meno, M. fece uso di un’accorta politica matrimoniale con le più importanti famiglie pisane: in prime nozze sposò una sconosciuta figlia di Andreotto Saracino, della consorteria dei Gualandi Bocci. Anche il matrimonio di suo figlio Giovanni detto Chiano nel 1287 con Giacomina, figlia di Ugolino Della Gherardesca di Donoratico, va inserito nel contesto della stretta alleanza di M. con Pisa: a Ugolino i Pisani avevano concesso la podesteria già all’indomani della loro sconfitta contro Genova alla Meloria nel 1284. M. avrebbe approfittato dell’occasione del matrimonio per avvelenare il suo eterno rivale Anselmo da Capraia. Vedovo della prima moglie, M. strinse, inoltre, i legami parentali con i Della Gherardesca sposando una figlia di Guelfo di Ugolino di cui non è noto il nome. Tuttavia, nel momento in cui le fortune di Guelfo crollarono e nel luglio del 1288 Ugolino andò incontro alla tragica fine nella torre della Fame, M. non si lasciò coinvolgere dalle vicende del consuocero. Anzi, pochi anni dopo, nel 1294, come alleato del Comune, combatté proprio contro Guelfo che tentava, insieme con il fratello Lotto, una disperata guerra di rivalsa e di vendetta. Secondo una cronaca pisana edita da E. Cristiani, M., conquistata Domusnovas e Iglesias, avrebbe anche fatto avvelenare una ferita riportata da Guelfo in battaglia. Certo è che il Comune e M. ebbero la meglio. Invece le loro posizioni peggiorarono nel Logudoro, dove nello stesso anno Sassari veniva strappata ai Pisani dai Genovesi.
Le ultime vicende della vita di M. non sono ben conosciute, così come poco note sono le sue relazioni, che pure vi furono, con la sponda iberica del Mediterraneo. La sua famiglia aveva una tradizione in tal senso, almeno a partire dal matrimonio del giudice Barisone (I) negli anni Cinquanta del XII secolo con Agalbursa di Bas. Nel 1284 Pietro III d’Aragona scriveva a M. come «dilecto affini suo», per ottenere la restituzione di due galee catturate dai Pisani nel golfo di Cagliari. I due, stando alla testimonianza di Alfonso III d’Aragona, avrebbero anche trattato una possibile alleanza. Certo è che nel 1293 le relazioni con la Corona d’Aragona erano buone: Giacomo II d’Aragona si proponeva come mediatore per un matrimonio tra M. o suo figlio Chiano con l’infanta di Grecia (Salavert y Roca, pp. 8-10). Non si può stabilire se in seguito all’infeudazione del Regnum Sardinie et Corsice, che Bonifacio VIII concesse a Giacomo II nell’aprile 1297, le relazioni tra M. e il re migliorarono o peggiorarono.
Non è da escludere che in quel momento M. fosse già morto, per quanto una cronaca sarda quattrocentesca in quell’anno lo dia ancora per vivo (Memoria…, p. 18). L’ultima sua attestazione documentaria è del 20 sett. 1295, mentre il figlio Chiano regnava certamente nel dicembre del 1297. Le cause della sua morte non sono note: forse morì nel Logudoro durante una guerra. Secondo una cronaca fiorentina, invece, a causa di una congiura ordita da Tosorato degli Uberti, inviato in Sardegna da Pisa per arginare il suo strapotere (Hartwig, ad annum).
Grazie a un documento pubblicato da R. Conde y Delgado, incrociato con il testamento di Ugone (II) d’Arborea del 1336, si sa che M. ebbe da una concubina di nome Padulesa de Serra un figlio, Ugone appunto, che divenne giudice nel 1321, con l’ordinale II, a seguito della morte senza eredi di suo nipote Mariano (III), che sinora era stato ritenuto suo padre.
M. lasciò al figlio Chiano una cospicua eredità: per quanto prima di morire avesse ceduto la sua terza parte dell’ex Giudicato di Cagliari al Comune di Pisa (Statuti…, II, pp. 225-227), il Giudicato di Arborea sotto il suo potere personale si era rafforzato.
Lasciò di sé una fama fosca: anche se in definitiva fu sempre un fedele alleato di Pisa, la sua spregiudicatezza tattica, il fatto che gli siano stati attribuiti venefici e l’uso della corruzione hanno portato a costruire la figura di un personaggio scaltro e amorale. Non è perciò da escludere che il termine mariane, con il quale in molte varianti del sardo viene denominata la volpe, e la cui origine è antroponimica, tragga spunto dalla sua persona (Maninchedda, pp. 265-275).
Fonti e Bibl.: Chronica Pisana, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XV, Mediolani 1729, col. 978; E. Martène - U. Durand, Thesaurus novus…, II, Paris 1717, pp. 438, 510; Statuti inediti della città di Pisa…, a cura di F. Bonaini, Firenze 1854, I, pp. 595-603; II, pp. 225-227; Codex diplomaticus Sardiniae, a cura di P. Tola, I, Augustae Taurinorum 1861, sec. XIII, doc. CXII; sec. XIV, p. 704; O. Hartwig, Quellen und Forschungen zur ältesten Geschichte der Stadt Florenz, II, Halle 1880, pp. 232-297; Les registres de Clément IV…, a cura di E. Jourdan et al., Paris 1893-1945, nn. 1100, 1170 s.; T. Casini, Le iscrizioni sarde del Medioevo, in Arch. stor. sardo, I (1905), pp. 321 s., 332-335; D. Scano, Serie cronologica dei giudici sardi, ibid., XXI (1939), pp. 72-78;, Codice diplomatico delle relazioni tra la S. Sede e la Sardegna, a cura di D. Scano, I, Cagliari 1940, pp. 113 s., 139 s., 324-333; F. Loddo Canepa, Rettifica alla lettura di alcune iscrizioni medioevali della raccolta Casini, in Studi sardi, XII-XIII (1952-54), p. 256; V. Salavert y Roca, Cerdeña y la expansión mediterránea de la Corona de Aragón 1297-1314, Madrid 1956, II, docc. 9, 12, 39; E. Cristiani, Gli avvenimenti pisani del periodo ugoliniano in una cronaca inedita, in Boll. stor. pisano, XXVI (1957-58), pp. 59, 79, 94 s., 102; Les sermons et la visite pastorale de Federico Visconti archevêque de Pise…, a cura di N. Bériou, Rome 2001, pp. 1063-1067; Memoria de las cosas que han aconteçido en algunas partes del Reino de Çerdeña, a cura di P. Maninchedda, Cagliari 2001, ad ind.; P.G. Spanu, Un’epigrafe del XIII secolo dal castrum Montis Regalis, in Cultus splendore, studi in onore di Giovanna Sotgiu, a cura di A.M. Corda, Cagliari 2004, pp. 915-929; Diplomatario aragonés de Ugone II de Arborea, a cura di R. Conde y Delgado de Molina, Sassari 2005, doc. 1; E. Besta, La Sardegna medioevale, I, Palermo 1908, pp. 212, 232, 262, 264 s.; F.C. Casula, Una nota sul giudice Giovanni d’Arborea, in Arch. stor. sardo, XXVII (1961), pp. 161-168; A. Boscolo, I conti di Capraia, Pisa e la Sardegna, Sassari 1966, pp. 81-100; F. Cardini, Capraia, Guglielmo da, in Diz. biogr. degli Italiani, XIX, Roma 1976, pp. 136-138; G. Spiga, Il castello di Monteforte nella Nurra attraverso la lettura di un’epigrafe medioevale, in Miscellanea di studi medioevali sardo-catalani, Cagliari 1981, pp. 74-90; Genealogie medioevali di Sardegna, a cura di L.L. Brook et al., Cagliari-Sassari 1984, p. 383; S. Petrucci, Re in Sardegna, a Pisa cittadini…, Bologna 1988, pp. 84-92, 121-125; M.G. Mele, Oristano giudicale, Cagliari 1999, ad ind.; P. Maninchedda, Il giudice, la volpe e il veleno, in Quaderni di filologia romanza, XV (2001), pp. 17 s., 78 s., 265-275.