ROMANELLI, Mariano
d’Agnolo
– Ignota è la data di nascita di Mariano, ricordato nelle carte d’archivio sia come orafo sia come scultore e operoso a Siena nella seconda metà del XIV secolo. Le prime sue notizie si ricollegano alla decorazione della cappella di piazza del Campo (per la quale si veda ora Borgherini, 2001, pp. 110-124; Giorgi - Moscadelli, 2005, pp. 264-271). Nel 1376, e poi ancora nel 1377, i documenti fanno riferimento alla commissione ottenuta, insieme all’orafo Bartolomeo di Tommè, per un S. Pietro in marmo (Milanesi, 1854, pp. 277 s. doc. 77, 281); nel 1378, invece, il 12 marzo ai due furono richieste ben altre otto sculture (pp. 279 s. doc. 79). Il procedere dei lavori, tuttavia, ebbe come unico protagonista Mariano d’Agnolo: nel 1379 gli fu fornito del marmo per eseguire le figure, mentre l’anno dopo fu pagato per un S. Giovanni (p. 281).
Il progetto della cappella dovette subire variazioni in corso d’opera, ed è probabile che non tutte le otto immagini marmoree richieste siano state effettivamente compiute. Tra il 1380 e il 1384 l’esecuzione di tre santi fu affidata a Giovanni di Cecco, a Lando di Stefano e a Matteo di Ambrogio, detto il Sappa, ossia, rispettivamente, S. Matteo, S. Bartolomeo e S. Andrea. Diversi anni più tardi, nel 1427, fu invece pagato l’orafo Giovanni di Turino per un non meglio specificato apostolo (pp. 281 s.). Ai nostri giorni, ad affacciarsi su piazza del Campo dalle nicchie della cappella sono solo sei statue: il S. Bartolomeo di Lando di Stefano (che a seguito di un restauro è stato sostituito in loco da un calco, mentre l’originale è custodito nel complesso museale di S. Maria della Scala di Siena), il S. Pietro e il S. Giovanni Evangelista documentati a carico di Romanelli, e – ugualmente di sua mano – S. Tommaso (anch’esso rimpiazzato da un calco e conservato a S. Maria della Scala), S. Giacomo Maggiore e S. Giacomo Minore.
Tra il 1383 e il 1385 eseguì un S. Michele arcangelo per la cappella della Compagnia della Vergine sotto l’ospedale di Siena: l’opera, per la cui coloritura fu pagato il pittore Bartolo di Fredi, non è rintracciabile (Freuler, 1994, pp. 283, 310 note 2-4, 425 doc. 66, 67). Di lì a poco prese parte a una delle maggiori imprese artistiche senesi del secondo Trecento, quella, cioè, del coro ligneo del duomo, i cui lavori avevano preso avvio sotto la direzione di Francesco del Tonghio e del figlio Giacomo (Milanesi, 1854, pp. 328-348 docc. 109-121; Carli, 1978). Già ricordato in alcuni atti relativi al coro (Milanesi, 1854, pp. 340-343 doc. 117, 381; Carli, 1978), Mariano d’Agnolo esordì ufficialmente in quel contesto nel 1388, quando il suo progetto per le «testiere grandi e picole» fu valutato positivamente da una commissione di artisti – tra i quali i ben noti pittori Luca di Tommè, Francesco di Vannuccio, Jacopo di Mino del Pellicciaio e Paolo di Giovanni Fei – a discapito di quello presentato da Giacomo del Tonghio (Milanesi, 1854, p. 354 doc. 123). A quest’ultimo fu quindi assegnata l’esecuzione delle strutture lignee, mentre Mariano ebbe l’incarico di occuparsi dell’ornamentazione a intaglio dei tabernacoli e delle testiere del coro (pp. 349-353 doc. 122). Nel gennaio 1389, a Giacomo – impegnato a Lucca – subentrarono altri tre maestri di legname: Barna di Turino, Giovanni di Francesco, detto il Cichia, e Luca di Giovanni (pp. 355-369 docc. 124-130, 381). A novembre dello stesso anno, in due scaglioni, Mariano consegnò «vinticinque fighure di Santi di più ragioni, di bosso e di nocie, e trenta cinque teste di legnio di più ragioni, mezane e piciole», e nel corso del 1390 era ancora al lavoro (pp. 368 s. doc. 130, 381). Nel presbiterio della cattedrale senese, oggi, si conserva solo una parte di quel grandioso impianto ligneo trecentesco. Come ha dimostrato Alessandro Bagnoli (1987), le innegabili affinità formali di alcune delle parti figurate superstiti con le statue della cappella di Piazza permettono tuttavia di riconoscervi con certezza gli esiti dell’attività di Mariano (p. 82). Nel 1391 risulta iscritto – lo era già nel 1384 – tra i contribuenti del popolo di S. Vigilio (p. 81, su segnalazione di Alessandro Cecchi). Non era presente però nelle valutazioni cui fu sottoposto il coro per ben tre volte nel 1392, nel 1394 e nel 1397 (Milanesi, 1854, pp. 369-379 docc. 131-134) e questa circostanza ha portato a credere ch’egli fosse già morto (p. 380; Lusini, 1911, pp. 273, 327 nota 126; Carli, 1978). Tuttavia, ancora nel 1394-95 e nel 1396 sono registrati pagamenti rateali a suo favore (Lusini, 1911, p. 327 nota 123; Bagnoli, 1987, p. 81), e non è da escludere la possibilità di riconoscerlo in quel «Mariano d’Angniolo del lengniame» che nel 1410 ricevette dei pagamenti dall’Opera del duomo di Siena per aver lavorato al tetto della sacrestia (Lusini, 1911, pp. 342 s. nota 200; Bagnoli, 1987, p. 81).
È merito di Gaetano Milanesi la riscoperta tra le carte d’archivio del nome di questo importante e versatile maestro del Trecento senese. Fu infatti nel corso delle pazienti ricerche dell’erudito ottocentesco che riaffiorarono i documenti relativi alla commissione delle sculture della cappella di piazza del Campo e delle testiere e dei tabernacoli del coro del duomo. Nonostante tale precoce, fondamentale scoperta, fu solo a partire dal secondo Novecento che l’artista ottenne un effettivo riconoscimento negli studi. Ad avviare questo lento processo fu un intervento di Anna Maria Guiducci (1977), che riunì sotto la denominazione convenzionale di Maestro della Madonna di Lucignano un gruppo di intagli lignei – l’Annunciazione un tempo in S. Chiara a Castelfiorentino e attualmente nel locale Museo di S. Verdiana, un Angelo annunciante del Musée Jacquemart-André di Parigi, il Gesù Bambino benedicente seduto del Museo civico di belle arti di Lugano e la Madonna con il Bambino della collegiata di Lucignano in Val di Chiana (oggi nella chiesa di S. Francesco) – mettendone in risalto l’omogeneità stilistica con i Santi della cappella di Piazza. Sviluppando uno spunto di Luciano Bellosi riferito dalla stessa Guiducci riguardo alla datazione ancora tardotrecentesca di quelle sculture, e sulla base di serrati confronti con le figure di piazza del Campo e del coro del duomo, Bagnoli ha poi potuto argomentare il riferimento di queste opere a Romanelli. Alla sua produzione in qualità di «maestro di legname», lo studioso aggiungeva il busto di S. Orsola della Pinacoteca nel palazzo comunale di San Gimignano, la Madonna con il Bambino di S. Antimo a Piombino, un Gesù Bambino benedicente di collezione privata e la bella immagine di una Balia accovacciata, oggi custodita nel Museo nazionale del Bargello a Firenze, un tempo verosimilmente parte di un gruppo della Natività della Madonna. Quale testimonianza della sua attività di orafo, Bagnoli gli riferiva il Busto reliquiario di s. Marco papa ad Abbadia San Salvatore, datato 1381 (Bagnoli, 1981, pp. 62 s. n. 17; 1982, pp. 331-334 n. 119; 1983, pp. 294-297 n. 109; 1987, pp. 80-95 nn. 17-20). Il nucleo così ricostruito – accresciuto negli ultimi anni con diverse proposte, alcune delle quali difficilmente condivisibili (in particolare Kreytenberg, 2002; Freuler, 2011, pp. 94-101 n. 12) – permette di tracciare il profilo di un artista di primo piano nella Siena di fine secolo. Con un atteggiamento retrospettivo simile a quello dei pittori senesi coevi (con i quali, del resto, mantenne strettissimi rapporti), Mariano d’Agnolo si caratterizza per un recupero dei gloriosi modelli di Nicola e soprattutto di Giovanni Pisano, com’è ben evidente nelle nervose pose degli Apostoli della cappella di Piazza. Nelle sue sculture, intrise di un delicato naturalismo, colpisce inoltre l’insistito lavorio delle superfici, evidente retaggio della sua attività come orafo. Seguendo le indicazioni di Bagnoli, ad aprire la sequenza cronologica delle opere di Mariano sono proprio gli Apostoli di piazza del Campo (1376-80), cui si lega strettamente l’Angelo annunciante del Musée Jacquemart-André. Al 1381 risale il Busto reliquiario di s. Marco papa, sulla base del quale Elisabetta Cioni ha ricondotto allo stretto circolo del maestro un coerente nucleo di oggetti d’oreficeria (Cioni, 2008; 2010a, pp. 440 s. n. F.5, 442 s. n. F.6, 446 n. F.8; 2010b). La serie procede quindi con la S. Orsola di San Gimignano – che risponde a una tipologia in cui lo scultore si cimentò più volte, come provano due analoghi esemplari sul mercato antiquario (Caglioti, 2002, pp. 40-44 n. 23; Galli, 2010, pp. 398 s. n. E.19) –, con il tenero Gesù Bambino di Lugano, con l’Annunciazione di Castelfiorentino e con le Madonne di Lucignano e di Piombino, per arrivare ai cordiali protagonisti del coro del duomo senese (1388-90). Nello stesso arco di tempo (1380-90) possono trovare collocazione il Gesù Bambino benedicente già nella galleria Pozzallo di Oulx (Torino) attribuitogli da Gabriele Fattorini (comunicazione orale) e il S. Leonardo passato a un’asta Sotheby’s di New York nel 2012. La fase estrema dell’attività di Mariano d’Agnolo si può infine riconoscere nella Balia del Bargello, che sembra aprire la strada alla generazione di maestri come Domenico di Niccolò, detto dei Cori, e Francesco di Valdambrino, a cui sarebbe spettato il compito di inaugurare un nuovo capitolo della scultura senese.
Fonti e Bibl.: G. Milanesi, Documenti per la storia dell’arte senese, I, Siena 1854, pp. 277 s. doc. 77, 279 s. doc. 79, 280-282, 318, 328-383 docc. 109-134; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, IV, La scultura del Trecento e le sue origini, Milano 1906, p. 882; Id., Storia dell’arte italiana, VI, La scultura del Quattrocento, Milano 1908, pp. 14, 16; V. Lusini, Il duomo di Siena, Siena 1911, pp. 265-275, 327 note 123 e 126, 342 s. nota 200; R. (Romanegli), M. d’Angelo, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVIII, Leipzig 1934, p. 546; C. Brandi, La mostra della scultura in legno a Siena, in L’immagine, II (1949), 13, pp. 283 s.; P. Toesca, Il Trecento, Torino 1951, pp. 303, 936 s.; A.M. Guiducci, Il Maestro della Madonna di Lucignano e Domenico di Niccolò dei Cori, in Jacopo della Quercia fra Gotico e Rinascimento. Atti del Convegno..., Siena... 1975, a cura di G. Chelazzi Dini, Firenze 1977, pp. 38-52; E. 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Agnolo