FRESCOBALDI, Maria Vittoria (al secolo Lucrezia)
Nacque a Firenze il 20 apr. 1589 da Lorenzo e dalla seconda moglie di questo, Laura Salvetti. Dei dodici figli avuti dalle due mogli, tre figlie furono destinate alla vita conventuale.
Il padre collocò la F. a soli cinque anni nel monastero vallombrosano di S. Verdiana, dove mutò il suo nome con quello di suor Maria Vittoria. Fu scelto quel monastero perché era considerato uno dei più prestigiosi della città, e perché vi era suor C. Salvetti, zia della Frescobaldi. Fino al compimento del dodicesimo anno, età minima stabilita dal concilio di Trento per la monacazione, uscì dal monastero due sole volte. La famiglia la teneva volutamente lontana perché non fosse indotta ad abbandonare il convento, idea che la bambina aveva già manifestato alla zia e alle consorelle. A niente valsero le sue rimostranze di fronte alla decisione del padre: riuscì soltanto a procrastinare di qualche anno il pronunciamento della professione. Così, la F. prese i voti all'età di ventiquattro anni il 21 apr. 1613 e non, come prevedeva il concilio di Trento, subito dopo aver compiuto il sedicesimo anno di età.
Essendo di nobile origine, all'interno del convento la F. veniva considerata un'ospite di riguardo. Una dimostrazione del potere che vi esercitava era la sua cella, un vero e proprio appartamento, dove ospitava due monache sue amiche e dove una conversa lavorava per lei. La F. emergeva perché sapeva leggere e scrivere ed era lei che spesso compilava i libri di entrata e di uscita del convento; inoltre le venivano affidate ragazze da educare. L'autorità e il prestigio le derivavano anche dal fatto che era una apprezzata cantante sacra; la F., nella sua stanza, con i suoi libri e i suoi strumenti musicali, clavicembalo e spinetta, studiava canto e aveva anche un maestro che le insegnava a suonare l'organo.
L'esercizio della musica era talvolta motivo di infrazione al regime di clausura ma, nonostante deroghe e privilegi, la F. poteva cantare alle grate e in chiesa solo durante le feste solenni. La suora invece violava spesso le regole del monastero.
Nel 1617 accettò senza esitazione le attenzioni che il marchese Sinolfo Ottieri, genero del primo ministro B. Vinta, cominciava a rivolgerle. L'Ottieri era un musicista dilettante e le sue amicizie erano tutte scelte accuratamente tra musicisti e letterati che gravitavano attorno alla corte di Cosimo II. Aveva, infatti, preso lezioni di canto da G. Caccini e aveva imparato a suonare l'organo con A. Malvezzi. Per tre anni, l'Ottieri frequentò quasi quotidianamente le grate di S. Verdiana, conversando con la Frescobaldi. Per rendere più attendibile una così assidua presenza al monastero, l'Ottieri vi aveva introdotto, contro il volere delle monache, una sua nipote di sei anni che aveva affidato alle cure della Frescobaldi. La monaca, del resto, consapevole del ruolo che ricopriva nel convento, non si curava dei rimproveri che la badessa le rivolgeva e continuava a incontrare alle grate il marchese.
Nonostante le proteste delle monache al vescovo A. Marzi Medici, al nunzio P. Valier, al padre generale di Vallombrosa don O. Morandi, al granduca Cosimo II e addirittura a Roma, nessuno si occupò del caso.
Il 2 luglio 1620 due suore di una cella vicina a quella della F. avvertirono il priore che quella notte sarebbe entrato un uomo nel convento e la sera del 3 luglio il bargello ebbe l'incarico dalla corte di introdursi con i suoi uomini nel monastero per catturare i due amanti, che ormai da quasi ventiquattro ore erano insieme.
Il tribunale della nunziatura apostolica si occupò della F. e delle sue complici che furono interrogate dal nunzio Valier e dal suo auditore O. Berindelli durante tutto il mese di agosto; meno chiara fu invece la posizione giuridica del marchese. Di fronte all'enormità dell'azione compiuta dall'Ottieri la corte fiorentina e quella pontificia lottarono per il diritto di dare una punizione esemplare al nobile senese, che quattro mesi più tardi fu giudicato dalla magistratura criminale degli Otto di guardia.
L'inutile difesa dei due si imperniò sulla comune passione per la musica ed è per questo che un ruolo di tutto rilievo lo svolsero gli amici dell'Ottieri; ma gli argomenti erano deboli e i due non vennero creduti. La F. chiese addirittura di essere visitata per accertare la sua verginità, ma neppure questo venne accordato. Il marchese fu carcerato a vita nel Torrione di Volterra, obbligato a pagare alla Camera fiscale un'ingente multa, e morì dopo un anno. La F. e la conversa Marta furono rinchiuse a vita nel carcere del monastero. Alle altre complici furono comminate pene da cinque a dieci anni da scontare sempre in una cella a S. Verdiana.
Il 6 maggio la F. riceveva da parte del nunzio I. Massimo, succeduto al Valier, la notifica della sentenza con la condanna alla privazione del velo, all'isolamento e al "perpetuo carcere senza speranza di grazia et a digiunare in pane et acqua tutti li giorni di venerdì del presente anno" (Arch. di Stato di Firenze, Nunz. apost., 857).
Da quel momento la F. scompare dai libri di ricordi di S. Verdiana. Non verrà data notizia neppure del suo trasferimento nel monastero di S. Giuseppe, che invece sappiamo essere avvenuto nel 1635. Quando il 12 genn. 1635 il cardinale M. Ginetti scrisse da Roma all'arcivescovo fiorentino P. Niccolini che la F. poteva essere trasferita da S. Verdiana solamente con il consenso della maggioranza delle monache col pagamento di 800 scudi al monastero di S. Giuseppe per accoglierla, le suore condivisero la proposta.
Al momento del suo arrivo al monastero di S. Giuseppe le suore la accolsero "con gioia", ma non per questo la sua vita divenne meno dura: le assegnarono una cella dalla quale non poteva uscire se non per andare a sentire la messa, recarsi al coro per la preghiera comune, o per confessarsi e comunicarsi. Le era inoltre proibito frequentare il parlatorio. La gioia iniziale delle monache del nuovo monastero per la consorella si trasformò entro breve tempo in odio. A distanza di pochi mesi dal suo ingresso la F. subì lo stesso trattamento riservatole dalle vallombrosane. Solo quando il cardinale ordinò al vescovo di recarsi al monastero per obbligare le monache a non ribellarsi alle decisioni di Roma, queste, loro malgrado, accettarono. In quella occasione però la badessa sollecitò che non venissero concesse nuove grazie alla F. e soprattutto che non le venisse dato il permesso di recarsi alle grate, reputando che avrebbe potuto creare dei problemi anche a quel monastero, essendo la F. ancora abbastanza giovane, bella ed estremamente vivace.
Da quel momento non si hanno altre notizie della F., che sicuramente concluse la sua vita in una cella di quel convento.
Fonti e Bibl.: Firenze, Arch. arcivescovile, Chiese determinate, Cause civili, 462; Arch. di Stato di Firenze, Conventi soppressi dal Governo francese, 90; Otto di guardia e balia, 2793; Firenze, Bibl. nazionale, Manoscritti Passerini, 8, 47, 156; A. Pellegrini, Relazioni inedite di ambasciatori lucchesi, Lucca 1901, p. 160.