MELATO, Maria
– Nacque a Reggio nell’Emilia il 16 ott. 1885 da Silvio, ufficiale di cavalleria e insegnante di scherma, e da Elisa Friggieri.
Dotata di un’inclinazione particolare per la recitazione, dopo gli esordi in alcune filodrammatiche di Modena e una difficile esperienza in tournée con la modestissima compagnia Zambonini, la M., che aveva seguito i trasferimenti della famiglia, dovuti alla carriera del padre, a Piacenza e ad Ancona; qui, nel 1902, venne notata e scritturata da E. Berti. Con la compagnia Berti-Masi debuttò in ambito professionistico in ruoli da generica; fu un periodo di apprendistato. Dal 1904, scritturata sempre come generica dalla Mariani-Zampieri, passò al ruolo di «amorosa», ottenendo un significativo successo personale in L’amore che passa, dei fratelli S. e J. Álvarez Quintero. Di lì a poco, come «prima attrice giovane», fu ingaggiata dalla compagnia di Irma Gramatica e F. Andò.
Sotto la guida di Andò – attore di grande esperienza e sensibilità, per diversi anni in compagnia con Eleonora Duse – la M. affinò le sue doti naturali portando a maturazione il carattere e la personalità attoriale; e con la Gramatica-Andò ebbe la prima grande affermazione sostituendo la Gramatica, ammalatasi, ne La moglie del dottore di S. Zambaldi: la prima – Milano, teatro Lirico, 10 genn. 1908, seguita da ventiquattro repliche «a grande richiesta» – sfociò in un vero trionfo personale e il giorno seguente tutti i giornali si espressero in termini entusiastici decretando, e profetizzando, l’avvio di una brillante carriera.
Lungo tutto questo periodo, la M. era stata seguita nelle sue peregrinazioni teatrali dalla madre la quale, contro il volere del marito, nel ruolo di segretaria e di aiutante, accompagnò, confermò e stimolò la M. nelle scelte che quest’ultima andava facendo. Spesso la scrittura riguardava entrambe e il nome della madre compare ancora in una locandina del 1911, relativa alle recite tenutesi dal 19 al 25 giugno al politeama Ariosto di Reggio Emilia.
Nel 1909 la M. entrò nella Compagnia drammatica italiana diretta da V. Talli, la migliore dell’epoca. Con Talli, che fu suo maestro dal 1909 al 1921, consolidò maturità interpretativa e notorietà. Dapprima dovette dividere il ruolo di primattrice con altre due signore della scena: Lyda Borelli ed Edvige Reinach. Allontanatesi successivamente ambedue, si trovò a essere primadonna assoluta, al fianco di attori quali A. Betrone, A. Giovannini, S. Tofano. Il 1909 fu anche l’anno della nascita dell’unico figlio, Luciano, della M. che era e rimase sempre nubile.
Con il lavoro di Talli il teatro nazionale stava facendo i primi, timidi, passi per uscire dalle strettoie di una tradizione, «all’antica italiana», che, nella stanca ripetizione di opere spesso di non grande ingegno, si stava avvitando su stesso. Una severa analisi dei testi, una preparazione adeguata – per numero di prove, attenzione e cura per scene e costumi – fu questa la piccola, ma, agli effetti pratici, grande rivoluzione che Talli portò nella pratica scenica. Particolarmente insistito il lavoro sulla recitazione, reso ancora più duro dal pessimo carattere di Talli, il quale pretendeva dai suoi attori una partecipe adesione al personaggio, rifuggendo sia la ripetitività di quanti incarnavano solo tipi affini alla loro personalità artistica, sia la sovrapposizione del «carattere» del singolo interprete a qualsiasi ruolo. A questa scuola, attraverso la «ricerca di una verità approfondita» (S. D’Amico, Il tramonto del grande attore, Milano 1929, p. 137), la M. acquisì quell’«anima plurima» (Id., Profili di attrici e di attori, Firenze 1926, p. 206) – cioè la capacità di dar vita a personaggi fra loro i più diversi – per cui doveva rimanere famosa.
Acclamata per alcune straordinarie interpretazioni – tra le quali si ricordano in particolare: La maschera e il volto di L. Chiarelli (Milano, teatro Olimpia, 25 ag. 1916 [la Contessa]); La locandiera di C. Goldoni (Roma, teatro Argentina, 10 nov. 1918 [Mirandolina]); Glauco di E.G. Morselli (ibid., 30 maggio 1919 [Circe]); Anfissa di L.N. Andreev (ibid., 8 ott. 1919 [Anfissa]); La falena di H. Bataille (ibid., 5 giugno 1920 [Thyra de Marleiw]) – la M., seguendo, e stimolando, l’evoluzione del lavoro di Talli, affrontò ruoli di sempre maggiore aderenza alla contemporaneità, privilegiando la drammaturgia italiana.
Un’innovativa versione di La Gioconda (Milano, teatro Olimpia, 30 ag. 1913), proprio grazie all’interpretazione della M., dette l’avvio a una maniera nuova d’interpretare i testi di G. D’Annunzio, depurati dall’eccesso di enfasi retorica e scevri dagli stilemi determinati dalla lezione della Duse che fino allora li avevano pesantemente condizionati. Inoltre, in questi anni la M. portò in scena lavori di L. Pirandello: Così è (se vi pare) (ibid., 18 giugno 1917 [Signora Frola]); P.M. Rosso di San Secondo: Marionette che passione (Roma, teatro Argentina, 27 nov. 1918 [La Signora dalla volpe azzurra]); M. Bontempelli: La guardia alla luna (Milano, teatro Olimpia, 15 marzo 1920 [Maria]).
Nel 1921, la M. lasciò la compagnia di Talli e divenne capocomica.
Si assunse la responsabilità di tutti gli aspetti della messinscena: dalla formazione degli attori all’adattamento dei testi, dalla regia all’ideazione dei costumi. La lezione di Talli era stata magistralmente recepita, ma quel che la M. portava in scena, piuttosto che a un lavoro di regia è più assimilabile al lavoro dell’attore-autore: un’operazione a mezza strada tra la moderna impostazione registica – come si sarebbe strutturata nel secondo dopoguerra – e la vecchia tradizione capocomicale. La M., autrice di se stessa, pur tenendo conto del testo drammatico lo adattava alle proprie necessità: interveniva sui copioni, tagliando e modificando, commissionava nuove traduzioni, collaborava alle stesse. Dotata di uno straordinario registro vocale, e ci sono copiose ed entusiastiche testimonianze in merito alle sue doti, si affidava ciecamente alla sua sensibilità, musicale si potrebbe dire, nel costruire le parti e nello strutturare l’evoluzione drammatica del lavoro da portare in scena, secondo modalità che, fatte le debite differenze, presentano qualche analogia con il modus operandi di un C. Bene.
A testimonianza della straordinaria versatilità e capacità di lavoro, la M., tra il novembre e il dicembre del 1922, al teatro Quirino di Roma, mise in scena La bella addormentata (4 novembre [Carmelina]) e L’ospite desiderato (25 novembre [Melina]) di Rosso di San Secondo; Lo spirito della terra (7 novembre [Lulu]) di Fr. Wedekind; Vestire gli ignudi (14 novembre [Ersilia Drei]) di Pirandello. In questo incredibile tour de force figuravano anche La città morta e Il sogno di un mattino di primavera di D’Annunzio, Pamela nubile di Goldoni e la Maria Stuarda di Fr. Schiller.
Nel 1923 e nel 1925 portò i suoi spettacoli in tournée in America Latina.
Furono grandi successi e anche esperienze decisamente faticose: alle compagnie ospitate si chiedevano tre recite al giorno, ma da parte della M. la sola lamentela che si ricordi si riferisce alla fatica psicologica dovuta al necessario passaggio, in tempi così ravvicinati, da un personaggio all’altro, trattandosi spesso di «caratteri» tra loro assai distanti.
Già celebre interprete dannunziana, la M. fu chiamata a ricoprire il ruolo di Mila di Codro ne La figlia di Iorio, rappresentata l’11 sett. 1927, all’aperto, al Vittoriale presso Gardone, come spettacolo di esordio del nuovo Istituto nazionale per la rappresentazione dei drammi di Gabriele D’Annunzio, voluto dal governo fascista e dallo stesso scrittore.
Si trattò di un’operazione politico-culturale di alto profilo e di vaste dimensioni che radunava i più affermati professionisti dell’epoca: scenografie di O.A. Rovescalli, affiancato dall’architetto G.C. Maroni, costumi di Caramba (L. Sapelli), direttore artistico G. Forzano; la pubblicistica del periodo ricorda, tra gli spettatori eccellenti, alcuni dei personaggi che nello stesso periodo stavano facendo la storia del teatro del Novecento: M. Reinhardt e K. Stanislavskij, A.J. Tairov e V.E. Mejerchol´d. L’interpretazione della M. corrispose perfettamente alla nuova lettura del dettato dannunziano che esigeva una messinscena chiara, semplice, sfrondata dell’«eccessivo tradizionale lirismo» e piuttosto tesa a sottolineare il carattere drammatico, «teatrale», del testo. Seguirono gli allestimenti di Francesca da Rimini e La fiaccola sotto il moggio; la tournée, successiva alle recite al Vittoriale, portò la compagnia in giro per l’Italia fino alla primavera dell’anno seguente, confermando il successo personale della Melato.
Anche se negli anni Trenta la M. dovette tornare a temi e autori più tradizionali per assecondare gli orientamenti del grande pubblico, nel 1933 le si presentò un nuovo significativo impegno quando l’Istituto nazionale del dramma antico (INDA) scritturò la sua compagnia per gli allestimenti di Ifigenia in Tauride di Euripide (26 aprile) e Trachinie di Sofocle (27 aprile) a Siracusa.
La M., in questa sua unica apparizione al teatro greco, affiancata da N. Bernardi come Oreste, interpretò il ruolo en titre nella tragedia con cui si intendeva portare a compimento il ciclo degli Atridi, in continuità tematica con la Ifigenia in Aulide, rappresentata nel 1930. Quindi fu Deianira, con A. Ninchi nel ruolo di Ercole, nelle Trachinie, un testo fino ad allora poco rappresentato in quanto considerato marginale e di scarso valore drammatico nell’ambito del canone sofocleo, il quale, grazie allo spettacolo di grande effetto scenico realizzato dalla M., riacquistò abituale presenza nei repertori.
Tra gli spettatori, a Siracusa, c’era anche la famiglia reale: ne seguì un invito a Roma, a villa Savoia, dove la M., tra il serio e il giocoso, dette qualche saggio-lezione di dizione poetica ai giovani di casa Savoia. Nel 1935 una tournée la portò dapprima in Sicilia, poi a Tripoli e Bengasi. Si ricordano, nel 1936, un allestimento del Ventaglio goldoniano con E. Zacconi e M. Benassi. Nel triennio 1937-40 fu protagonista de La duchessa di Padova di O. Wilde e della Tosca di V. Sardou. Al 1939 risale l’ultima tournée in America Latina. Durante gli anni della guerra le possibilità di andare in scena dapprima si diradarono, fino a interrompersi del tutto.
Inoltre la M., che sempre aveva curato in maniera quasi maniacale il guardaroba considerando l’abito di scena come integrante e inscindibile dal personaggio per il quale era stato creato (la maggior parte dei suoi costumi venivano realizzati a Parigi dalla maison Lanvin), durante un bombardamento su Milano perse un centinaio di bauli, depositati in un magazzino, con conseguenti shock emotivo e grave danno finanziario.
Nell’immediato dopoguerra ripropose opere di D’Annunzio e di M. Praga, ma l’età e la difficile situazione generale la relegarono in spettacoli di secondo piano e in qualche lavoro radiofonico; da ricordare, nel 1947, la sua interpretazione de La voce umana di J. Cocteau.
Si congedò dalle scene nel 1948 con Casa paterna di H. Sudermann, prima di ritirarsi nella sua casa in Versilia.
Come altre note interpreti teatrali la M., dotata di un fisico minuto e di grazia più che di una bellezza classica, ebbe rapporti sporadici e fondamentalmente poco felici con il cinema; interpretò nel periodo del muto Ritorno (1914), Anna Karenina (1917), Il volo degli aironi (1920), tutte perdute; negli ultimi anni: La principessa del sogno (1942), Quartieri alti (1945), Il fabbro del convento (1947), Redenzione (1948).
La M. morì a Forte dei Marmi il 24 ag. 1950. Era stata, insieme, ultima artista ancora partecipe della tradizione del «grande attore», e prima, sulla scena teatrale italiana del Novecento, alla ricerca di una moderna dimensione creativa.
Fonti e Bibl.: M. Melato, Qualche mia ora. Memorie inedite e autografe raccolte da Franca Taylor, Roma 1978; D. Bertini, M. M. nella vita e nell’arte, Milano 1951; E. Albini, Cronache teatrali 1891-1925, a cura di G. Bartolucci, Genova 1972, ad ind.; R. Alonge, Teatro e spettacolo nel secondo Ottocento, Roma-Bari 1988, ad ind.; F. Angelini, Teatro e spettacolo nel primo Novecento, Roma-Bari 1988, ad ind.; G. Livio, La scena italiana. Materiali per una storia dello spettacolo dell’Ottocento e Novecento, Milano 1989, ad ind.; R. Tessari, Teatro italiano del Novecento. Fenomenologie e strutture 1906-1976, Firenze 1996, ad ind.; M. M.: il mito dell’attrice (catal.), a cura di E. Bellingeri, Reggio Emilia 2000 (con ricco apparato iconografico ed esauriente bibl.); S. D’Amico, Cronache 1914-1955, a cura di A. D’Amico - L. Vito, Palermo 2001, ad ind.; Enc. dello spettacolo, VII, sub voce.
G. Pangaro