MARIA GIOVANNA BATTISTA di Savoia Nemours, duchessa di Savoia
MARIA GIOVANNA BATTISTA di Savoia Nemours, duchessa di Savoia. – Nata a Parigi l’11 apr. 1644, M. era la figlia primogenita di Carlo Amedeo di Savoia, duca del Genevese e di Nemours, e di Elisabetta di Vendôme figlia di César, duc de Vendôme, figlio legittimato del re di Francia Enrico IV. Fu battezzata il 16 ott. 1646 nell’abbazia di Fontevrault. Dopo M., Carlo Amedeo ed Elisabetta ebbero tre figli maschi, tutti morti infanti, e una figlia: Maria Francesca Elisabetta, detta madamigella d’Aumale.
M. visse la sua infanzia negli anni della Fronda, che segnarono profondamente il suo destino. Il 30 luglio 1652 il padre e lo zio, Francesco di Vendôme duca di Beaufort, si sfidarono a duello. I due militavano contro Mazzarino ma erano avversari tra loro per rivalità politica – essendo al comando rispettivamente delle truppe del principe di Condé e del duca d’Orléans, assai sospettosi l’uno dell’altro – e personale (il padre di M. era l’amante di madame de Châtillon, ai cui favori ambiva anche Beaufort). Il duca di Nemours restò ucciso e il titolo passò al fratello minore Enrico, allora arcivescovo di Reims, che lasciò gli ordini e nel 1657 sposò Maria d’Orléans, ma morì poco dopo le nozze senza figli.
Educata in un collegio di visitandine, nel 1658 M. entrò alla corte di Luigi XIV, seguita di lì a poco dalla sorella minore. La morte del padre e, nel 1659, dello zio Enrico rese M. erede d’uno dei patrimoni più ricchi di Francia. I feudi nello Stato sabaudo tornarono, invece, al duca di Savoia, Carlo Emanuele II, che nel 1659 assunse il titolo di duca del Genevese. Un suo eventuale matrimonio con M. avrebbe quindi sciolto un’importante questione politica sia per Luigi XIV sia per Carlo Emanuele II. Quest’ultimo, sebbene duca dal 1638, era ancora sotto la tutela politica della madre, la reggente Cristina di Francia, che volendo conoscere di persona M. e valutarla come possibile nuora, la invitò a Torino. Nel 1659 la duchessa di Nemours e le sue due figlie si recarono a Torino, ricevute da Cristina e da Carlo Emanuele II. Per due mesi furono le protagoniste della corte sabauda e il duca si convinse a chiedere M. in moglie. Cristina, tuttavia, colpita dal carattere deciso di M., preferì non condurre oltre le trattative di nozze. A metà agosto le tre Nemours si trasferirono ad Annecy e di qui, dopo tre mesi, fecero ritorno a Parigi. Rientrata in Francia, Elisabetta di Vendôme decise, comunque, di trovare un marito per Maria Giovanna. La scelta cadde su Carlo di Lorena, formalmente erede del Ducato di Lorena, essendo lo zio, il duca Nicola, privo di eredi diretti. Da tempo risiedeva alla corte di Luigi XIV, il quale aveva tutto l’interesse a favorirlo con un matrimonio che lo legasse ancor più a sé. Il contratto nuziale tra Carlo di Lorena e M. fu stipulato il 23 ag. 1661.
Luigi XIV si impegnò a riconoscere il giovane Carlo quale erede del Ducato di Lorena. L’atto fu ratificato il 4 febbr. 1662 e la dote fissata a oltre due milioni, e sarebbe stata pagata dal duca di Savoia quale compenso per il ritorno alla Corona dell’appannaggio che i suoi antenati avevano concesso ai Nemours in Savoia. Il duca Nicola di Lorena, però, in segreto mirava a evitare la successione del nipote. Pochi giorni dopo la stipula dell’atto di dote, egli firmò il trattato di Montmartre, con cui nominava Luigi XIV suo erede universale. A Carlo di Lorena non restò che fuggire da Parigi. Il matrimonio con M. era, però, una delle clausole per l’attuazione del trattato di Montmartre. Il duca Nicola volle, quindi, che le nozze si svolgessero regolarmente nell’Hôtel de Nemours il 22 marzo 1662, rappresentando egli stesso lo sposo. Alla metà del 1663 Carlo di Lorena tornò improvvisamente a Parigi con la speranza di convincere Luigi XIV: in tale occasione confermò di ritenere valide le nozze con M., che cercò anche di rivedere, ma senza successo. Carlo fu costretto a rientrare rapidamente a Vienna.
Il 25 febbr. 1663, si celebrarono le nozze di Carlo Emanuele II con Francesca d’Orléans, nipote della duchessa Cristina. Pochi mesi dopo, sia Cristina sia la nuova duchessa si ammalarono. Elisabetta di Vendôme e le figlie tornarono a Torino, dove si fermarono dalla metà di novembre al 22 dicembre. Costretta a letto dalla malattia, Cristina non poté impedire che il figlio passasse molto tempo in feste e partite di caccia con le tre Nemours. Poco dopo la loro partenza, il 26 dicembre, l’anziana madama reale morì, e meno di tre settimane dopo, il 14 genn. 1664, morì anche Francesca d’Orléans. Il 19 maggio 1664, infine, un attacco di vaiolo stroncava anche la quarantenne Elisabetta di Vendôme. La tutela delle due sorelle Nemours passò agli avi materni, i duchi di Vendôme, ed esse si trasferirono a vivere nel monastero della Visitazione. M. fu nominata dama d’onore della regina; dal convento si trasferiva a Versailles ogni volta che i suoi doveri di corte lo richiedevano. Nel giro di pochi mesi una serie di fortunose circostanze permise al duca Carlo Emanuele II e a M. di decidere liberamente del loro destino.
Vent’anni dopo M. fece romanzare la storia del suo amore per il duca e delle difficoltà da loro incontrate nel dramma Ramira (forse rappresentato nel 1682), in cui Ramira e il suo amato Alcandro rappresentano M. e il duca, mentre Elvira, malvagia e tirannica, è la duchessa Cristina che aveva avversato il loro amore (Viale Ferrero, pp. 64 s.).
Il duca di Savoia poteva contare sul consenso di Luigi XIV, che voleva una principessa francese sul trono sabaudo. Prima di organizzare le nuove nozze di M., fu però necessario annullare le precedenti. Papa Alessandro VII concesse quanto chiesto dal re Sole e il 15 apr. 1665 le nozze fra M. e il duca di Lorena furono annullate. Il giorno dopo M. lasciava Parigi per Torino, dove fece un solenne ingresso il 10 maggio. Il giorno successivo, nel duomo della capitale, furono celebrate le nozze e M. divenne ufficialmente duchessa di Savoia.
Nel 1666, la sorella di M., Maria Francesca Elisabetta sposò Alfonso VI di Braganza, re di Portogallo. Il matrimonio fu fortemente sostenuto da Luigi XIV, che le costituì una dote di quasi un milione di lire. In tale occasione, M. cedette alla sorella i suoi diritti sui feudi francesi e questa, a sua volta, ne fece dono al re di Francia, quale compenso per la ricca dote ricevuta. Nel dicembre 1670, poi, M. vendette lo sfarzoso Hôtel de Nemours a Parigi per oltre 260.000 lire.
Il duca coinvolse il più possibile M. nella gestione degli affari di Stato e lei ebbe modo di apprendere l’arte di governo. Al contrario, il matrimonio si rivelò subito difficile, forse anche infelice, segnato dai numerosi tradimenti del duca.
Al momento delle nozze, favorita del duca era Jeanne-Marie de Trécesson, conosciuta al tempo in cui era stata dama d’onore della duchessa Cristina. Il legame era iniziato almeno nel 1658 e il duca aveva avuto da lei tre figli. Per nascondere la relazione, egli non aveva esitato a far sposare l’amata al marchese Pompilio Benso di Cavour. Le nozze con M. non interruppero il rapporto. Fu solo quando il marchese Francesco Giuseppe Wilcardel de Fleury, che aveva stretto una relazione con la Trécesson, fece uccidere un servo del marito di quest’ultima che scoppiò uno scandalo tale da indurre il duca, nel 1668, a esiliare l’ex amante in Francia. Il duca, peraltro, già da tempo aveva stretto una nuova relazione con Gabrielle de Mesmes de Marolles, dalla quale proprio in quello stesso 1668 aveva avuto un altro figlio.
Gli amori del duca e gli scandali da essi originati amareggiarono non poco la vita di M., anche se al termine del primo anno di matrimonio, nel 1666, nacque Vittorio Amedeo, unico figlio maschio della coppia, e successivamente Cristina. Il 12 giugno 1675 Carlo Emanuele II morì. Vittorio Amedeo II aveva appena nove anni e la reggenza fu così assunta da M., che a trentuno anni si trovava a governare lo Stato sabaudo. Sin da allora M. ebbe seri problemi con il figlio. In breve, i rapporti degenerarono in diffidenza reciproca e malcelata ostilità. Alle richieste d’affetto del figlio, sconvolto dall’improvvisa morte del padre e soggetto a ripetute malattie, M. rispose con freddezza, nascondendo la sua mancanza di senso materno dietro le pressanti necessità poste dagli affari di Stato.
Le origini d’un dissidio destinato a non ricomporsi mai erano, però, altre. Da un lato, infatti, M. invidiava il profondo amore che il marito aveva avuto per il figlio e che, invece, sembrava non avere avuto per lei, almeno dopo le nozze. Ferita dalle relazioni del consorte, riteneva d’esser stata usata solo per dare un erede al trono. Dall’altro, la scarsa disponibilità a svolgere il suo ruolo di madre – pur nelle rigide forme che questo assumeva nella società aristocratica dell’epoca – si accompagnava alla volontà di rifarsi delle umiliazioni subite dal marito, inanellando una serie di relazioni con giovani amanti.
Nel decennio di reggenza ce ne furono almeno due importanti, cui va aggiunto un probabile legame con l’abate Jean-François d’Estrades, ambasciatore francese a Torino fra il 1678 e il 1685. La prima fu col ventenne conte Carlo Cristiano Chabod de Saint-Maurice, figlio di Francesco Tommaso Chabod marchese di Saint-Maurice gran scudiere del duca, più volte ambasciatore in Francia e dal 1677 membro del Consiglio di reggenza. Supponente e vanitoso, il giovane Saint-Maurice si rese così inviso alla corte che nel 1679 M. fu costretta ad allontanarlo da Torino. Fu quello l’inizio della disgrazia di casa Chabod, che da un secolo era una delle principali famiglie nobili dello Stato: nel 1680 il marchese Francesco Tommaso fu rimosso da tutte le cariche di corte e dal Consiglio di reggenza. Il posto del conte Chabod fu preso da Carlo Francesco Valperga conte di Masino. Orfano ad appena due anni, era stato educato e cresciuto tra Parigi e Versailles. Ricco, colto e raffinato, dopo il suo rientro in patria nel 1675 era presto entrato nelle grazie della reggente, da cui nel 1678 fu promosso colonnello. Nel 1680 M. lo fece nominare gentiluomo di camera e primo scudiere di Vittorio Amedeo. Tale scelta si rivelò un errore, poiché il giovane duca detestava i favoriti della madre e invece il conte di Masino doveva stargli accanto continuamente: per Vittorio Amedeo II era quasi un carceriere che ne controllava le azioni per riferirle a Maria Giovanna. Nel 1683, inoltre, la reggente nominò Valperga generale delle Guardie svizzere, carica che lo poneva a capo dell’apparato militare di corte. La principale conseguenza politica della relazione con il conte di Masino fu il rientro in Piemonte del marchese Carlo Giovan Battista Simiana di Pianezza, zio materno del Masino, emigrato in Francia dopo la disastrosa guerra di Genova del 1672. Chiamato nel Consiglio di reggenza, ne divenne in breve la vera eminenza grigia, informando Parigi di ogni sua azione.
Il 14 maggio 1680 Vittorio Amedeo II divenne maggiorenne, ma decise di non assumere ancora il governo dello Stato. Formalmente era un atto di umiltà, in realtà il duca sapeva di non esser per il momento in grado di contrastare la madre e i suoi ministri, spalleggiati dalla Francia. La situazione interna dello Stato, inoltre, era assai tesa e proprio quell’anno era scoppiata una grave rivolta nel Monregalese, la cosiddetta guerra del sale. In una tale contingenza era più prudente lasciare a M. la gestione degli affari politici, aspettando un momento più propizio per subentrarle al potere. M. sapeva, peraltro, che era solo questione di tempo. Essa cercò, quindi, di allontanare il figlio progettando per lui un matrimonio portoghese.
Nel 1667, un anno dopo aver sposato il re del Portogallo Alfonso VI, la sorella minore di M., Maria Francesca Elisabetta, aveva organizzato un colpo di Stato, che aveva portato all’arresto del re e al conferimento della reggenza al fratello minore don Pedro; il matrimonio fu annullato e la Nemours sposò don Pedro. In breve la coppia ebbe una figlia che si trovò a essere erede del Regno: Maria Isabella Luisa. M. e la sorella pensarono allora di far sposare i loro figli. Le trattative erano iniziate dal 1670 ma ebbero una svolta nel 1674. Fu allora, infatti, che, vista l’impossibilità per la regina di avere altri figli, le Cortes proclamarono la principessa erede al trono lusitano.
Vittorio Amedeo II sarebbe divenuto sovrano d’un Regno che possedeva ancora un vasto impero coloniale, conquistando così quella corona alla quale da tanto tempo aspiravano i Savoia; M., da parte sua, sarebbe rimasta in Piemonte come reggente. In altri tempi il matrimonio non avrebbe incontrato difficoltà. I pessimi rapporti fra M. e il figlio da un lato, e il ritrovato vigore del partito antifrancese dall’altro, si rivelarono, invece, ostacoli insormontabili. Dopo trattative più difficili del previsto, il contratto nuziale fu firmato il 31 maggio 1680 – quindici giorni dopo che il duca aveva raggiunto la maggiore età – col pieno appoggio di Luigi XIV, che sperava di attrarre il Portogallo nella sua sfera d’influenza e di estendere, tramite M., il controllo sul Ducato di Savoia. La cerimonia di fidanzamento si svolse a Lisbona il 22 marzo 1681; il quindicenne Vittorio Amedeo II vi fu rappresentato da Carlo Filiberto Este marchese di Dronero, capo d’una delegazione sabauda di quasi 130 persone. A Torino l’ufficializzazione del fidanzamento avvenne in occasione del carnevale, con la rappresentazione del dramma per musica Lisimaco, in cui lo stesso Vittorio Amedeo II fu costretto a ballare in veste d’Apollo (il sovrano ebbe sempre molto fastidio per le feste di corte). Il 20 giugno 1682 una flotta portoghese comandata dal duca di Cadaval giunse nel porto di Villafranca di Nizza, per condurre Vittorio Amedeo II a Lisbona. Il duca, però, si finse malato. Nel frattempo la fazione contraria alle nozze giunse a sobillare la popolazione torinese perché protestasse sotto il palazzo ducale. Il marchese Carlo Emilio di San Martino di Parella organizzò una vera e propria congiura per arrestare la reggente, ma fu scoperto e riuscì a fuggire, ponendosi al servizio dell’imperatore Leopoldo I. Dopo diversi mesi d’inutile attesa, il duca di Cadaval rientrò a Lisbona senza il principe. La sua relazione sul trattamento ricevuto in Piemonte fu determinante a far sciogliere il contratto di nozze.
Il fallimento del progetto portoghese rese evidente che il tempo di M. era contato. Tra i primi a rendersene conto fu il marchese di Pianezza, che alla fine del 1683, con l’aiuto del nipote Ottavio Provana di Druent, organizzò una congiura per fomentare una rivolta popolare che permettesse l’assunzione dei pieni poteri da parte di Vittorio Amedeo II. Egli, anzi, andò a informarne lo stesso duca, con la convinzione di ottenerne la riconoscenza. Vittorio Amedeo, invece, fece arrestare i congiurati e, a cose fatte, informò la madre. Per M. fu un nuovo segnale dell’isolamento in cui si trovava. Luigi XIV, nel frattempo, aveva deciso di dare in moglie a Vittorio Amedeo II la principessa Anna d’Orléans, sua nipote. M. cercò strenuamente di evitare il matrimonio, che avrebbe significato la fine del suo potere. A fronte delle resistenze di M., Luigi XIV inviò truppe in Piemonte, minacciando di occupare la fortezza di Verrua e la stessa cittadella di Torino. Solo allora M. accettò di inviare, nel gennaio 1684, la formale richiesta di matrimonio. Nel marzo dello stesso anno, con un vero e proprio proclama letto al castello di Rivoli, Vittorio Amedeo II assunse il potere. Fra i suoi primi provvedimenti ci fu l’allontanamento del conte di Masino da corte.
Vittorio Amedeo II concesse a M. di mantenere la propria corte, lasciandole come residenza il castello di Torino (che da lei prese il nome di palazzo Madama). Egli, però, le ridusse l’appannaggio da 700.000 a 300.000 lire annue. Per poter sostenere le spese di oltre 150 cortigiani, nel 1686 M. fu costretta a vendere il ducato d’Aumale a Luigi Augusto duca del Maine, figlio legittimato di Luigi XIV. Sino al 1690, M. continuò a incontrarsi con il conte di Masino, esiliato nel suo castello, poi decise di interrompere la relazione. Il conte, allora, si trasferì a Milano, dove si sposò, senza mai più far ritorno in Piemonte. M. non appoggiò mai la politica del figlio, che riteneva troppo audace e rischiosa. Fra il 1704 e il 1705, dopo il rovesciamento delle alleanze operato da Vittorio Amedeo, che riportò lo Stato sabaudo in guerra contro la Francia, M., temendo una sconfitta, fece scrivere i Mémoires de la régence, in cui difendeva il suo operato come reggente, enfatizzando la politica di neutralità tra Spagna e Francia e il mantenimento della pace. Rifiugiatasi a Cherasco durante l’assedio di Torino del 1706, fece presto ritorno nella capitale. Ebbe, tra l’altro, un certo ruolo nella protezione di alcune accademie letterarie, come gli Incolti di Torino e gli Innominati di Bra.
Ottantenne, M. morì a Torino la notte fra il 15 e il 16 marzo 1724. Il suo corpo fu tumulato nei sotterranei del duomo di Torino (da dove, nel 1836, fu traslato alla Sacra di S. Michele) vestito con l’abito delle carmelitane, al convento del cui Ordine fu lasciato, invece, il suo cuore.
Il giudizio sul suo operato è stato a lungo assai critico. Il primo storico moderno a occuparsi di M. è stato Domenico Carutti. Nella Storia di Vittorio Amedeo II (Torino 1856; Firenze 1863) egli espresse un’opinione sostanzialmente positiva di M., che modificò in senso negativo nella terza edizione del suo lavoro (Torino 1897), dopo la pubblicazione dell’Histoire de Louvois (Parigi 1863) di Camille Rousset, in cui erano comprese una serie di relazioni degli ambasciatori francesi a Torino. I rapporti degli agenti francesi a Torino, peraltro, non erano del tutto attendibili, poiché miravano a presentare M. nella peggior luce possibile alla corte del re Sole.
Negli ultimi decenni, la storiografia di genere ha spinto verso una rivalutazione dell’azione politica di regine e donne reggenti. Tuttavia, è difficile non confermare quanto gli storici attivi fra Otto e Novecento avevano già ben compreso: la seconda madama reale non pensò mai d’emancipare lo Stato sabaudo dal controllo francese e realizzò progetti già in gran parte definiti dal marito e dai suoi più autorevoli collaboratori, primo fra tutti il ministro Giovanni Battista Trucchi di Levaldigi, di fatto estromesso da M. non appena ebbe il controllo del Consiglio di reggenza. L’insistenza, sotto la seconda reggenza, dei decreti di tipo economico non era frutto di decisioni individuali di M., ma rispecchiava alcuni dei piani economici studiati da Trucchi per Carlo Emanuele II. M., che tanto entrò in competizione con la prima reggente e con i suoi modelli di governo francesi, durò al governo non più di nove anni: anni complessi, ma privi di veri sconvolgimenti politici. Le difficoltà incontrate da M. furono di ben altra natura rispetto a quelle affrontate dalla prima madama reale. La struttura dello Stato, pur scossa dalla guerra del sale, non fu messa in discussione, come era avvenuto invece ai tempi della prima reggenza. Le calamità furono, piuttosto, di carattere naturale, legate agli effetti di gravi carestie che colpirono il Piemonte fra il 1677 e il 1680. Per tali motivi M. si trovò a dover gestire i problemi generati dalla crisi dei mercati interni e dal dilagare del pauperismo. L’istituzione del Consolato di commercio (1676-77), l’approvazione di un nuovo istituto di prestiti, il Monte di S. Giovanni Battista (1681) e, insieme, nell’ambito della riorganizzazione dello spazio urbano della capitale, la creazione di un ghetto per la comunità ebraica (1679-80), il trasferimento dell’ospedale di S. Giovanni Battista (1678-80) e l’unione dell’Ospizio di mendicità (o Albergo di virtù) con il ricovero per i protestanti convertiti nella nuova zona di espansione di Torino verso il Po (1678-83; il provvedimento fu tuttavia concluso solo al volgere del secolo): sono tutti esempi di tempestivi interventi da parte di M. in risposta a questioni incalzanti, ma nel solco di indirizzi politici già tracciati.
Ambiziosa, M., che era donna colta e raffinata, mirò a lasciare della propria politica una memoria segnata soprattutto dai suoi interventi a patrocinio delle arti e delle lettere. I frontespizi, dediche, preamboli dei decreti e testi a stampa che circolarono durante la sua reggenza offrono l’immagine della principessa animatrice di dotti cenacoli. L’idea di inaugurare a Torino le sedi per l’incontro di letterati, artisti e gentiluomini sabaudi e stranieri che, per diverse ragioni, gravitavano intorno alla corte non era casuale. Già Carlo Emanuele II aveva sollecitato uomini di lettere e fidati cortigiani a ricreare l’immagine della vita di corte a Torino, suggerendo il modo per attrarre anche dall’estero selezionati esponenti dell’élite. M. ebbe buon gioco a fondare tra il 1677 e il 1678, in spazi attigui alla corte, tre accademie: una cavalleresca, l’Accademia Reale (sul modello delle Ritterakademien sorte fra il XVI e il XVII secolo in diversi Stati italiani e tedeschi oltre che in Francia), una letteraria, pure denominata Reale Accademia, e una artistica, di pittura e scultura. Scarse le notizie su queste ultime due, volte a promuovere il mecenatismo artistico e la conoscenza delle lingue italiana e francese, grazie a periodici incontri fra nobili piemontesi e forestieri di passaggio a Torino. Maggiori, invece, sono quelle sull’istituto di formazione destinato a incrementare le presenze italiane e straniere nel corso del Settecento. Si trattava di un costume che le grandi corti europee conoscevano da circa un secolo e che nel Seicento aveva assistito a un nuovo rilancio proprio grazie alle figure di alcune sovrane e reggenti. Merito di M. fu quello di entrare in sintonia con un clima diffuso, facendo recuperare a Torino un ritardo d’immagine rispetto ad altri Stati italiani e alle maggiori corti europee.
A coronare la rappresentazione di una reggenza sensibile alla cultura fu certamente l’edizione del Theatrum Sabaudiae, l’imponente progetto di descrizione e illustrazione dei domini dei Savoia avviato fin dal 1657 da Cristina di Francia e da Carlo Emanuele II in collaborazione con il famoso editore olandese Jan Bleau; l’incendio della stamperia nel 1672, le continue dilazioni e i contrattempi nati in corso d’opera giocarono a favore di chi ne raccolse tardivamente i frutti nella grandiosa edizione del 1682, che uscì appunto quando era ancora al potere Maria Giovanna.
Fra i suoi provvedimenti più interessanti fu, poi, il regolamento di corte del 1680, con cui M. razionalizzò gli organici della corte consolidando quelli precedenti, ma aprendo anche a una struttura più articolata e funzionale allo Stato quale si sarebbe realizzata nel corso del secolo successivo. La marca di una sovranità al femminile che, nei domini sabaudi come negli Stati in cui vigeva la legge salica, non poteva essere piena, né particolarmente incisiva lasciava traccia, in questo modo, su un altro essenziale perno del potere dinastico.
Opere: I Mémoires de ma régence, c’est à dire Mémoires de Marie Jeanne Baptiste de Savoie contenants les trois premières années de sa régence: 1675-78 si conservano grazie a una copia fattane da Prospero Balbo nel 1803, Torino, Biblioteca reale, Misc., 4, ins. 7. Dei Mémoires de la régence de Marie Jeanne Baptiste et de la continuation de son gouvernement depuis la majorité du duc son fils jusqu’à son mariage, si conservano tre copie: Torino, Biblioteca reale, St. patria, 703 (completato dalla Relation de ce qui s’est passé dans la négociation du mariage de s.a.r. avec l’infante de Portugal); 863 (completato da una memoria dell’abate Sallier de la Tour sul matrimonio portoghese); Arch. di Stato di Torino, Corte, Storia della real casa, cat. 3, m. 20, f. 1. Risale, invece, a poco dopo il 1720 la Vie de madame royale del padre Pantaleone Dellera, teologo della duchessa, di cui si conservano copie sia nell’Arch. di Stato di Torino (Corte, Storia della real casa, cat. 3, m. 20, f. 2) sia nella Biblioteca reale di Torino.
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