DRAGO, Maria Giacinta
Nacque il 31 genn. 1774 a San Francesco di Albaro presso Genova da Giacomo e da Geronima Bottino (non da Francesca Montorsi, come molti biografi hanno erroneamente ripetuto). Il padre, agiato mercante, intorno al 1790 si stabilì con la famiglia a Genova, vicino alla chiesa di S. Pietro in Banchi, dove, il 25 sett. 1794, la D. andò sposa al chiavarese dottor Giacomo Mazzini, giovane medico di buona reputazione. L'11 nov. 1797, a tre mesi dalla nascita della primogenita Rosa, i coniugi Mazzini andarono ad abitare a Genova, di fronte alla chiesa di S. Filippo: un trasferimento dovuto soprattutto a motivi politici, perché nel giugno 1797 la vecchia Repubblica aristocratica era caduta, e nel nuovo governo "giacobino" il dottor Giacomo era chiamato a ricoprire cariche importanti. Così la D. partecipò, sia pure di riflesso, agli entusiasmi di quell'epoca, che fecero maturare in lei una coscienza democratica e progressista ben più salda di quella del marito, il quale, negli anni della Restaurazione, si sarebbe chiuso in un moderatismo sempre più gretto.
Il 4 nov. 1800 nacque la secondogenita Antonietta; e il 22 giugno 1805, mentre la Liguria veniva annessa all'Impero napoleonico e il dottor Giacomo si ritirava dalla vita politica, la D. dette alla luce Giuseppe. La gracilità del bambino preoccupò non poco la madre, la indusse a prolungare i soggiorni nella villa che i Mazzini possedevano presso Bavari e poi a traslocare, nel 1810, in una casa più luminosa e salubre situata sulla piazza dei Forni, verso Castelletto, dove si sperava che l'aria migliore giovasse anche alla piccola e malaticcia Francesca, nata il 16 dic. 1808. Ben presto, però, più che la salute cagionevole di Pippo e Cichina furono l'estrema sensibilità e la precocissima intelligenza del primo a richiamare la sua attenzione: l'eccezionale intelletto del bambino la appassionava, ma insieme la sgomentava, era consapevole della propria limitata cultura - più tardi, nella corrispondenza col figlio, ebbe parole dure circa l'educazione tradizionale delle donne in cui predominavano "ignoranza. crassa", "ipocrisia e sciocchezza" (Luzio, p. 88) - e temeva di non poter dare al ragazzo il nutrimento intellettuale di cui egli aveva bisogno. Si rivolse allora ad amici e parenti perché le suggerissero piani di istruzione; chiamò come precettore il padre L. A. Descalzi, uno di quei giansenisti che ella frequentava da tempo e che erano le sue guide spirituali; soprattutto si sforzò con entusiasmo da autodidatta di imparare sempre di più, per non perdere la possibilità di dialogare con quel figlio al quale la legava una fortissima affinità spirituale, sottolineata da un'impressionante rassomiglianza fisica.
Nel 1820 la D. seguì con trepidazione l'inizio della carriera scolastica di Mazzini e la sofferta scelta, contro il volere del padre, degli studi giuridici. Nel 1821, a luglio, vide con dolore la figlia Rosa entrare nel convento delle franzoniane a Sanipierdarena, dove sarebbe morta di consunzione il 30 dic. 1823. Tra il 1823 ed il 1824 Mazzini attraversò una profonda crisi religiosa (la madre temeva che intendesse suicidarsi) in cui maturò il suo distacco dal cattolicesimo: una spina nel cuore della D., che continuò a dolere negli anni futuri. Nel 1827 fu allietata dalla laurea del figlio e due anni dopo, il 20 ag. 1829, dal matrimonio di Antonietta con Francesco Massuccone. Ma anche questo evento lieto era destinato a produrre dispiaceri: il bigottismo e il conformismo del genero contagiarono la figlia, ne avvelenarono i rapporti con la madre. Giunti i tempi difficili, la D. si sarebbe lagnata per lo "spirito d'imbelle servilità" dei Massuccone, che invece d'esserle alleati le erano d'impaccio (ibid., pp. 153 s .).
Il 13 nov. 1830 l'arresto di Mazzini per appartenenza alla carboneria segnò nella vita della D. una tappa fondamentale. La sua forza d'animo e la sua capacità di azione, tante volte messe alla prova negli anni a venire, si manifestarono immediatamente. Tornò in fretta dalla villa di Bavari, fece sparire le carte compromettenti del figlio, gli inviò clandestinamente un lapis col quale egli scrisse messaggi dalla prigione. Quando Mazzini venne trasferito nella fortezza di Savona, tenne i collegamenti tra lui ed i confratelli mediante un semplice codice crittografico; e ottenne il permesso di visitarlo. Nel febbraio 1831 la scelta dell'esilio allontanò fisicamente madre e figlio, ma cementò il loro affetto e la loro simbiosi intellettuale. Da allora la D. visse in funzione di Mazzini ed al suo servizio, scrivendo nelle lettere a lui una autobiografia sentimentale tanto appassionata ed ardente da parere non di rado impudica e morbosa. Nella tempesta degli affetti, tuttavia, non perse mai di vista l'azione concreta. Quando il figlio partì per la Francia gli procurò una guida esperta nella persona del cognato Bartolomeo Alberti; e appena Mazzini decise di recarsi in Corsica ella rivoltò "mari e monti per trovar modo di far[gli] aver denaro" (ibid., p. 255). Questa del denaro fu una preoccupazione costante: vincendo difficoltà oggettive, aggirando la volontà del marito che era stretto di borsa e persuaso che Mazzini dovesse vivere del suo, superando la ritrosia del figlio stesso che non voleva confessare la propria miseria, lo rifornì regolarmente di contanti. Nel 1838 sarebbe riuscita anche a convincere il marito a far testamento in modo tale da evitare la confisca dell'eredità ai danni del figlio.
Il 4 luglio 1832, con il sequestro a Genova di un baule pieno di carte della Giovine Italia, crebbe la vigilanza della polizia intorno alla D. e si meditò di arrestarla, ma prevalse l'idea di lasciarla in libertà e di intercettare il suo carteggio: odiosa misura la cui ipotesi spaventò la madre ("L'idea infernale d'interlocuzione mi persegue e mi sdegna al punto di paralizzarmi ..."; ibid., p. 161), ma alla quale siamo debitori delle lettere rimasteci, che il Luzio trovò ricopiate nelle carte del "gabinetto nero" sabaudo. Per la D. iniziò un periodo particolarmente duro: la sua casa era sorvegliata, gli amici si tenevano alla larga, le repressioni del 1833 portarono alla morte in carcere di Iacopo Ruffini, carissimo amico di famiglia. Il 26 ottobre di quell'anno Mazzini fu condannato a morte e la madre disperò di rivederlo, anzi temette che venisse catturato, magari in occasione di un imprudente ritorno in patria per rivedere i genitori, contro il quale lo mise in guardia: "L'idea che saria non difficile venirci a vedere, che talora ti passa per la testa, ... saria vera pazzia e colmo d'irragionevolezza" (ibid., p. 93).
Per qualche tempo si illuse di riunirsi a lui in Svizzera, ma infine caldeggiò realisticamente il trasferimento di Mazzini a Londra, dove le difficoltà materiali erano molte, ma egli era "reso a quelle civili libertà, la cui privazione fece per tanto lungo periodo l'amarissimo mio supplizio" (ibid., p. 133). Nell'esilio londinese Mazzini trovò più che mai in sua madre sostegno materiale e morale. Ella spediva denaro, lo soccorreva nelle sue improbabili iniziative commerciali, gli procurava libri e giornali e informazioni d'ogni genere, lo teneva in contatto con gli amici italiani, diffondeva i suoi scritti e si occupava della loro pubblicazione. Soprattutto lo confortava e lo sosteneva nei momenti difficili, gli faceva sentire vicini gli affetti familiari, lo colmava di notizie della casa e della patria, accoglieva i suoi sfoghi e i suoi lamenti, divideva con lui gioie e speranze, partecipava con competenza ai suoi interessi culturali, giudicava con acume i suoi articoli.
Nelle lettere si disegna l'immagine di una donna forte, intelligente, ironica, sensibile, coraggiosa. Protestava spesso la propria ignoranza ed incompetenza, ma le sue idee erano precise, i giudizi taglienti, il livello morale sempre alto. Condivideva appieno l'intransigenza del figlio, anzi la stimolava; manifestava insofferenza perPatmosfera opprimente che si respirava a Genova, per il gesuitismo e l'imbecillità degli aristocratici; era durissima nei confronti di Carlo Alberto, fiduciosa nei destini d'Italia ("L'Italia è la più distinta parte del globo, ... quindi non è possibile che possa soggiacere sempre nella abiezione e riprenderà quando che sia il suo debito splendore"; ibid., p. 241), pronta a sposare grandi cause come l'emancipazione delle donne o l'abolizione della pena di morte. Faceva spesso professione di modestia, ma modesta non era; Agostino Ruffini, una volta consumato il proprio distacco dai Mazzini, scriverà che "ella non vede che sé al mondo. ... Dentro Italia non c'è che lei, fuori d'Italia non c'è che suo figlio. Le altre madri non hanno diritto né di dolersi. né quasi d'amare i figli lontani" (Cremona Cozzolino, p. LIII).
Certo ella aveva concentrato nel figlio un amore esclusivo, specie dopo che il 17 genn. 1838 le era morta anche la fragile Cichina. Però questa donna severa e cupa riusciva a calamitare su di sé molti affetti. Intorno a lei si stringeva un gruppo di gentildonne genovesi simpatizzanti della Giovine Italia - Fanny Balbi, Laura Di Negro, Nina Cambiaso, Carolina Celesia, Bice Pareto, Fanny Spinola ecc. - e le facevano da corona, prima e dopo il '48, tanti amici e collaboratori di Mazzini - Mayer, Bixio, Mario, Quadrio, Macchi, Saffi, Cironi ecc. - che nutrivano per lei una devozione filiale e si recavano alla sua casa come in pellegrinaggio, ricevuti tutti con cordialità persino imprudente, di cui anche le spie talora approfittavano. Quella casa di piazza dei Forni, col volgere degli anni, diventava anche meta delle amiche inglesi di Mazzini - la Fletcher, la Dillon, le sorelle Ashurst - mentre altre, come Jane Carlyle, si rivolgevano alla D. con lettere piene di ammirazione e di affetto.
Con il 1848 rinacquero nella D. le speranze di rivedere il figlio. Lipotesi più concreta sembrava legata alla elezione del Parlamento subalpino, per la quale ella inutilmente si adoperava. Ma intanto l'insurrezione di Milano aprì all'esule le porte d'Italia: egli giunse nel capoluogo lombardo il 7 aprile, la madre pazientò qualche mese. Poi lo raggiunse ai primi di luglio e coronò un antico sogno, restandogli a fianco per una decina di giorni. Poi la disfatta militare ricacciò il figlio in Svizzera, a dicembre le morì il marito, e la vecchia donna restò più sola che mai. L'antico tormento ricominciò: il figlio al principio del '49 andò a Livorno (la D. temette che egli volesse sostare a Genova per abbracciarla, e glielo proibì), poi a Roma. Ella si infiammò per la Repubblica Romana, si indignò con Gioberti per le sue invettive antimazziniane, e intanto continuò a far da banchiere al figlio: con maggiore liberalità, ora che non doveva render conto al marito, ma sempre con grande oculatezza.
La sconfitta della rivoluzione italiana riportò Mazzini sulla via dell'esilio e riempì Genova di profughi politici, per molti dei quali la "veneranda madre" e la sua casa erano costanti punti di riferimento. La D. era instancabile nell'aiutare, nel fare propaganda, nel raccogliere fondi per i giornali o per la scuola operaia di Londra, nell'incoraggiare i compagni di fede. Nel 1852, ormai malata e molto sofferente, nascose la gravità delle proprie condizioni al figlio; questi le scrisse l'ultima lettera l'11 agosto, ma due giorni prima la madre era morta a Genova. Il 12 agosto i funerali furono l'ultimo servizio reso al figlio diletto: "L'accompagnamento del suo cadavere - scrisse Pisacane a Cattaneo - è stata una imponente dimostrazione politica, l'hanno seguito gente di tutti i colori, i regi eccettuati. Le associazioni operaie erano moltissime, infine si contavano un tre mila persone di seguito, e numero considerevole di spettatori" (C. Pisacane, Epistolario, a cura di A. Romano, Milano 1937, p. 148).
Fonti e Bibl.: La letteratura sulla D. è piuttosto ricca di titoli, in buona parte però lavori celebrativi e ripetitivi, di scarsa qualità ed utilità.
Fondamentali rimangono, anche per la loro ricchezza documentaria: A. Luzio, La madre di G. Mazzini. Carteggio inedito del 1834-39, Torino 1919 (ma ora si legga il carteggio nell'edizione integrale data da S. Gallo ed E. Melossi in Appendice agli Scritti editi ed inediti di G. Mazzini, voll. VII-VIII, Imola 1986); I. Cremona Cozzolino, M. Mazzini ed il suo ultimo carteggio, Genova 1927. E la miglior biografia, che si basa in larga misura sulle due opere precedenti, è ancora quella di L. Ravenna, M. Mazzini, Firenze 1932.
Sono inoltre utili, a vario titolo: G. B. Boero, Gli alberi genealogici delle famiglie Drago e Mazzini, Bologna 1939; E. Rota-S. Spellanzon, Maternità illustri, Milano 1948, pp. 87-119; L'emigrazione politica in Genova ed in Liguria dal 1848 al 1857, Modena 1957, pp. 500, 506-09; G. B. Boero, Le famiglie Mazzini e Drago, Genova 1970; E. Sestan, M. Mazzini, in Rass. stor. toscana, XVIII (1972), pp. 241-55; G. Marasco, M. Mazzini ritratto per la storia, Savona 1978; A. Bartarelli, Alcune notizie e documenti inediti su M. Mazzini, in Annuario del Liceo classico C. Colombo, Genova 1981, pp. 45-52; Diz. del Risorg. naz., III, pp. 552-55.