MARIA FRANCESCA delle Cinque Piaghe, santa
MARIA FRANCESCA delle Cinque Piaghe, santa. – Sotto questo nome è venerata Anna Maria Gallo, quarta figlia di Francesco e Barbara Basinsi (Basingi), che, battezzata il 28 marzo 1715, era nata a Napoli due giorni prima, il 26 marzo, anche se una successiva tradizione volle retrocedere la sua nascita al 25, facendola così coincidere con il giorno dell’Annunciazione.
Come nel più diffuso topos agiografico, due futuri santi (Giovanni Giuseppe della Croce e Francesco de Geronimo) avrebbero profetizzato alla madre in attesa la santità della figlia, sostenendo che la nascitura sarebbe stata «una grande santa» (Napoli, Arch. stor. diocesano, Proc. orig., n. 161, c. 27).
M. apparteneva a una famiglia modesta, che viveva con i proventi di una piccola manifattura tessile casalinga, dove si filava l’oro e si tessevano galloni (ibid., c. 29v; Laviosa, p. 7). L’estrazione familiare è importante per comprendere non solo gli spiacevoli episodi, che punteggiarono la sua esistenza, ma anche il tipo di devozionalità che ne caratterizzò dapprima la vita e in seguito il culto.
A 16 anni, rifiutato un matrimonio che il padre voleva imporle, chiese di seguire la vita religiosa. Ma, a causa delle sue umili origini, M. non disponeva di una dote per entrare in un convento: come da secoli facevano molte altre donne soprattutto, ma non solo, della medesima estrazione sociale, scelse allora una via intermedia, decidendo di vestire l’abito monacale pur mantenendo lo stato secolare.
Era questa la condizione delle bizzoche, alla quale si sarebbe potuto accedere solo dopo i quaranta anni, sebbene una lunga consuetudine permettesse anche a donne molto giovani di godere di questo status sociale accettato e diffuso e di gestire in tal modo la doppia appartenenza familiare e religiosa.
Fu così che M. decise di vestire l’abito di terziaria sotto la regola di S. Pietro d’Alcantara. Dopo preghiere e digiuni, l’8 sett. 1731 ricevette l’abito da Felice della Concezione (Boccadamo, pp. 365 s.). In seguito, dal 1777, fu anche aggregata alla Congregazione dei padri somaschi, stabilitisi a Napoli da oltre un secolo.
La soluzione bizzocale offriva il duplice vantaggio della libertà di una vita fuori dal chiostro e del mantenimento di una rete affettivo-comunitaria nel quartiere di appartenenza. Naturalmente, questa maggiore libertà apriva il fianco a critiche, sospetti, gelosie, che non mancarono nella lunga e travagliata esistenza di Maria Francesca. Fu anzi proprio mostrando di saper sopportare «eroicamente» malattie di ogni tipo e le «persecuzioni» che da parenti e vicini le vennero, «dall’anno 1741 sino al 1791 in cui accadde la sua morte» (Arch. segreto Vaticano, Congreg. dei riti, Processi, 1954, c. 24r), che M. riuscì a dare, a detta di tutte le testimonianze processuali, la sua più concreta e riconosciuta prova di santità, corroborata anche dalle sue capacità profetiche (ibid., c. 27v).
Le angherie che M. dovette subire partivano dall’ambiente a lei più vicino: il padre, in prima istanza, che voleva trarre guadagno dalle sue doti profetiche, e le «commari», che l’accusavano di essere «una bizoca falsa, che andava togliendo li mariti dalle loro mogli» (ibid., c. 36r). Tra i «persecutori» ci furono anche elementi del clero – sempre diffidente nei confronti di queste monache di casa, prive delle regole e della protezione di un monastero, veri «orti senza muri e vigna senza custodia» come ebbe a definirle un Editto per le bizzoche dei primissimi anni del secolo (De Spirito, p. 398) –, compresi i suoi confessori: l’alcantarino Felice della Concezione e soprattutto Ignazio Mostillo, parroco della chiesa di S. Maria Ognibene ritenuto giansenisteggiante per la sua rigidità, al quale M. fu affidata per sette anni dal cardinale Giuseppe Spinelli.
M. tentò di opporre alle maldicenze – soprattutto alle calunnie di tale Andreana Valente che la trascinerà in un giudizio durato dieci anni –, quale prova di onestà di vita, proprio le sue «sofferenze», a imitazione della Passione di Cristo (Napoli, Arch. stor. diocesano, Proc. orig., n. 161, c. 196). Anche il nome che M. assunse quando vestì l’abito da bizzoca (Maria Francesca delle Cinque Piaghe di Gesù Cristo) esprime bene l’idea di santità a cui faceva riferimento, comune all’ambiente di bizzocaggio a lei più prossimo. Non a caso il nome della sua più fedele compagna fu Maria Felice della Passione e quello di colui che maggiormente influì nel primo periodo della sua vita, proclamato beato mentre M. era ancora in vita, fu Giovanni Giuseppe della Croce. Quella di M. dunque non fu una generica devozione, né una semplice «volontà di soffrire» propria del mondo monastico e bizzocale, ma una specifica adesione al culto della Croce. Proprio queste devozioni – si pensi per esempio alla Via Crucis – da un lato avevano suscitato aspre polemiche, dall’altro venivano percepite come un segno di santità.
M., come numerose testimonianze affermano, pare subire sin da piccola il fascino di quella devozione alla Passione di Cristo, che, storicamente radicata nella religiosità meridionale e ricordata già nel Libro d’ore di Alfonso d’Aragona con una messa delle Cinque Piaghe a papa Iohanne XXII edita (Ambrasi, 1991, pp. 198 s.), era in quel tempo argomento ricorrente nella predicazione di Alfonso Maria de Liguori e in quella diffusa nei quartieri spagnoli, mirata soprattutto al recupero delle migliaia di prostitute che gli alloggiamenti dei soldati lì richiamavano. E in quell’ambiente femminile ove non erano rare improvvise conversioni e nel quale più di una cortigiana commossa da irruenti predicatori aveva vestito abiti bizzocali, l’antica devozione si andava sempre più legando all’idea della morte come unico sfondo significativo dell’esistenza.
M., tuttavia, non esaurì tutta la propria religiosità nella devozione ai simboli della morte di Cristo: accanto a questa immagine cupa e funerea di perfezione ella coltivò anche altre devozioni volte soprattutto a venerare, con un popolaresco istinto materno, il culto della Natività. E miracoli, come quello relativo a una statuina del Bambino Gesù improvvisamente animatasi per farsi vestire da lei, erano narrati da tutti i suoi conoscenti (De Spirito, p. 418; Laviosa, p. 74). Non si può, infatti, comprendere l’esistenza di M. senza inquadrarla entro i parametri di una teologia e di una pratica cristiana oscillante tra un rigorismo assai aspro, al quale si ispiravano alcuni suoi confessori, percepito in larghi strati della popolazione come l’unico volto del cristianesimo, e un più aperto ottimismo, legato, in parte, al francescanesimo dell’ambiente di S. Lucia al Monte, ma anche di chiara ispirazione liguorista, di cui si scoprono a tratti le tracce nelle testimonianze della sua vita. Tra malversazioni dei confessori che l’obbligavano a bere la cioccolata in tempo di digiuno, le vietavano la comunione frequente, la scacciavano dal confessionale insultandola a voce alta, e la francescana leggerezza che la donna mostrava assecondando un’ansia di miracolo, ricercato nelle pieghe della più minuta quotidianità, si delinea una santità femminile non priva di un’ironia tutta napoletana, che spiega bene la devozione e il culto di lunga durata, suscitati da M. nei più diversi strati del popolo partenopeo. E così si comprendono, per esempio, le testimonianze che parlano di quando aveva commentato come «sarebbe buono far crescere li capelli» sulla testa di un reverendo calvo «perché frequentando le monache non scomparisse», cosa, questa, come aggiunge la testimonianza, «che la medesima diceva sorridendo» (Napoli, Arch. stor. diocesano, Proc. orig., n. 166, vol. II, c. 46v); di quando irrideva al diavolo che le appariva ricciuto chiamandolo perucchella (De Spirito, p. 414); o, ancora, di come, con espansiva semplicità, riferisse delle apparizioni di Cristo, come delle visite di «Don Salvatore» (Ambrasi, pp. 203 s.).
Accanto ai detrattori M. ebbe tanti che già in vita l’amarono e la venerarono come santa: intorno a lei si raccolse un gruppo di fedeli devoti che comprendeva laici e religiosi, gente semplice e stimati intellettuali. Sono gli stessi che si ritrovano nei vari processi di canonizzazione: Gaetano Laviosa, somasco, fratello di Bernardo, il primo biografo di M.; gli alcantarini, che avevano trovato in lei la più zelante divulgatrice della devozione spagnola alla Divina Pastora; i verginiani, dei quali faceva parte anche Angelo M. Vassallo, vescovo di Massalubrense; il sacerdote Giovanni Pessiri, presso la cui casa M. abitò per oltre trent’anni; famiglie come i D’Amelio, napoletani, i Carega, genovesi (Tentorio, p. 227) e soprattutto gli Aletto, che ospitarono per qualche tempo M. e furono testimoni di quella vera passione del confessionale propria di tutte le bizzoche, ma che in lei assumeva dimensioni di amplificata santità: «andava a confessarsi con tanto raccoglimento e compunzione che parea come se avesse a confessare tutti i peccati del mondo» (Napoli, Arch. stor. diocesano, Proc. orig., n. 161, c. 598r, testimonianza di Francesca Pinto, moglie di Domenico Aletto); oltre a Francesco Saverio M. Bianchi, barnabita, che ne fu il più zelante estimatore.
M. morì a Napoli, negli stessi quartieri spagnoli dove era nata, il 6 ott. 1791. Fu sepolta nella chiesa di S. Lucia al Monte; dal 2001 il suo corpo è stato definitivamente traslato alla chiesa-santuario del vico Tre Re a Toledo.
Già pochi mesi dopo la sua morte fu avviato il primo processo di canonizzazione. Il 22 marzo 1792 i consultori e capitani della piazza del Popolo, con l’eletto Gaetano Verusio, nominarono Giovanni De Leone, sagrestano di suor Orsola Benincasa, postulatore e procuratore della causa. Poco dopo, tuttavia, Giacomo Pollio, eletto sostituto di De Leone, si adoperò per spostare il processo a Massalubrense dove era vescovo Angelo M. Vassallo, al quale la stessa M. aveva predetto l’episcopato. Il processo fu aperto, perciò, ufficialmente in quella città il 7 maggio 1794, ma ritornò presto a Napoli, dove fu inaugurato il 13 giugno di quell’anno. Il 18 maggio 1803, dopo un’interruzione dovuta alle vicende politiche del 1799, il papa concesse, con l’introduzione del processo apostolico, il titolo di venerabile. La diversificazione sociale e culturale dei testimoni (da lettori dell’Università a semplici bizzoche, da religiosi a patrizi romani e napoletani) testimonia la fama raggiunta da M. già in questa prima fase, come documentano anche le varie lettere postulatorie. Scrissero lettere postulatorie, tra gli altri, Carlo Emanuele IV di Savoia, che l’aveva conosciuta a Napoli e il 6 giugno 1801 scriveva di essersene fatto in Roma «l’agente della causa» (Tentorio, p. 227); Francesco, principe ereditario dei Borbone; Francesco Saverio M. Bianchi, barnabita nonché lettore di filosofia, a nome di quella cosiddetta congregazione dei suoi primi fautori; gli abati di Montevergine e Montecassino; Gaetano Laviosa (Ambrasi, pp. 270 s.). Dopo ulteriori interruzioni – causate soprattutto dai turbamenti politici che interessarono il Regno – con la restaurazione borbonica, ebbe inizio, il 22 maggio 1816, la seconda fase del processo; procuratore fu Luigi Cafiero, postulatore specialiter constitutus fu invece Gregorio Speroni, crocifero e cappellano pontificio. Tra i due si svolse un interessante carteggio, di cui resta la testimonianza di 46 lettere (Ambrasi, pp. 272-281). L’11 febbr. 1832 papa Gregorio XVI ordinava la pubblicazione del decreto di riconoscimento dell’esercizio in grado eroico delle virtù di M. e il 15 ott. del 1843 ella fu proclamata beata. Oltre venti anni dopo, sotto il pontificato di Pio IX, il 29 giugno 1867, centenario del martirio di s. Pietro, fu celebrata la solenne proclamazione di santità; con lei furono elevati alla gloria degli altari anche due altri devoti alla venerazione della Croce: il francescano Leonardo di Porto Maurizio e Paolo della Croce, fondatore della Congregazione dei passionisti.
Nell’iconografia a lei dedicata molte sono le tracce della devozione alla Passione di Maria Francesca. Queste immagini, come informano numerose testimonianze processuali, erano richieste perché ritenute miracolose. Altre testimonianze, come quella di Domenico Valletta, commerciante, che asseriva di averne fatte stampare circa 60.000, forniscono una misura della rapida diffusione del culto (Palumbo, p. 467). Ma laddove l’iconografia riesce veramente a far comprendere, meglio di qualsiasi altra testimonianza, che cosa M. rappresentò per i Napoletani, in particolare per gli abitanti dei quartieri spagnoli, è senza dubbio nella piccola serie di ex voto figurativi rimasti a ornare le pareti della sua casa nel vico Tre Re a Toledo, dove visse per trentotto anni, fino alla morte. Ancora oggi la sua casa, diventata un piccolo convento dove poche terziarie francescane regolari (le figlie di suor Maria Francesca) conservano molti degli oggetti di M., è meta di un continuo pellegrinaggio, soprattutto di donne, che raggiunge l’acme il 6 ottobre, giorno della sua ricorrenza. Tra i tanti oggetti conservati nella sua abitazione, un tipico lavoro bizzocale: un bellissimo paliotto d’altare ricamato da M. con quel filo d’oro che aveva imparato a usare già nella sua infanzia nella piccola manifattura casalinga.
Fonti e Bibl.: Napoli, Arch. stor. diocesano, Processi di beatificazione, XXXV.4. 8-14; XXXV.5 1/15 bis. Il fondo, in riordinamento, ha ricevuto, per la prima parte, la nuova denominazione Fondo cause dei santi, M.F., Processus originalis informationis in civitate Massalubrensis inceptus et Neapoli completus super fama sanctitatis…, nn. 161-173; Ibid., Parrocchia dei Ss. Francesco e Matteo, Arch. storico, Libro V dei battezzati, anno 1715, c. 15v; Libro V dei defunti, anno 1791, c. 129r.; Arch. segr. Vaticano, Congregazione dei Riti, Processus, anni 1954-59: Neapolitan. M. Francisca a Vulneribus (Gallo); Sacra Rituum Congregatione… Neapolitana beatificationis et canonizationis servae Dei sor. M.F. a Vulneribus D.N.I.C. Summarium super introductione causae, Romae 1803; Acta Gregorii papae XVI…, III, Romae 1902, pp. 294-296; B. Laviosa, Vita della venerabile serva di Dio suor M.F.…, Pisa 1805 (poi Roma 1866 e Napoli 1867); Della vita e opere sante della serva di Dio suor M.F.… ricavato dal Sommario de’ processi… per opera di uno degli esaminatori apostolici del clero di Roma, Roma 1809 (poi Napoli 1816, 1832, 1844); N. Palmieri, Vita della beata M.F.…, Roma 1843; G. Coppola, Cenni storici sulla vita e miracoli della nostra venerabile suor M.F.…, Chieti 1843; G. Pirozzi, Elogio sacro per la solennità della beatificazione della ven. suor M.F., Napoli 1845; L. Montella, Vita della b. M.F.…, Napoli 1866; A. Ferrante, Vita compendiata della s. vergine napoletana M.F., Napoli 1881; C.M. Consalvo, S. M.F.… specchio delle giovanette cristiane, Napoli 1890; F. Neri, Vita di s. M.F.…, Napoli 1895; F. Giannuzzi, S. M.F.…, Milano 1941; M.P. Adami, S. M.F., Bari 1958; G. Tomaselli, La santa delle famiglie, Messina 1981; A. Del Duca, Sprazzi di luce di una gloria napoletana, Napoli 1982; La santa dei quartieri. Aspetti della vita religiosa a Napoli nel Settecento. Studi in occasione del II centenario della morte di s. M.F.… 1791-1991, in Campania sacra, n.s., XXII (1991), 2 (in partic. i saggi di D. Ambrasi, M.F.… una santa della Restaurazione, pp. 159-284; G. Boccadamo, Le bizzoche a Napoli tra ’600 e ’700, pp. 351-394; A. De Spirito, M.F. Gallo e il gran numero di bizzoche, pp. 395-440; G. Sodano, Santi, beati e venerabili ai tempi di M.F.…, pp. 441-460; G. Palumbo, Lo spazio urbano della devozione. Malattia e grazia negli ex voto per M.F.…, pp. 461-488); J.L. Baudot - L. Chaussin, Vies des saints et des bienheureux, X, Paris 1952, pp. 177-182; Bibliotheca sanctorum, VIII, coll. 1065-1067; Il grande libro dei santi, II, pp. 1353 s.