CUCCOVILLA (Cuccuvilla), Maria
Nacque a Roma nel 1735 da Nicola, avvocato barese, morto nel 1745 (V. Forcella, Iscrizioni delle chiese... di Roma, VII, Roma 1876, p. 335). Sposò Giovanni Pizzelli, di origine napoletana, nipote del vescovo Bernardo Atonio Pizzelli, che lo aveva chiamato a Roma e fu nota quasi soltanto con il cognome da maritata, talvolta modificato in Pezzella o addirittura in Apizella. Educata presso un educandato, fu in seguito, anche dopo il matrimonio, che ella poté allargare le sue cognizioni fino ad imparare lingue moderne quali il francese, l'inglese e lo spagnolo e lingue antiche, come il latino che apprese da Benedetto e Cristoforo Stay e da F. Van Stryp e il greco, insegnatole da Raimondo Cunich che fino alla morte le fu legato da "la più stretta e la più innocente amicizia"; non si fermò neanche davanti alle scienze esatte. in cui ebbe per maestro il commentatore di Newton, François Jaquier; il canto e la musica (suonava il cembalo) e le teorie su quest'arte apprese dal prelato Reggio e da Antonio Maria Salvini.
Abitava a palazzo Bolognetti, ora non più esistente, in via dei Fornari e qui usava riunire dotti, letterati ed artisti, sia della colonia romana sia di passaggio nella città. La vita della C., che non pubblicò mai alcunché né in versi - era, pare, abile verseggiatrice -, né in prosa, si risolve praticamente nell'elenco dei frequentatori del suo salotto.
Primo fra tutti il Cunich, che la cantò con il nome di Lyda in numerosi epigrammi (Epigrammata, a cura di R. Radeglia, 1927, pp. 291-340); in essi sono trattati ed esaltati atteggiamentì e meriti della C., ma anche episodi della sua vita e membri della sua famiglia. La C. ebbe due figli, Pierluigi che fu un oscuro musicista e Violante che mori a diciannove anni, dando occasione a I. Pindemonte di comporre un'epistola in versi Alla signora M. Pizzelli in morte d'una sua figlia (in Versi di Polidete Melpomenio, Bassano 1784, pp. 118-25).
Un altro amico della C., il quale ne scrisse un elogio funebre, Lettera ad un suo amico sulla morte della celebre M. Pizzelli, nel Giornale pisano (VIII [1808], pp. 68-75), che circolò anche in estratto, fu G. G. De Rossi, che lesse la sua prima commedia in casa della Cuccovilia. Vera accademia, questa si contrapponeva come salotto borghese, non nobile, ad altri di gentildonne romane contemporanee. In esso doveva regnare una certa austerità considerata la situazione finanziaria non brillante della C., la cui famiglia incorse, più volte, in "economiche disavventure". In casa della C., dove convennero i fratelli Verri, Ennio Quirino Visconti, i gesuiti Ruggero Boscovich, Juan Andrés e il Raqueno, Vittorio Alfieri lesse, nel 1781, la sua Virginia, ad ascoltar la quale fu anche Vincenzo Monti che ne riportò una profonda impressione. Fra le rappresentanti femminili che frequentarono il salotto ricorderemo Angelica Kauffmann, Marianna edErsilia Dionigi, la quale ultima fu anche allieva della Cuccovilla. Fra i viaggiatori che vi capitarono, un nome celeberrimo: quello di W. Goethe.
Ospite straniero fu anche Louis Dutens, che nei suoi Mémoires d'un voyageur qui se repose (Paris 1807), sostiene che la C. possedeva tutte le più belle e amabili qualità che si possano desiderare in una donna: spirito coltivato, buon senso, gusto, dolcezza, modestia, bontà di cuore. In essa egli amava soprattutto una dolcezza a tutta prova, una sensibilità estrema per tutto ciò che concerneva i suoi amici, un'avidità della loro gloria. Un altro viaggiatore però, G. Gorani, nei suoi Mémoires secrets et critiques... (Paris 1793)., ridimensiona la C. e il suo salotto affermando che ella riuniva presso di sé i savans di Roma, ai quali, però, meglio si addiceva la qualifica di pédans; non le riconosceva inoltre il buon senso di "sentir que l'ignorance est mille fois plus supportable qu'une érudition sans goût et sans tact". Aggiungeva poi la descrizione di una seduta quanto mai pedante in cui la C. appare assisa in fondo a un vasto salone, come a presiedere una cerimonia religiosa. Eppure il salotto della C. assolveva a un suo compito culturale, riunendo i dotti, i letterati, gli artisti presenti nella città e fungendo da catalizzatore fra le varie correnti di pensiero, fra letterati di genere e magari di generazioni differenti, fra studiosi di vari paesi. Anche J. Andrés, che considerava la C. "dama muy culta y de muy buen trato", dava dei salotti romani un giudizio positivo, sostenendo che "si no sirven mucho para los progressos de la ciencias son ciertamente utiles para conservar la cultura en la ciudad" (Cartasfamiliares..., II, Madrid 1791, pp. 71, 86). Non mancò di recarsi nel salotto della C., dove capitavano il giurista Filippo Maria Renazzi, il verseggiatore lacopo Ferretti, l'improvvisatore Filippo Pistrucci, una donna il cui merito era quello di tenere un celebre salotto a Verona, Silvia Curtoni Verza, introdotta da un altro frequentatore, Baldassarre Odescalchi, duca di Ceri.
La C., di cui furono magnificate le doti umane ed esaltate quelle di cultura e di dottrina, la cui memoria ci viene consegnata come estranea ad ogni avvenimento politico - e durante la sua vita ve ne furono di molto importanti per Roma - come fosse vissuta isolata e protetta in una bolla di cultura libresca e di mondanità, morì a Roma il 26 sett. 1807.
In suo nome fu recitata in Arcadia, il 28 novembre, un'accademia, che il duca di Ceri, in una lettera alla Curtoni del giorno precedente, giudicava sarebbe riuscita "eccessivamente lunga, noiosa e non onorevole quanto dovrebbe essere per la defunta". I componimenti poetici, recitati in quell'occasione, furono pubblicati nel 1809 a Roma con il titolo di Accademia poetica in sette lingue per la morte di M. Pizzelli nata C. fra i poeti Lida insigne letterata romana: dopo un "avvertimento ai leggitori", si legge un elogio della defunta di Cesare Stasi e sono quindi presentati sonetti, versi sciolti, versi in terza rima in italiano di numerosi autori, epigrammi ed elegie latine, versi alessandrini in francese, versi in inglese, un sonetto spagnuolo, un'ottava ebraica e un distico greco.
Un'ode "In morte di M. Pizzelli letterata romana" è compresa fra le Poche rime di L. Santucci, edite a Roma nel 1835 (p. 202).
Bibl.: L. Rava, Un salotto romano del Settecento, Roma 1926 (con ulteriore bibliografia).