CROSTAROSA, Maria Celeste
Nata il 31 ott. 1696 a Napoli, nell'ambiente della borghesia giudiziaria, che s'impose nella società meridionale fra la fine dei XVII e gli inizi del XVIII sec., fu battezzata con il nome di Giulia.
Il padre, Giuseppe, era dottore di leggi e avvocato. Dal suo matrimonio con Battista Caldari, aveva avuto dodici figli, dei quali due morti in piccola età. Si conosce la sorte di cinque dei dieci figli che rimasero in vita. Francesco, il primogenito, succedette al padre e divenne dottore di leggi e avvocato. L'ultimo figlio vivente, Giorgio, abbracciò la carriera ecclesiastica ed entrò nella Compagnia di Gesù. Le tre figlie minori, Orsola, Giulia e Giovanna, furono avviate al monastero, vivaio di vocazioni religiose, ma anche baluardo contro la dispersione dei patrimoni. La scelta di Giulia fu dunque il risultato di un condizionamento familiare.
Le mistiche hanno spesso redatto, per suggerimento del direttore di coscienza, un'autobiografia per descrivere e trasmettere il frutto della loro esperienza. La C. non sfuggì a questa regola, ma la biografia che redasse alla fine della sua vita, sicuramente verso il 1750, è tanto più preziosa in quanto rappresenta il solo esempio che ci sia pervenuto nell'Italia meridionale per l'epoca moderna. Questo documento pone in evidenza, nell'esperienza della santità, lo stretto legame tra il modello agiografico e la vocazione personale, tra la cultura e la personalità.
La formazione intellettuale della C. rispecchia fedelmente i limiti dell'istruzione che la società del tempo consentiva ad una ragazza del suo ceto: aveva infatti appreso a leggere, ma dovette imparare a scrivere per proprio conto, da autodidatta, a quindici anni, per poter comunicare con il suo primo direttore di coscienza. La sua formazione religiosa mise la giovane invece in contatto con il movimento di rinnovamento spirituale attestato per il cattolicesimo napoletano a cavallo dei secc. XVII e XVIII e che culminò in particolare nella controversia quietista. Negli anni dal 1718 al 1723 la C. risiedette nel monastero di S. Maria dei sette dolori di Marigliano, la cui regola carmelitana s'ispirava all'insegnamento di Serafina di Capri, poi, dal 1724 al 1733, nel monastero della Visitazione di Scala, dove assunse il nome di religione di Maria Celeste. Dal 1722 al 1733 il suo direttore spirituale fu il pio operaio Tommaso Falcoia, nel 1730 conobbe Alfonso Maria de Liguori e la sua influenza fu decisiva.
L'autobiografia appare chiaramente ispirata ai modelli agiografici che la C. ebbe modo di conoscere nella giovinezza ed è quindi scritta come una vita di santa. La vocazione religiosa vi è descritta come il risultato del conflitto tra una pia educazione e le tentazioni del mondo. Sotto l'aspetto psicologico, essa riflette la "crisi d'identità" dell'adolescente, risolta poi parzialmente dalla scelta di una vita mistica, scelta culturalmente condizionata e apprezzata dalla società napoletana del tempo. A quattordici anni una profonda depressione di due mesi, contrassegnata da periodi di prostrazione e di pianto, fu superata con un primo sistema di difese culturali: ricevendo la comunione ebbe la sua prima visione, che interpretò come una chiamata. Chiamata alla vita santa e al matrimonio mistico, il Cristo diventa il suo solo maestro e la comunione le procura "un riposo amoroso tutto amabile". A quindici anni incontrò il suo primo direttore di coscienza, giudicato giovane ed inesperto. Egli le,predisse la futura santità, e la C. gli restò legata per due anni, sebbene descriva la loro relazione nei termini di un conflitto transferenziale non risolto: le era piuttosto "d'impedimento che di aiuto", perché non si era "spogliato di alcune imperfettioni che soghano avere coloro che principiano a guidare le anime senza molta esperienza". Questo attaccamento si opponeva a quello che ella provava per il Cristo, che le appariva nelle sue visioni come uno sposo esigente: le ricordava che era la sua sposa, che la voleva senza macchia ("pura e netta"), che era geloso e non voleva dividerla con nessun altro ("ti o eletto per me solo"). A diciannove anni una confessione occasionale con questo direttore di coscienza dal quale si era separata scatenò la seconda crisi che ebbe un carattere sessuale nettamente pronunciato. Si aprì per la C. un periodo di "ribellione nella parte senzibile" e si manifestarono "tante brutte e laide rappresentazioni con tanti mali movimenti nella parte mia bassa e senzibile". Questo "conflitto terribile" la lasciò psicologicamente esaurita, in uno stato di depressione malinconica. Per arginare questo flusso ansiogeno, eresse nuove difese culturali: il sabato santo del 1718 ritrovò l'equilibrio psichico grazie ad una visione del Cristo nell'ostia, e, poco tempo dopo, l'equilibrio del corpo, entrando in religione nel conservatorio di Marigliano.
La rivendicazione della santità esigeva una lotta continua per ottenere il riconoscimento e la legittimazione del gruppo. Il comportamento santo è un comportamento limite, soprattutto quando si tratta di una mistica. Le estasi e le visioni, che disorganizzavano la vita comunitaria, apparirono incoerenti e provocatorie ai membri del gruppo e suscitarono l'ostilità delle monache, l'incomprensione del direttore di coscienza e persino, nel 1737, un'inchiesta del S. Uffizio.
L'ostilità dell'ambiente rafforzò, per converso, la convinzione del martirio. Ma per essere accettata, la,santità doveva battere vie riconosciute. Il paradosso dei comportamento santo è che, nel suo anticonformismo, si attiene al massimo conformismo. Per questo nell'esperienza mistica della C. si rintracciano dei modelli. Il riferimento a Caterina da Siena è frequente: la santa l'assiste nella lotta contro il demonio. Ma il misticismo della C. si nutre soprattutto del modello spagnolo di Teresa d'Avila, reinterpretato dalla napoletana Serafina di Capri, e in nunor misura dei modello francese della Visitazione. In virtù di questa influenza, la sua esperienza fu essenzialmente spirituale ed esente dalle tendenze autodistruttive della mistica senese: nessuna macerazione, nessun compiacimento per le piaghe e la sporcizia. I termini "sblendore", "lume", "ardore" ritornano costantemente nella sua penna per descrivere estasi e visioni che le procurano una "felice beatitudine" e una grande "soavità". Il suo misticismo pone tuttavia l'accento sulle piaghe del Cristo - devozione che ebbe un certo successo a Napoli nel sec. XVIII - e questo tema trovò la sua migliore espressione nella visione dell'aprile 1725, nella quale il Cristo trasferì, in un accoppiamento fantasmatico, le sue piaghe sul corpo della sposa. Sarebbe facile identificare altri luoghi comuni dell'agiografia mistica. L'esperienza mistica è ineffabile: il corpo del Cristo è così bello e risplendente "che lingua umana mai potrebbe dichiarare". Le apparizioni demoniache attingono al repertorio delle rappresentazioni medioevali: il demonio si manifesta con dei rumori, o sotto la forma di una bestia orribile munita di una lunga lingua, o di un grosso cane nero ululante. Si può infine riconoscere la tensione che suscitava nella C. la rivendicazione dello statuto della santità in un lapsuscalami presente nella sua autobiografia: parlando dei suoi continui disturbi della salute ("sanità"), si lasciò sfuggire che sin dall'infanzia aveva avuto una "santità" delicata ("fui di poca santità").
Questo periodo della sua vita può essere definito di "latenza creatrice". La C. si contentò di rivendicare una santità che trovò una concreta espressione solo nella creazione di un ntiovo istituto. Ancora una volta non fece che conformarsi all'immagine che la società si faceva della monaca santa. L'istituto del quale stese le regole e che tentò di realizzare negli anni dal 1725 al 1738 le offrì la possibilità di'trovare uno sbocco culturalmente accettabile alle tendenze profonde della sua personalità che si erano manifestate nel periodo precedente. A differenza della follia - idiosicrasica - e dell'illusione diabolica - culturalmente controllata con gli esorcismi - la santità, anche nella sua marginalità, era il solo dei tre statuti psicologici limite che la società cristiana dell'ancien régime apprezzasse culturalmente.
Nella primavera del 1725 lo stato mentale nel quale la C. si trovava era caratterizzato da tendenze paranoidi che si esprimevano nella convinzione di realizzare una missione, l'"opera", come dichiarava non senza una certa enfasi. Prestava del resto un orecchio compiacente alle proposte della maestra delle novizie del monastero di Scala, alla quale confidava i suoi dubbi e vedeva in lei la sola persona capace di interpretare correttamente le regole. A quasi venti anni di distanza, suor Maria Angela de Vito riprodusse il ruolo di "annunciatore" che aveva avuto il primo direttore di coscienza. Aggiungiamo a questi tratti il sentimento di incomprensione e di vera persecuzione che incontrò nel suo ambiente e che analizzò come "tribolazioni", volute dal Cristo, in quanto facevano parte della sua missione. Ma la redazione delle regole nel maggio-giugno del 1725 rivela anche, tendenze dissociative nel campo della sua coscienza e nella rappresentazione del suo corpo. Le regole le vengono rivelate con una apparizione del Cristo nell'ostia che le indica il colore e la forma dell'abito dei membri della futura congregazione. Poi, per quaranta giorni, un'ora dopo la comunione, la C. vive l'esperienza della redazione delle regole come un ritorno al seno materno: si sentiva "come un bambino che non è uscito dal seno di sua madre il quale non a potere per operare cosa alcuna, ma solo sua madre è quella che fa il tutto". Si svolge allora uno strano dialogo onirico nella stessa persona sdoppiata, tra il Cristo che parla attraverso la sua monaca e la monaca che interpreta le intenzioni del Cristo.
Le costituzioni della nuova Congregazione del SS. Salvatore riflettono le condizioni di spirito che presiedettero alla loro redazione. La vita della monaca vi è concepita come una imitazione della vita del Cristo. Ogni momento della vita quotidiana, determinato secondo le nove virtù che stavano al fondaTento della spiritualità della C., vi è enunciato come la metafora di un episodio della vita dei Cristo. I momenti salienti sono il giovedì e il venerdì, in ricordo della Passione; la rinuncia al proprio corpo, per annichilirlo e dissolverlo nel corpo del Cristo, resta l'ideale della vita mistica, che predilige la pratica eremitica, sempre possibile in seno alla comunità.
Anche se un collegio di teologi confermò l'ortodossia del suo pensiero, la C. dovette attendere il 1731 per vedere realizzato il suo nuovo istituto. L'opposizione, tra gli altri, dei pii operai napoletani - che avevano la direzione spirituale del monastero di Scala - contribuì a ritardare la fondazione. Fu necessaria la visita nel 1730 di Alfonso Maria de Liguori, in missione nella penisola di Sorrento, perché il monastero della Visitazione di Scala divenisse il luogo della prima esperienza di vita secondo le regole del SS. Salvatore. Nel 1731 la C. ebbe la rivelazione della congregazione maschile che fu all'origine della Congregazione del SS. Redentore. Ma le tensioni tra la monaca e il direttore spirituale del monastero, Tommaso Falcoia, aumentarono e spinsero la C. ai margini della comunità, finché non ruppe con il suo confessore e fu espulsa da Scala nel 1733.
Trovò rifugio nel conservatorio della SS. Annunziata di Pareti, un casale di Nocera dei Pagani, dove risiedette dal 1733 al 1735. In questa data fondò con le sue consorelle una comunità a Roccapimonte, posta sotto la protezione del feudatario locale. Nel 1738 un gruppo di borghesi di Foggia, rappresentato dall'avvocato Francesco Antonio Ricciardi, un notabile della città, e da Giuseppe Tortora, canonico della collegiata, l'invitò a fondare un conservatorio destinato all'educazione delle ragazze "civili" e retto secondo le regole del SS. Salvatore.
Morì a Foggia il 14 sett. 1755, dopo avere redatto la maggior parte degli scritti che di lei possediamo. La causa per la sua beatificazione fu introdotta nel 1901.
Fonti e Bibl.: Il processo per la beatificazione della C. Super fama sanctitatis vitae, virtutum et miraculorum, approntato a Foggia nel 1889, un secolo e mezzo dopo la sua morte, non offre alcuna notizia sul personaggio. La sua Autobiografia, piccole opere spirituali (Esercizi spirituali, Meditazioni, Trattenimenti, ecc.), delle Canzoncine, le regole dell'Istituto del SS. Redentore e alcune lettere si conservano a Roma nella Postulazione della Congregazione generale del SS. Redentore, negli archivi della stessa congregazione, in quelli diocesani di Amalfi e di Foggia, nell'abbazia benedettina di Cava dei Tirreni e nel monastero del Redentore di Scala. Il testo dell'autobiografia è stato pubblicato da B. D'Orazio, La Ven.le Madre Sr. M. C. C. Autobiografia, Casamari 1965. Le regole della istituzione da lei fondata sono state pubblicate da O. Gregorio e A. Sampers, Regole e costituzioni primitive delle monache redentoriste. 1725-1739, Roma 1968. È utile fare capo alla corrispondenza di T. Falcoia, Lettere a s. Alfonso De Liguori, Ripa, Sportello, C., a cura di O. Gregorio, Roma 1963, e a quelle di Alfonso de Liguori, Lettere, I, Roma 1887. Dei numerosi studi sulla C. segnaliamo quelli di J. Favre, La vénérable M. C. C., une grande mystique au XVIIIe siècle, Paris 1931, e di R. Telleria, Ven. M. C. C., Superioressa Conservatorii in "Casali Pareti", in Analecta Congregationis SS. Redemptoris, XXXI (1959), pp. 266-274; Super Fratribus et Sororibus Ven. M. C. C. notitiae ex libris paroecialibus decerprae, ibid., XXXIV (1962), pp. 58-61; Commentariolum in notitias de familia C. nuper editas, ibid., pp. 222-225; Ven. Sororis M. C. C. experientia prima religiosa apud conservatorium SS. Iosephu et Teresiae in oppido Mariliani (Marigliano), 1718-1723, in Spicilegium Historicum Congregationis SS.mi Redemptoris, XII (1964), pp. 79-128. Ma l'opera più recente, la più completa e meglio documentata resta quella di S. Majorano, L'imitazione per la memoria del Salvatore. Il messaggio spirituale di Suor M. C. C. (1696-1755), Roma 1978, che presenta anche una bibliografia esauriente.