NUTRIZIO, Maria Carmen
NUTRIZIO, Maria Carmen (Mila Schön). − Nacque a Traù (Dalmazia) il 28 settembre 1916. Figlia di Luigi (Gigi), farmacista, e di Bianca Zacevich, ebbe tre fratelli, Stefano detto Nino, giornalista, fondatore del quotidiano La Notte, Camillo e Mario.
Esule fin da bambina, passò prima dalla Dalmazia a Trieste, dove frequentò le scuole, poi a Genova e infine a Milano, la città che considerò come veramente sua. Qui conobbe il futuro marito Aurelio Schön (n. 1909), che gestiva l’azienda di famiglia di metalli preziosi. Lo sposò durante la seconda guerra mondiale e nel 1946 diede alla luce il suo unico figlio, Giorgio.
Con Aurelio frequentava l’alta società italiana, facendo molta vita mondana. Come molte altre donne della sua classe sociale, praticò gli atelier parigini di Dior, Chanel e Balenciaga nell’‘età dell’oro’ dell’Alta moda, finché a metà degli anni Cinquanta l’attività del marito fallì. Poco dopo i coniugi si separarono e Mila decise di mettersi a lavorare. A scuola del figlio conobbe la mamma di due sue amiche, Dogle Faré, la cui famiglia era proprietaria di una delle prime modellerie milanesi, e le confidò di voler diventare creatrice di moda, pur non avendo nessuna esperienza, neanche di cucito. La signora Faré le presentò una brava sarta, Enrica Colombo, che sarebbe poi rimasta con lei per 36 anni. Così iniziò la sua avventura, con una sfilata di un certo numero di capi nel salotto di casa, di fronte a un gruppo di amiche. Il disegnatore di gioielli Loris Abate si offrì di aiutarla ad aprire una vera sartoria, suggerendo una sede adatta, nel centro di Milano. Mila affittò sulla parola un appartamento in via S. Pietro all’Orto e nel 1958 vi trasferì atelier e abitazione. Imparò ogni segreto dal disegno alla confezione, seguendo tutta la lavorazione.
In quei primi anni i suoi capi mostravano ancora una forte influenza della couture francese, ma nello stesso tempo presero sempre più corpo i tratti basilari della firma Schön: una linea pulita e rigorosa, volumi contenuti, pochi elementi decorativi e grande uso del colore.
Mila si lanciò nel lavoro con grande passione e cominciò a essere conosciuta e sempre più richiesta. Tra il 1963 e il 1964 Abate chiese a Chino Bert, disegnatore di moda nonché giornalista de La Notte, di realizzare per loro alcuni modelli e Giovanni Battista Giorgini li invitò a sfilare nella sala Bianca di palazzo Pitti a Firenze. Per prepararsi ebbero a disposizione poco più di un mese (la sfilata si tenne nel gennaio 1965) ma nacque così la prima collezione: «Alla fine della sfilata tutti si sono alzati in piedi, battendo le mani entusiasti», ricordava Mila Schön (Gatti, 2009, p. 62). La sua moda, così lineare e moderna, fu una vera sorpresa, una scintilla di grande novità. Poi venne l’idea geniale di usare un tessuto doppiato che non aveva diritto o rovescio. Dopo ripetute prove per affinare il procedimento si realizzò la vera rivoluzione della griffe: il double face. Con questo tipo di tessuto furono create le prime collezioni, fatte di completi, soprabiti e alcune mises da sera, che sorpresero la platea. Qualche settimana dopo arrivò la richiesta di Neiman Marcus, noto department store americano, per una fornitura di capi.
Dopo quel primo grande successo, Mila Schön fu di nuovo a Pitti, sempre nella sala Bianca, nel luglio 1965. Alla fine della sfilata − come racconta Chino Bert (Gatti, 2009, p. 83) − l’esponente di Marcus si avvicinò e disse «Signora Mila, quest’anno l’Oscar della Moda è suo». Dopo di allora la società assunse dimensioni internazionali. Infatti, Marcus la invitò a proporre qualche mese dopo una sua collezione a Dallas, Houston e New York.
Dopo queste prime passerelle, i rapporti con la clientela di Oltreoceano divennero più stretti. Due volte all’anno, almeno, Mila Schön mostrava la sua collezione alle clienti private, rappresentanti dell’alta società americana, nell’appartamento di un albergo a New York, nel centro di Manhattan: il St. Regis. Tra le sue clienti annoverava Jacqueline Bouvier Kennedy (poi Onassis) e Imelda Marcos, mentre in Italia vestiva Mina, Milva, Sylva Koscina, Marella Agnelli, Maria Pia Fanfani e Valentina Cortese.
Decise di aprire una sede all’altezza dei suoi successi e la scelta cadde su via Montenapoleone, al numero 2. Dall’autunno del 1967, con la nascita del concetto di ‘alta moda pronta’, le cose cambiarono. Alla richiesta di predeterminare i prezzi prima della sfilata, Mila Schön rispose abbandonando la manifestazione fiorentina e all’inizio del 1968 spostò la sua presentazione a Roma. Martha Phillipps, titolare di Martha, una boutique che aveva sedi a New York e Palm Beach, la premiò con il riconoscimento per The outstanding achievement in the world of fashion («l’impresa di spicco nel mondo della moda»).
Tra il 1968 e il 1969 la maison siglò il contratto per la realizzazione delle nuove divise delle hostess Alitalia. La compagnia di bandiera voleva dare un volto nuovo, più elegante, anche agli equipaggi di una flotta che da poco si era dotata di velivoli all’avanguardia. Il contratto, rinnovato di tre anni in tre anni, consisteva nella fornitura di 600 guardaroba completi, con un tailleur in lana verde, una blusa blu e, in inverno, un mantello verde. Si trattava della prima divisa realizzata ‘su misura’. La presentazione ufficiale avvenne nel marzo 1969 a Roma con una breve sfilata di fronte allo staff dirigenziale della compagnia, alla stampa e a una serie di agenti di viaggio. Ma l’Alitalia non fu l’unica compagnia che Mila Schön vestì: nel 1972 si occupò anche di hostess, steward e piloti dell’Iranair.
Un altro evento che segnò la vita e l’opera di Mila Schön fu l’incontro, nel 1968, con il fotografo Ugo Mulas, il quale con le sue foto contribuì a creare l’immagine della griffe. Mila, infatti, amava molto l’arte: fonte d’ispirazione furono, per esempio, le opere di Gustav Klimt, i tagli di Fontana, i mobiles di Alexander Calder. Nel 1969 tornò a sfilare a Firenze, a Palazzo Pitti, dove presentò una collezione breve di ‘alta moda pronta’, ovvero capi prodotti in serie. Il 21 marzo 1970 venne insignita del premio nazionale Personalità. Nello stesso anno, ritenendo necessaria una vetrina nella capitale, aprì la boutique di via Condotti.
Intanto si faceva strada la produzione in serie. «Creai un’azienda per fare il prêt à porter . La chiamammo MS2 e la collezione Mila Schön Due», racconta Giorgio Schön (Gatti, 2009, p. 276). Una grande novità nel 1973 fu la stipula di un contratto di distribuzione con il Giappone, con il quale i primi rapporti commerciali erano nati nel 1971. La nascita del prêt à porter fu fondamentale per l’accordo siglato quell’anno con la C. Itoh & Co. Ltd e per la distribuzione con la Coronet Co. Ltd. Un anno dopo, presso il Royal Hotel di Osaka venne aperta la prima boutique monomarca in Giappone.
Nel febbraio 1979, Mila Schön entrò nel processo di crescente industrializzazione che dalla metà alla fine degli anni Settanta trasformò il panorama della moda italiana, presentando a Milano un profumo che portava il suo nome. Seguì un accordo ancora più stretto tra la Mila Schön S.p.A., la Itoh & Co. e la Coronet Co. Ltd, da cui nacque la Mila Schön Japan Co. Ltd, che avrebbe da allora in poi gestito una serie di licenze.
In quel periodo le manifestazioni a cui partecipava la griffe erano ben sei all’anno: due a Roma per l’alta moda, due a Milano per il Modit e due della linea maschile a Pitti, a Firenze. La dimensione della società era in continua crescita, il peso degli impegni molto aumentato, e il gruppo si era trasformato in una sorta di ‘sistema planetario’ che ruotava intorno alla casa madre (Mila Schön 1) in via Montenapoleone ed era costituito da Mila Schön 2, per la produzione e distribuzione del prêt à porter, MSU per la collezione Uomo e infine Mila Schön pelle e confezioni, con una società licenziataria che produceva borse, valigie e cinture. Un quarto satellite era Schontess, azienda che produceva le cravatte, i foulard e i tessuti su disegno della stilista. Aumentò anche la distribuzione: furono aperti punti vendita a Bal Harbour (Florida), insieme a Martha, a Firenze, Hong Kong, New York presso il magazzino Bergdorf & Goodman, a Singapore, in Bond Street a Londra, mentre non si riuscì a trovare una soluzione adatta a Parigi. Nel giro di pochi anni la Mila Schön negozi comprendeva quattro boutiques in Italia (Milano, Roma, Firenze e Porto Rotondo), affiliati a Zurigo e Los Angeles, e sei boutiques in Giappone.
Quel decennio rappresentò il boom della moda italiana, quando le griffes venivano poste sui prodotti più diversi: profumi, occhiali, piastrelle, biancheria, arredi: un percorso che incrociò ovviamente anche Mila Schön, che per sostenere questa espansione nel 1986 siglò un accordo con i suoi partner giapponesi, per il quale la Itoh acquisì il 40% della società. Nello stesso periodo Loris Abate uscì dalla Mila Schön S.p.A., mantenendo per sé la totale proprietà della Schontess ma continuando a collaborare con la casa madre per la realizzazione di tessuti esclusivi. I numeri erano eloquenti: 290 dipendenti, 100 in via Montenapoleone, 130 nei centri di produzione e 60 circa nella società che gestiva i negozi, otto in Italia, uno a Los Angeles e otto in Giappone, dove il marchio Mila Schön era fra i primi fra quelli importati. Alla fine degli anni Ottanta il fatturato ammontava a circa 60 miliardi di lire, mentre il numero di negozi distributori in Giappone si aggirava intorno al centinaio.
All’inizio degli anni Novanta anche Mila Schön decise di lasciare Roma. Nonostante i numerosi contatti creati in quegli anni − aveva infatti realizzato le divise per la squadra di calcio Milan A.C. nel 1989, per gli atleti partecipanti ai campionati di atletica leggera a Tokyo del 1991 e alle edizioni delle olimpiadi invernali ed estive nel 1992, e altre ancora − la situazione finanziaria divenne sempre più pesante. In questo panorama abbastanza incerto, Mila Schön continuava a proporre una donna sempre più bella, più affascinante, volutamente lussuosa, come quella che fece sfilare a Parigi per due volte, nel 1992 e nel 1993. Quella scelta fu una sorta di ‘regalo’ che Giorgio Schön volle fare alla madre: soprattutto la sfilata del 1993 rappresentò una sorta di addio di Mila alla passerelle.
Continuò a essere presidente della società − nonostante la cessione della proprietà ai partner giapponesi formalizzata nel 1992 − e a sovrintendere allo studio creativo delle collezioni, recandosi in Giappone molto spesso.
Ma per lei non era un peso. Amava molto viaggiare, non solo per lavoro: visitò molti paesi dall’America latina all’Africa, e viaggiò nel Mediterraneo con la sua barca, sempre in compagnia di amici. Aveva tante passioni, tra queste le corse in automobile, a cui l’aveva ‘iniziata’ l’amico Alberto Ascari e che condivise con il figlio. A lui era molto legata, così come ai tre nipoti, Alberto, Nicola e Lorenzo.
Morì il 5 settembre 2008 ad Alessandria.
Fonti e Bibl.: P. Gatti, M as Mila, Milano 2009.