CARAFA, Maria
Nacque nel 1468, primogenita del nobile napoletano Giovanni Antonio, conte di Montorio, e di Vittoria Camponeschi.
Il 24 dic. 1490, quando era già stata destinata dalla famiglia a unirsi in matrimonio con Camillo Pandone, figlio del conte di Venafro, la C. coll'aiuto del fratello minore Gian Pietro (il futuro papa Paolo IV) fuggì presso il convento delle suore domenicane di S. Sebastiano a Napoli; e qui, nonostante la strenua opposizione dei parenti, rimase per trentotto anni, prendendo i voti e conducendo una vita monastica esemplare. Nel 1528, a causa dell'assedio francese, dovette trasferirsi per due anni, insieme con le altre monache, nel convento di S. Maria Donnaromita e nella nuova sede, dove l'osservanza della regola religiosa era più rigorosa che in S. Sebastiano, la C. maturò il proposito di fondare un nuovo convento, più rispondente alle esigenze del suo ascetismo.
In ciò era anche confortata dall'esempio del fratello Gian Pietro, che nel frattempo, abbracciata la carriera ecclesiastica, aveva fondato, insieme con Gaetano da Thiene, l'austero Ordine dei teatini (1524), ed era divenuto vescovo. Il suo progetto poté realizzarsi subito: rilevato da una sua parente, suor Sancia Carafa, il monastero della Sapienza (vecchio palazzo in Napoli già appartenuto al cardinale Oliviero Carafa e adattato poi a convento per francescane) il 9 giugno 1530, munita di breve pontificio, vi si trasferì in qualità di priora, dopo avervi instaurato la regola domenicana.
L'iniziativa ebbe un certo successo e durante la vita della C. diciannove monache presero il velo, nonostante il rigore della regola, che, dettata dal vescovo Carafa, prevedeva la clausura e l'assoluta povertà. Tale austerità ben si confaceva alla profonda spiritualità e all'intransigente carattere della C., e venne ancor più accentuata quando nel 1533 Gaetano da Thiene assunse la direzione spirituale della Sapienza. Un certo numero di biglietti e lettere indirizzati da questo alla C. in un periodo che va approssimativamente dal 1533 al 1546 testimoniano quanto fossero assidui e significativi i contatti tra i due.
L'interesse dello storico per la figura della C. risiede tuttavia più che nella fondazione del monastero della Sapienza, nel suo rapporto di parentela col futuro papa, cui fu legata da profonda consonanza affettiva. Frutto di ciò è un fitto epistolario ricco di confidenze, sfoghi, consigli, riflessioni, che rappresenta una fonte preziosa per lo studio della complessa e contraddittoria figura di questo pontefice. Esso è costituito, per quel che si è conservato, da circa duecento lettere di Gian Pietro alla sorella e da una sola lettera scritta dalla Carafa. In lei, maggiore di otto anni, il Carafa vedeva in realtà la madre: "mi avete partorito più voi col vostro continuo studio nel governarmi e servirmi, che quella benedetta anima di nostra Madre..." (Monti, p. 188), con un processo di identificazione in cui si venivano a confondere il piano materiale e quello spirituale: "Mani sante, mani benedette, che tanto si sono affaticate a governare questa disutile creatura... E donde ho meritato io che una Serva d'Iddio e una Sposa di Cristo, mi pigliasse di culla, mi sviluppasse dalle fasce, mi vestisse, spogliasse; e con tanta carità mi governasse in tutta la mia infanzia e puerizia?..." (ibid., pp. 186 s.). Alla sorella il Carafa attribuisce il merito della sua formazione spirituale e della vocazione religiosa; in Dio il loro amore si realizza perfettamente: "Come posso io, Madre mia, scordarmi di quell'amore, che Cristo nostro Signore ha posto tra di noi dal dì che io nacqui? E come posso esser tanto ingrato a Dio, della grazia, qual per vostra mano mi ha dato, che per voi posso dir, ch'io incominciai a conoscer Dio?" (ibid., p. 187). Ma soprattutto da questa corrispondenza emerge un aspetto insospettato del carattere dei Carafa: l'energico, impetuoso e violento Gian Pietro si rivela qui debole, timoroso, stanco, assalito dalla paura di essere abbandonato da Dio, desideroso di morire. Davanti a "colei a chi più doveva et a chi più avria voluto satisfare", la sua anima si svela completamente, ed egli può confessare quanto lo preoccupi la responsabilità della carica cardinalizia, quanto risultino gravose alla sua età le incombenze ecclesiastiche, quanto aneli alla quiete e alla tranquillità. Né mancano gli accenni agli eventi di carattere politico, di cui egli fu a volte diretto protagonista (l'incontro di Lucca tra il papa e l'imperatore nel 1541; il conclave del 1550), o agli sconvolgimenti dell'epoca (i luterani che rapiscono le fanciulle dai monasteri, "la misera condizione del secolo" di cui parla il profeta Daniele). Evocati di sfuggita, essi sono tuttavia come inghiottiti e soffocati dalla cronaca minuziosa delle inquietudini del suo animo mistico.
La C. morì il 4 maggio 1552, tre anni prima che il fratello fosse eletto papa.
Fonti e Bibl.: Le lettere di s. Gaetano da Thiene, a cura di F. Andreu, Città del Vaticano 1954, pp. XI, XXII, XXXIV, 713 771, 80 ss., 84-88, 90, 92-96, 104-106, 110-122; F. M. Maggio, Vita della venerabile madre M. C., Napoli 1670; G. M. Monti, Ricerche su papa Paolo IV Carafa, Benevento 1925, ad Indicem; R. De Maio, Alfonso Carafa…, Città del Vaticano 1961, pp. 2, 144, 163.