MANCINI, Maria Anna
Nacque a Roma l'8 sett. 1649, ultima figlia di Lorenzo e Geronima Mazzarino, sorella del cardinale Giulio. Perse il padre nel 1650.
Nel 1656 fu condotta, ultima tra le sue sorelle, in Francia presso il cardinale Mazzarino. Alla corte francese, dove già si trovava la madre della M., si segnalò per la sua precoce intelligenza e per la sua vivacità, componendo versi che già si caratterizzavano per una non comune preziosità. Tra le numerose nipoti di Mazzarino fu quella che più suscitò l'affetto dello zio e, probabilmente, quella che più ereditò da lui l'amore per il potere.
Alla fine del 1656 la M. perse anche la madre e rimase affidata alle cure dello zio. Ancora molto giovane, finì per essere coinvolta nelle complesse vicende politico-sentimentali delle sorelle maggiori, e in particolare di Maria, che aveva intessuto una relazione con il giovane coetaneo Luigi XIV. Mazzarino, fortemente contrario a questa passione, relegò Maria Mancini insieme con le sue sorelle a Brouage presso La Rochelle. La M. visse con loro alcuni mesi tra l'estate del 1659 e la metà del 1660.
Come le altre nipoti di Mazzarino, anche la M. fu uno strumento dell'ambiziosa politica matrimoniale del cardinale. Si trattò per un matrimonio con Godefroy-Maurice de La Tour d'Auvergne, duca di Bouillon e nipote di Henri visconte di Turenne, che aveva garantito a Mazzarino la vittoria su Louis de Bourbon principe di Condé durante i torbidi della Fronda. Il cardinale, però, rifiutò di concludere le trattative, forse perché aspirava a un partito migliore.
Morto il cardinale, nel marzo del 1661, il matrimonio tra la M. e il duca di Bouillon fu tuttavia concluso senza particolari problemi.
I due sposi erano molto diversi tra di loro. Il duca di Bouillon era un aristocratico con una chiara vocazione militare; aveva servito nell'esercito sin dal 1658 e rimase costantemente impegnato in spedizioni militari fino alla metà degli anni Settanta. La M., invece, come le altre mazarinettes, era un personaggio inquieto, animatrice di congiure cortigiane e salottiere. Essi condividevano però uno straordinario amore per il fasto, che li indusse a impegnare somme cospicue per gli abbellimenti delle loro residenze.
I duchi finirono per risiedere spesso in luoghi diversi: il duca di Bouillon a évreux e la M. a Château-Thierry, tra Parigi e Metz. Qui la M. conobbe nel 1662 J. de La Fontaine, che vi si era ritirato dopo la disgrazia del suo protettore N. Fouquet, ed esercitava le funzioni di sovrintendente ai boschi e ai i fiumi del feudo per conto del duca di Bouillon.
La M. seppe apprezzare quel raffinato letterato, che, da parte sua, le tributò un'ammirazione a tratti sconfinante nell'amore platonico, e contribuì a rilanciarlo sulla scena politico culturale parigina. Non è tuttavia certo che, come riportato da un'antica tradizione, la M. abbia avuto un ruolo decisivo nell'indurre La Fontaine a praticare il genere favolistico. Certo è che La Fontaine le restò sempre molto legato e le dedicò il romanzo Les Amours de Psyché et de Cupidon (1699).
Nella memorialistica francese sono frequenti le allusioni, più o meno velate, ai tradimenti coniugali della M., alla quale fu attribuita anche una relazione con il cognato, il cardinale E.-Th. de La Tour d'Auvergne de Bouillon. Tra gli amanti a lei attribuiti va annoverato anche A.C. de Louvigny, le cui visite notturne all'hôtel de Bouillon finirono per suscitare scandalo: la M. fu costretta a ritirarsi per qualche tempo in convento, temendo ritorsioni da parte del suocero. Tuttavia il marito della M. "non si preoccupava degli amanti, purché avesse la sua parte", come scrisse Primi Visconti (p. 80), e il matrimonio, in qualche maniera, proseguì tanto che nacquero numerosi figli, diversi dei quali morirono in tenera età. Tra i sopravvissuti vanno ricordati almeno Louis-Charles (1665-92), Emanuel-Théodose-Jules (1672-1730), che ereditò il ducato di Bouillon, Fréderic-Jules (1672-1733), Henri-Louis (1679-1729) e Louise-Julie (1679-1750), che nel 1698 sposò F.A. de Rohan.
Per un lungo periodo, la M. rimase un personaggio di rilievo della corte francese, una vera e propria "reine de Paris", come scrisse il duca de Saint-Simon (Mémoires, V, p. 33), senza essere colpita dagli scandali provocati dalle sue sorelle Ortensia e Maria. Anzi, quando nel 1672, queste ultime, in fuga dai rispettivi mariti, giunsero in territorio francese, la M. e un'altra sorella, Olimpia duchessa di Soissons, dichiararono la loro riprovazione. In seguito, però, la M. non fece mancare alle fuggitive il suo aiuto, anche economico.
Personalità forte e volitiva, la M. ebbe gusti letterari abbastanza spiccati e si gettò nelle querelles letterarie della sua epoca. All'hôtel de Bouillon riceveva autori come Molière e La Fontaine e talora anche il vecchio P. Corneille, disputando con loro e componendo versi ella stessa. Protesse inoltre il drammaturgo Jean Galbert de Campistron, che le dedicò la sua seconda tragedia, l'Arminius (1684).
Nel mondo aristocratico della M. le diatribe letterarie avevano una forte dimensione sociale e si intersecavano facilmente con antipatie e risentimenti personali, inducendo a manovre di tutti i tipi per garantire il successo o la sconfitta dei vari autori. Tra le numerose operazioni di questo genere promosse dalla M. va ricordata almeno quella che, nel 1677, coinvolse J. Racine.
In quell'anno, la M. si impegnò per provocare il fiasco della Phèdre di Racine e il successo dell'omonima opera di J. Pradon, affittando numerosi posti nel teatro in cui si rappresentava la Phèdre di Racine, che fu accolta nel silenzio da un pubblico ostile, e in quello in cui si rappresentava l'opera di Pradon, che fu assai applaudita. La vicenda ebbe un seguito di polemiche letterarie che tuttavia non toccarono più di tanto la M., ma piuttosto suo fratello Filippo, che fu coinvolto in una tenzone letteraria particolarmente violenta.
Assai più seria per la M. fu invece un'altra vicenda, non letteraria, ma politica, che la coinvolse pochi anni più tardi e rischiò di provocarne la rovina.
Alla fine degli anni '70 l'ambiente della corte francese era attraversato da crescenti tensioni, motivate dalle rivalità tra le famiglie aristocratiche alla costante ricerca del favore di un sovrano spesso incostante. In un contesto sempre più cupo, tra il 1679 e il 1680 si sviluppò il cosiddetto "affare dei veleni", la grande inchiesta su alcuni casi di tentato avvelenamento che colpì molti personaggi vicini allo stesso Luigi XIV, tra cui la sua ex favorita marchesa Françoise-Athénais de Rochechouart de Montespan. Come la sorella Olimpia, anche la M. fu investita dallo scandalo e fu accusata da uno degli arrestati di essersi recata da Catherine Montvoisin, la fattucchiera intorno alla quale ruotava tanta buona società francese, per ottenere un veleno con il quale uccidere il marito in modo da potere sposare il proprio nipote, Louis-Joseph de Vendôme, figlio di sua sorella Laura Vittoria.
Il 29 genn. 1680 la M., scortata da una folla di amici e conoscenti, fu interrogata; poté facilmente scagionarsi dall'accusa basata su testimonianze non concordi degli accusati, e irrise alla credulità dei suoi giudici.
L'episodio ebbe molta eco nell'alta società francese e numerosi contemporanei lo riferirono nelle loro memorie o in epistolari, esagerando lo sprezzo con cui la M. aveva trattato i giudici e talora alludendo a una sua reale colpevolezza. In realtà, i verbali del processo consentono di escludere in maniera assoluta un reale coinvolgimento della M. in vicende delittuose, anche se testimoniano di un suo interesse per le pratiche magiche e ridimensionano anche le voci che si diffusero intorno alle dichiarazioni rilasciate ai giudici. La M. si limitò infatti a escludere in maniera tassativa il tentativo di avvelenamento, pur ammettendo di aver frequentato per divertimento gli astrologi.
Lo scarso rispetto della M. per il tribunale irritò Luigi XIV. Il 16 febbr. 1680 la duchessa fu perciò esiliata a Nérac, dove animò una piccola corte.
Dopo quindici mesi la M. rientrò a corte, a testa alta, ma se ne dovette presto allontanare, a causa della disgrazia in cui era caduta la sua famiglia. Proprio in quegli anni, infatti, il cognato della M., cardinale di Bouillon, era entrato in conflitto con Luigi XIV e nel 1685 fu relegato a Cluny. La disgrazia del cardinale coinvolse anche il marito della M., che tra il 1685 al 1690 fu allontanato dalla corte.
Nel luglio 1687 la M. partì per l'Inghilterra e si stabilì presso sua sorella Ortensia. In Inghilterra continuò a frequentare circoli aristocratici e letterari e mantenne assidui rapporti con Ch. de Saint-Évremond, grande protetto di Ortensia, e con l'ambasciatore francese N. de Barillon. In questo periodo, La Fontaine le indirizzò alcune lettere affettuose, che innescarono una piccola tenzone letteraria con Saint-Évremond.
Sorpresa dalla rivoluzione del 1688, fece ritorno in Francia, ma non riprese un posto di primo piano a corte, dove era ormai persona non gradita. Tra il 1690 e il 1691 fu in Italia, paese di cui aveva ormai dimenticato la lingua, per vedere suo figlio, Louis-Charles, principe di Turenne, che serviva nell'esercito francese di Catinat e che l'anno successivo sarebbe morto per le conseguenze di una ferita ricevuta in battaglia. Nel 1699 fu ancora in Inghilterra, per visitare la sorella Ortensia, che si era ammalata, ma, quando vi giunse, Ortensia era già morta.
Pur essendo mal tollerata da Luigi XIV, la M. rimase in rapporti abbastanza stretti con importanti personaggi del mondo aristocratico francese, come lo stesso fratello del sovrano, Philippe d'Orléans, che nel 1701 fu colpito da apoplessia e morì proprio mentre stava versando da bere alla Mancini. Anche in questo periodo, dunque, la M. poté usare ancora, in diverse occasioni, la sua influenza, come nel 1702, quando intervenne presso le autorità di polizia per evitare problemi alla sorella Maria, che aveva mantenuto rapporti con un avventuriero recentemente arrestato, il cappuccino Florent de Brandebourg.
Nei primi anni del Settecento, la M. era ormai una matura nobildonna, come evidenzia il ritratto che le fece il pittore Nicolas de Largillière, che aveva abbandonato i suoi intrighi galanti, mantenendo invece i suoi spiccati interessi intellettuali. A lei viene attribuita, almeno in parte, la composizione della tragedia Mustapha et Zéangir, rappresentata ed edita, senza note tipografiche, nel 1705, che nominalmente fu scritta da M. Belin, suo bibliotecario.
La M. morì a Parigi il 20 giugno 1714.
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