SARROCCHI, Margherita
– Nacque nel Napoletano, intorno al 1560, da Giovanni; non si conosce il nome della madre. Dubbie le notizie anagrafiche: oltre alla data di nascita anche il luogo di origine non è certo.
Alla morte del padre fu fatta educare a Roma, prima presso il monastero di S. Cecilia in Trastevere, da Guglielmo Sirleto, bibliotecario apostolico, poi fu fatta seguire dal letterato Rinaldo Corso e da Luca Valerio, matematico e grecista. Dal 1599, figura come moglie di Carlo Birago, gentiluomo piemontese, di cui rimase vedova nel 1613, come testimonia una lettera di Valerio a Galileo Galilei dell’agosto di quell’anno (Galilei, 1890-1909, XI, p. 560). Fu proprio il matematico che l’avvicinò a Galilei, menzionandola più volte nelle sue lettere a partire dal 1609 (ibid., X, p. 241).
Sarrocchi e Galilei probabilmente si conobbero di persona nel 1611 a Roma, dove lo scienziato soggiornò dal 29 marzo al 4 giugno per illustrare ai membri della Curia la validità delle proprie scoperte scientifiche, rese note con la pubblicazione del Sidereus Nuncius; la corrispondenza diretta tra i due ebbe inizio il 29 luglio 1611, per terminare il 9 giugno 1612. Questo manipolo di missive, cui si somma lo scambio epistolare con la cerchia galileiana, testimonia il credito di cui Sarrocchi godeva tra gli intellettuali del tempo, anche per le competenze in materia di astronomia, geometria e fisica. Guido Bettoli, infatti, sapendola «perfettamente compita di ogni scientia», le scriveva da Perugia il 4 giugno 1611 (ibid., XI, p. 120) per avere un’opinione sull’osservazione astronomica attraverso il cannocchiale esibito da Galilei durante il soggiorno romano. Dalla stessa lettera di Bettoli apprendiamo che la casa di Sarrocchi fu «ricorso, et academia d’i primi virtuosi di Roma», come confermato da Galilei che, nell’unica lettera a Sarrocchi pervenutaci, la pregava di salutare i letterati conosciuti nel suo salotto (ibid., XI, p. 265).
Sarrocchi fu tra i membri delle accademie romane degli Umoristi e degli Ordinati e dell’Accademia degli Oziosi di Napoli: non le mancarono quindi i contatti con i più vivaci intellettuali del tempo. Tuttavia riponeva soprattutto in Galilei una grande stima riguardo alla competenza e sensibilità letteraria, tanto da sottoporgli più volte la lettura del suo poema eroico con la richiesta di intervenire in modo deciso sulle scelte linguistiche, stilistiche e compositive.
La Scanderbeide, ispirata dalle gesta del condottiero Giorgio Castriota, detto Skanderbeg (1405-1468), fu pubblicata a Roma da Lepido Faci nel 1606, incompleta (undici canti sui ventiquattro di cui si sarebbe dovuta comporre) e scorretta; vide nuovamente la luce solo nel 1623, postuma, a Roma, per Andrea Fei, in ventitré canti, pressoché ultimata.
Il soggetto attingeva a una vicenda e a un personaggio che si adattavano particolarmente all’epica postridentina. Sottratto alla sua famiglia da Murad II, quando l’imperatore ottomano conquistò l’Albania nel 1415, Skanderbeg divenne musulmano e fu fatto capitano dei giannizzeri; il poema prendeva spunto dalla seconda parte della vita dell’eroe, che durante l’assedio di Belgrado, nel 1443, maturò l’idea della ribellione politica e della riconversione al cristianesimo, divenendo capo del movimento che portò all’insurrezione dell’Albania.
Le fonti storiche cui poteva ricorrere Sarrocchi, in particolare i Commentarii delle cose de’ Turchi di Paolo Giovio e Andrea Cambini (Venezia 1541), tracciavano già un ritratto di Skanderbeg che si attagliava perfettamente alle caratteristiche dell’eroe epico: la saggezza, la magnanimità, la riprensione dei vizi, l’umiltà, unite all’abilità guerresca e alla fede ardente, tratteggiavano un modello che pareva prefigurare il Goffredo tassiano.
La regolarità de La Scanderbeide non si limita alla scelta di un soggetto conforme all’ideologia postridentina, ma si esplica anche attraverso una puntigliosa fedeltà al dettato tassiano nello scioglimento formale. Sarrocchi ripropone schemi narrativi e topoi, che si riconducono facilmente alla Gerusalemme liberata; ma è proprio l’imitazione palese che permette di individuare con chiarezza lo scarto dal modello. L’incontro tra un genere letterario tradizionalmente maschile e una narratrice donna crea attrito; l’auctoritas costituita dall’io narrante va a coincidere con uno degli elementi perturbanti della narrazione epica, una delle forme dell’alterità: il femminile. La contraddizione che sorge penetra all’interno di topoi, costanti tematiche e narrative e ne disgrega la compattezza, generando soluzioni inconsuete che rivelano un disegno coerente: l’ideologia della conquista, propugnata – non senza aporie – dal modello tassiano, ne La Scanderbeide viene messa in discussione; all’individuazione e repressione dell’alterità che caratterizzano il poema di conquista, si sostituiscono la scoperta dell’identico nel diverso e la sua conseguente riabilitazione. In questo senso è paradigmatica la figura dell’eroe da cui il poema prende il nome: il perfetto capitano giannizzero è in origine cristiano, la sua è un’alterità fittizia, sotto cui si intravede la vera essenza del suo ruolo e del suo destino. A partire dall’eroe eponimo, il poema si risolve in una continua ricerca, nella differenza, di un’identità conciliabile, in un’accoglienza non conflittuale di ciò che solo apparentemente è diverso, altro, ma può diventare uguale.
Le vicende redazionali de La Scanderbeide furono piuttosto turbolente, secondo quanto testimoniano le lettere di Sarrocchi a Galilei, in cui si parla di un poema «riveduto», «posto in netto», «mutato» più volte nell’arco di un solo anno, e sottoposto insistentemente allo scienziato affinché lo «rivegga, corregga, et finalmente castichi» (Galilei, 1890-1909, XI, pp. 256, 261, 324). L’edizione del 1623, infatti, si presenta con un testo non solo ampliato, ma profondamente mutato, sia per quanto riguarda la struttura narrativa sia per lo stile. Gestazione complessa, quindi, e vissuta in un clima denso di polemiche e asprezze, in linea con le atmosfere di accademia. Se Sarrocchi tenne salotto ed ebbe dalla sua una schiera di sostenitori (tra cui Aldo Manuzio il Giovane, Torquato Tasso e Francesco Della Valle), ebbe anche detrattori, il più celebre di tutti: Giovan Battista Marino. Dopo un rapporto inizialmente felice, di cui si ha traccia nei componimenti scambiatisi reciprocamente e pubblicati nelle Rime (Venezia 1602, p. 225), la relazione si guastò probabilmente con l’abbandono da parte di Sarrocchi dell’Accademia degli Umoristi, intorno al 1608. Dopo di allora Marino non esitò a investire pubblicamente Sarrocchi con la sua verve polemica, nella lettera a Claudio Achillini, nel prologo a La Sampogna (Parigi 1620) e nel Canto IX dell’Adone (Parigi 1623), in cui la poetessa viene rappresentata come una «loquacissima pica» derisa da bianchi cigni che rappresentano i veri poeti.
Sarrocchi morì a Roma il 29 ottobre 1617 (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 7875, c. 201r). Nonostante il disprezzo di Marino, fu sepolta nella chiesa di S. Maria sopra Minerva, coronata di alloro e accompagnata da letterati e accademici.
Oltre al poema e ai componimenti citati, di lei sono pervenute fino a oggi solo poche rime, apparse nella raccolta Per donne romane di Muzio Manfredi (Bologna, A. Benacci, 1575, p. 126), nel trattato di Giulio Jasolini De rimedi naturali che sono nell’Isola di Pithecusa (Napoli, G. Cacchi, 1588, c. GGg1v), nel Mausoleo di poesie volgari e latine (Milano, P.G. Da Ponte, 1589, p. 111) e nelle Poesias diversas (Roma 1612, p. 52). Ci restano inoltre due sonetti inediti pubblicati di recente (Colombo, 1992). Inviò alcuni sonetti a Tasso (Coppola, 2002 e 2008), di cui si conservano le risposte del poeta; Manuzio il Giovane nelle Lettere volgari (Venezia 1592, p. 28), allude a una sua traduzione dal greco del poema Ero e Leandro di Museo, mentre Alessandro Tassoni (Considerazioni, Venezia 1609, pp. 407, 464) fa riferimento a un suo commento alle Rime di Francesco Petrarca.
In edizione moderna si legge Scanderbeide. The heroic deeds of George Scanderbeg, king of Epirus, a cura e con traduzione di R. Russell, Chicago 2006.
Fonti e Bibl.: Napoli, Biblioteca nazionale, XIV.A.28: B. Chioccarelli, De illustribus scriptoribus regni Neapolitani, cc. 67v-68r; G.C. Capaccio, Illustrium mulierum et illustrium litteris virorum elogia, Neapoli 1608, pp. 203 s.; G.V. Rossi, Pinacotheca imaginum illustrium doctrinae vel ingenii laude virorum, Coloniae 1643, pp. 259-261; N. Toppi, Biblioteca napoletana, V, Napoli 1678, p. 205; G. Galilei, Opere, Firenze 1890-1909, X, p. 241, XI, pp. 120, 256, 261, 265, 324, 560; A. Belloni, Gli epigoni della Gerusalemme liberata, Padova 1893, pp. 133-140, 496 s.; A. Favaro, Amici e corrispondenti di Galileo Galilei, in Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, s. 7, 1894, vol. 5, pp. 552-580; B. Croce, Donne letterate nel Seicento, in Id., Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1931, pp. 159-177; A. Borzelli, Note intorno a M. S., Napoli 1935; P. Russo, L’Accademia degli Umoristi, in Esperienze Letterarie, IV (1979), 4, pp. 47-61; N. Costa Zalessow, Scrittrici italiane dal XIII al XX secolo, Ravenna 1982, pp. 128-134; N. Verdile, Contributi alla biografia di M. S., in Rendiconti dell’Accademia di archeologia, lettere e belle arti, 1990, vol. 41, pp. 165-206; U. Baldini - P.D. Napolitani, Per una biografia di Luca Valerio, in Bollettino di storia delle scienze matematiche, XI (1991), pp. 3-157; A. Colombo, Il principe celebrato, in Philologica. Bollettino del Centro studi Archivio Barocco, I (1992), pp. 7-29; L. Alemanno, L’Accademia degli Umoristi, in Roma moderna e contemporanea, III (1995), pp. 97-120; A. Coppola, A proposito di alcuni sonetti del Tasso per M. S., in Studi tassiani sorrentini, Castellammare di Stabia 2002, pp. 25-31; S. Pezzini, Ideologia della conquista, ideologia dell’accoglienza: La Scanderbeide di M. S. (1623), in Modern language notes, 2005, vol. 120, n. 1, pp. 190-222; Ead., La scoperta dell’identico: ideologia dell’accoglienza ne La Scanderbeide (1623), in Dentro/fuori sopra/sotto, Ravenna 2007, pp. 101-111; A. Coppola, Epigoni del Tasso: M. S., in Studi tassiani sorrentini, Castellammare di Stabia 2008, pp. 107-114; V. Cox, Women’s writing in Italy. 1400-1650, Baltimore 2008, ad ind.; E. Tamburini, Dietro la scena: comici, cantanti e letterati nell’Accademia romana degli Umoristi, in Studi secenteschi, L (2009), pp. 89-112; V. Cox, The prodigious muse: women’s writing in Counter-Reformation Italy, Baltimore 2011, ad ind.; S. Pezzini, «Eikon vs logos». Funzioni dell’immagine e scrittura di donna in un poema eroico del Seicento, in Intersezioni, XXXII (2012), 1, pp. 29-47; M. Ray, Scientific circles in Italy and abroad: Camilla Erculiani and M. S., in Daughters of alchemy, Cambridge 2015, pp. 111-155; Ead., M. S.’s letters to Galileo, London 2016.