FARNESE, Margherita (in religione Maura Lucenia)
Nacque a Parma il 7 nov. 1567, primogenita di Alessandro, futuro duca di Parma e Piacenza, e di Maria di Portogallo, e l'11 gennaio seguente fu tenuta a battesimo da Pio V e da Girolama Orsini, rappresentati rispettivamente dal vescovo Ferrante Farnese e da Caterina De Nobili Sforza.
Nel 1577, a trentanove anni di età, Maria di Portogallo morì, lasciando orfana la F., insieme con i suoi fratelli Odoardo e Ranuccio. Nel suo testamento dedicò particolare attenzione alla primogenita, affidandola espressamente alle cure della suocera, Margherita d'Austria, la figlia naturale di Carlo V. Fu così che nel marzo del 1580, quando le contingenze politiche del momento resero necessaria la presenza di Margherita d'Austria nelle Fiandre a fianco del figlio, che ne aveva assUnto il governo dopo la morte del cugino don Giovanni d'Austria, questa condusse con sé anche la nipotina allora tredicenne, prelevandola da Piacenza nel marzo del 1580. Probabilmente solo durante questo periodo vissuto nelle Fiandre, la F. poté godere della vicinanza e dell'affetto del padre Alessandro, che le numerose imprese militari avevano a lungo tenuto lontano dalla moglie e dai figli. Il suo soggiorno a Namur, sicuramente caratterizzato dal forte clima di tensione che si era venuto a creare fra Alessandro e la madre per la spartizione del potere, fu comunque di breve durata: le trattative per il matrimonio fra Vincenzo Gonzaga, il figlio di Guglielmo, duca di Mantova, ed Eleonora de' Medici erano state interrotte per dar luogo a quelle fra il principe e la Farnese.
Questo matrimonio, proposto e sostenuto dal cardinale Alessandro Farnese, avrebbe gettato le basi per una alleanza dei Farnese con i Gonzaga, la cui rivalità risaliva ai tempi di Paolo III, e, indirettamente, anche con gli Este, imparentati con il duca di Mantova. Se un'alleanza avrebbe perciò giovato ad entrambe le parti, assicurando i confini dei rispettivi Ducati, l'argomento che si rivelò determinante per Guglielmo Gonzaga, che conduceva le trattative per conto del figlio, fu la somma di 300.000 scudi che la F. avrebbe portato in dote e che si rivelava ben più cospicua di quella offerta dai Medici.
Così nel novembre del 1580 si chiusero le faticose trattative e si sottoscrissero i capitoli matrimoniali fra Vincenzo e la F., includendovi la clausola dell'immediato ritorno in Italia della ragazza. Il 10 dic. 1580, suo malgrado, la F. partì quindi da Namur accompagnata da Girolama Farnese Sanvitale e il 17 febbraio seguente arrivò a Piacenza, dove Vincenzo Gonzaga la raggiunse una settimana più tardi.
Il matrimonio fu celebrato il 2 marzo 1581 nel duomo di Piacenza dal vescovo di Parma Ferrante Farnese, ma dopo quattro giorni le nozze non erano state ancora consumate a causa di un "impedimento" congenito della Farnese. Fu visitata immediatamente dal segretario di Vincenzo Gonzaga, il medico Marcello Donati, il quale ne informò il duca Guglielmo. La questione era estremamente delicata, poiché una mancata successione avrebbe estinto i Gonzaga e avrebbe fatto installare a Mantova il ramo collaterale francese dei Nevers. Per questo la F. fu fatta visitare da un famoso medico del tempo, chiamato appositamente a Parma da Padova, G. Fabrici d'Acquapendente. A Mantova, invece, dove gli sposi arrivarono il 30 apr. 1581, la F. fu visitata dal chirurgo bolognese G. C. Aranzio. Entrambi consigliarono di rimediare al problema con un delicato intervento chirurgico. A questa drastica risoluzione si oppose in maniera decisa Margherita d'Austria, che il 30 marzo 1582 spedì alla nipote una lettera che non lasciava spazio a dubbi: "dovete con prudenza e virtù risolvervi a non voler esser carnefice di voi istessa, con il mettervi a far rimedii vio!enti et pericolosi, si bene, poiché a Iddio e piaciuto darvi tal impedimento, dovete voi liberamente dire che non convenendo né potendo maritarvi, siete risoluta andare a servire la Divina bontà in un monastero et ciò mettere in essecutione con ogni prestezza" (E. Zanette, La monaca di Parma, in Convivium, VII [1935], p. 730). Dello stesso tenore fu la lettera che Alessandro Farnese inviò alla figlia nel novembre del 1582. La F. e Vincenzo Gonzaga, dopo aver trascorso il carnevale del 1582 a Ferrara, presso Alfonso e Margherita d'Este, ritornarono a Mantova: era passato circa un anno dalle nozze, durante il quale, però, nulla era cambiato fra gli sposi, né era stata effettuata l'operazione. Il duca di Mantova, al quale sempre più premeva la successione, chiese lo scioglimento del matrimonio, rifiutando tuttavia la proposta della controparte di procedere all'intervento chirurgico. Ottavio Farnese, di rimando, pretese che la nipote ritornasse a Parma e nel giugno 1582 inviò Ramiccio, allora dodicenne, a prenderla, nonostante le proteste di Guglielmo Gonzaga per l'allontanamento della F. dal tetto coniugale. A Parma la F. fu nuovamente sottoposta alle visite scrupolose dei medici, tra i quali figurò anche il medico personale del cardinale Alessandro Farnese, Andrea Marcolini da Fano, il quale escludeva qualsiasi possibilità di rischio per la giovane, nel caso si fosse voluto procedere all'intervento chirurgico. L'accordo fra le due parti si dimostrò improbabile e nel dicembre del 1582 Ottavio e Guglielmo si rivolsero a Gregorio XIII per incaricare "commissario... idoneo et confidente et con amplissima auttorità in questo fatto et in ogni suo incidente et emergente per rispetto della visitatione et cura" (A. Barilli, Maura Lucenia F., in Arch. stor. per le provv. parmensi, XXII [1922], 2, p. 171). Il papa, preoccupato per le questioni dinastiche dei Gonzaga, che avrebbero negativamente influito sull'equilibrio politico italiano con il rischio di veder insediati nel Ducato di Mantova degli ugonotti, i Nevers, affidò il delicato incarico al cardinale Carlo Borromeo. Questi arrivò a Parma nel febbraio del 1583, e dopo aver ascoltato i pareri dei medici, dopo aver avuto una serie di colloqui privati con la F., della quale fortissima era stata la riluttanza a rinunciare al suo stato di moglie, la convinse a desistere dall'intervento chirurgico e a seguirlo a Milano. Così alla fine del maggio 1583 la F. entrò in un monastero di Milano per svolgervi il noviziato, poi si trasferì nuovamente a Parma nel monastero di S. Paolo, il più aristocratico della città, il quale godeva di speciali autonomie, rendendo le suore relativamente più libere che altrove.
Il 9 ottobre seguente il Borromeo pronunciò la sentenza di annullamento del matrimonio, dichiarandolo non consumato: aveva ottenuto per questo speciali deroghe, in quanto il diritto canonico prevedeva per lo scioglimento del vincolo coniugale il trascorrere di almeno tre anni dal giorno delle nozze. Il 30 ottobre la F. fece così la sua professione nelle mani del cardinale prendendo il nome di suor Maura Lucenia. Faticosamente fu risolta anche la questione della restituzione della dote, da cui i Gonzaga trattennero ben 100.000 ducati, poiché l'"impedimento" era causato dalla sposa e non da Vincenzo. Venivano poi restituiti al duca di Mantova, oltre ai gioielli, anche 12.000 scudi come rimborso degli oggetti di vestiario che ella aveva ricevuto in regalo. Ancor prima dell'annullamento del matrimonio, venivano però segretamente riprese dal duca di Mantova le trattative per le nozze di Vincenzo con Eleonora de' Medici, che diedero adito ad una nuova serie di scandali: il granduca a questo punto voleva prove sicure della virilità di Vincenzo per acconsentire al matrimonio. ottenuta la "prova" richiesta, Vincenzo e la principessa Medici si sposarono il 28 apr.1584.
Nel monastero di S. Paolo la F. fu accolta come si conveniva ad una principessa del suo rango: le fu perciò possibile coltivare la sua passione per la musica. Seguendo questa inclinazione ebbe così modo di rivedere un giovane musico di corte, Giulio Cima, detto il Giulino, all'epoca ventenne e al servizio del principe Ranuccio. Il 4 giugno del 1585 l'eco di questi incontri clandestini giunse ad Ottavio Farnese, informato dal governatore di Parma sulle lamentele del vicario circa la presenza del musico fra le mura del convento. Immediato fu l'arresto del Cima. Dai verbali degli interrogatori appare che il tipo di musica a cui questi e la F. si dedicavano durante i loro incontri era perlopiù di tipo profano: la principessa amava ascoltare arie dell'Ariosto, le stesse che il Cima le aveva insegnato anni prima a corte, e le cosidette "napolitane", canzoni a sfondo sentimentale ritenute pericolose e compromettenti per una suora. Le fonti a disposizione nulla lasciano trapelare sulla reale consistenza di questi incontri, ma le drastiche misure adottate riguardo alla questione non lascerebbero adito a dubbi su un'effettiva relazione, non solamente artistica, fra la F. e il musico. La F. fu sottoposta a una sorveglianza molto rigorosa: il caso rischiava di suscitare un gravissimo scandalo e, nonostante l'intervento mediatore del cardinale Farnese, quando Alessandro divenne duca di Parma, alla morte del padre Ottavio, inasprì ulteriormente le condizioni claustrali della figlia. Tenuto lontano da Parma dai suoi impegni politici e militari in Fiandra, incaricò Ranuccio di provvedere a irrigidire la clausura del monastero di S. Paolo "per levar gli abusi delle visite". Questi assolse il suo compito con la massima solerzia e alla F. furono interdette le visite, concesse una volta solamente durante l'anno. Inoltre furono modificate le modalità di pagamento della sua provvigione mensile di 150 scudi d'oro: una disponibilità liquida avrebbe permesso alla F. di operare possibili corruzioni allo scopo di far evadere il Cima (altri 30 ducati le pervenivano dalla pensione mensile che Margherita d'Austria le aveva lasciato nel suo testamento del 3 genn. 1586). La drasticità di tali misure restrittive, delle quali la F. ebbe a lamentarsi con il cardinale Farnese già dal dicembre del 1586, lascerebbe supporre il timore che ella continuasse a rimanere in contatto con il musico imprigionato. In realtà questi riuscì in seguito ad evadere dal carcere e a rifugiarsi a Mantova, entrando al servizio di Vincenzo Gonzaga. La sua successiva cattura da parte dei Farnese fu il pretesto per un'ennesima battaglia diplomatica fra loro e i Gonzaga.
In seguito alla morte del duca Alessandro il potere passò a Ranuccio, il quale, nel dicembre del 1592, fece trasferire la F. nel monastero di S. Alessandro. Egli inasprì ulteriormente la condizione della sorella, nella quale vedeva la causa di tanti problemi di casa Farnese, al punto che la F. inviò a Clemente VIII una lettera "piena di tante lagrime per li mali portamenti" che era costretta a subire dal fratello.
Molto interessante a questo proposito è la relazione che il cardinale Odoardo Farnese inviò al fratello Ranuccio nell'aprile del 1595, nella quale lo informava della ferma volontà del pontefice a mettere fine al duro trattamento riservato alla F., con l'intenzione di farla trasferire in un monastero romano. L'accorto cardinale prospettava al fratello, nel caso di una simile eventualità, "la poca reputatione, che ne seguirebbe" e lo convinceva a riservare una condizione più umana alla sorella "da quale essendo nata come è, ... merita da tutti gli altri nonché da noi fratelli molta compassione oltra che è di natura e d'humore di vincerla e dominarla con le piacevolezze e modi destri, et amorevoli, e non in altra maniera, e come si dice, con la verga ferrea" (A. Barilli, p. 198). E Ranuccio lo ascoltò, soprattutto per non mettersi in urto con Clemente VIII.
La F. così, protetta dal pontefice, trascorse gli anni successivi senza far parlare molto di sé. I documenti relativi alla sua lunga permanenza in S. Alessandro ci rivelano scambi cordiali con la corte di Parma: la F. protesse le figlie bastarde di Ranuccio, che erano state fatte entrare nel suo stesso monastero tra il 1604 e il 1620. Cercò anche, invano, di intercedere in favore di Ottavio, il figlio illegittimo di Ranuccio, che si era ribellato al padre e che era stato da questo fatto rinchiudere nella Rocchetta di Parma, dove rimase fino alla morte.
Eletta badessa di S. Alessandro per dieci volte, la F. morì in quel monastero nell'aprile del 1643, a settantasette anni di età, e lì fu sepolta. Il 14 dic. 1853 Carlo III di Borbone ordinò che le sue ossa, e la lapide che tuttora la ricorda, fossero trasferite nella chiesa della Steccata, dove si trovavano le tombe dei principi delle case Farnese e Borbone.
Fonti e Bibl.: Bibl. ap. Vaticana, Urb. lat. 879, II, ff. 495-498; A. Possevino, Genealogia totius familiae, Mantuae 1629, p. 780; L. de Salazar, Indice de las glorias de la casa Farnese, Madrid 1716, p. 304; E. Costa, Spigolature storiche e letterarie, Parma 1887, pp. 17-40; G. B. Intra, M. F., in Rassegna nazionale, 10 sett. 1891, 13, pp. 58-80; A. Del Prato, Il testamento di Maria del Portogallo, in Arch. stor. per le provv. parm., n. s., VIII (1908), pp. 178 s.; A. Barilli, Maura Lucenia F., ibid., XXII (1922), 2, pp. 161-199; XXIII (1923), pp. 121-168; E. Zanette, La monaca di Parma, in Convivium, VII (1935), pp. 725-737; G. Drei, I Farnese, Roma 1954, ad Indicem; E. Nasalli Rocca, IFarnese, Parma 1969, pp. 130 ss.; A. Bellù, M. F. sposa mancata di Vincenzo Gonzaga, in Archivi per la storia, I (1988), 1-2, pp. 381-420; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Farnesi, tav. XVI.