DURASTANTI, Margherita
Non ne conosciamo la data di nascita, avvenuta probabilmente in una città del Veneto intorno al 1685, e nulla si sa della sua prima giovinezza, né dei suoi studi musicali che le permisero di affrontare le scene come virtuosa di canto in giovanissima età. La prima apparizione in pubblico di cui si abbia notizia fu a Venezia in data ignota, un "opéra-pastiche", non meglio identificata, nel cui libretto veniva segnalata una compagnia di canto formata da virtuosi della corte di Mantova.
Dal 1707 al 1709 fu a Roma con G. F. Hándel e con A. Caldara al seguito del marchese Francesco Maria Ruspoli Marescotti, che le fece avere un salario mensile di 20 scudi (fu l'unica virtuosa regolarmente pagata dal Ruspoli). In questo periodo Händel, che secondo alcune fonti si era innamorato della D., scrisse per lei numerose cantate, tra cui L'Armida abbandonata, Amarilli vezzosa, la cantata a tre IlTebro, i duetti Arresta il passo e O comechiare e belle, la cantata francese Sans y penser e la cantata spagnola No se emenderá iamas. Il celebre compositore scrisse inoltre per lei la parte della Maddalena nell'oratorio LaResurrezione, rappresentato in forma scenica la domenica di Pasqua dell'8 apr. 1708 a palazzo Bonelli alla presenza di papa Clemente XI e sotto la direzione di A. Corelli. Il fatto che una donna calcasse le scene in un'opera di soggetto sacro suscitò l'indignazione del pontefice e alla seconda replica la D. venne sostituita da un evirato, ma continuò tuttavia la sua attività presso la famiglia Ruspoli, cantando nell'agosto 1709 nella serenata di A. Caldara Chi s'armadi virtùvince ogni affanno, eseguitanel corso di una grande festa a palazzo Bonelli, alla presenza dei cardinali C. Pamphili, c. Colonna e P. Ottoboni.
Frattanto la D. era diventata la primadonna del teatro S. Giovanni Grisostomo di Venezia dove, tra il 1709 e il 1712, fu protagonista dell'Agrippina di Händel, delle opere di A. Lotti Ama più chi men si crede (Fiordalba), Il comando non intenso ed obbedito (Zoe), IsaccoTiranno (Pulcheria), La forza del sangue (Argirio), Il tradimento traditor di sé stesso (Statira), delle opere di C. F. Pollarolo Spurio Postumio, Publio Cornelio Scipione (Lucio) e ne L'infedeltà punita (Guadalberga) di Lotti e Pollarolo.
Nel settembre del 1714 la D. cantò a Parma e l'anno dopo venne richiamata a Roma dalla famiglia Ruspoli. Il 1° ott. 1715 furoreggiò al palazzo reale di Napoli, interpretando il personaggio di Laodicea nell'Eumene diF. Gasparini. Il mese successivo riscosse pari successo in Ilduello d'amore (Esilena) di M. A. Ziani al teatro S. Bartolomeo della stessa città, dove riprese anche il PublioCornelio Scipione di Pollarolo e cantò nel Porsenna di Lotti. Sempre a Napoli, nel gennaio 1716, fu Giuditta nel Carlo, re d'Alemagna di A. Scarlatti, assieme con il celebre castrato F. Bernardi, detto il Senesino; al palazzo reale fu protagonista di una Merope di autore ignoto.
Nel 1718 venne scritturata insieme coi Senesino, Vittoria Tesi e G. Boschi all'Hoftheater di Dresda, dove era conosciuta come "la contessa" (probabilmente a causa dell'elevato cachet di5.225 talleri); in settembre cantò nel Theofane di Lotti, in occasione delle nozze dell'elettore Federico Augusto di Sassonia e dell'arciduchessa Maria Josepha d'Austria. Sembra però che l'elettore, irritatosi per alcune controversie fra il Senesino e il maestro di cappella S. D. Heinechen e per alcune inadempienze della D., annullasse i contratti di tutta la compagnia. I cantanti, però, furono subito scritturati da Händel per la Royal Academy of Music di Londra: la D. ebbe un contratto di diciotto mesi per 1.110 sterline più altre 110 per le spese personali.
Ormai celeberrima cantante, debuttò al King's Theatre di Londra il 2 apr. 1720 nelle vesti di Romolo nel Numitore di G. Porta, con una compagnia di canto formata dal Senesino, G. Boschi e A. Robinson; pochi giorni dopo fu attesissima protagonista del Radamisto di Händel e, di li a poco, impersonò Zenobia nel Narciso di D. Scarlatti. Il 19 novembre dello stesso anno cantò ancora come protagonista dell'Astarto di G.B. Bononcini e, in dicembre, di nuovo nel Radamisto diHändel, ma nella parte di Zenobia. Nel febbraio del 1721 apparve nell'Arbace di G. Orlandini e F. Amadei (Statira), nel Muzio Scevola con musiche di Händel, Bononcini e A. Ariosti (Clelia) ed infine in Odio e amore di Ariosti, opera in cui fu particolarmente apprezzata dai sovrani inglesi, che vollero tenere a battesimo la figlia natale dal matrimonio con tale Casimiro Avelloni. Poco tempo dopo apparve in una serenata di A. Scarlatti e, in luglio, in una nuova cantata di Händel, mentre in autunno, e forse lungo tutto l'inverno del 1722, si esibi a Monaco dove percepi un' onorario principesco.
Nel maggio dello stesso anno rientrò in Italia e cantò al teatro Marsigli-Rossi di Bologna nell'oratorio La santità riconciliatacol mondo di P. Baldassarri. Tornò a Londra nella seconda metà del 1722, con un contratto di 1.000 sterline annue, scritturata nel Floridante di Händel (Rossana). Rimase nella capitale inglese fino al 1724, partecipando il 12 genn. 1723 alla produzione dell'opera Ottone re di Germania, di Händel (Gismonda), in cui cantava una nuova stella, Francesca Cuzzoni, che in quell'occasione mandò in visibilio la platea londinese per la sua eccezionale estensione vocale. La D., invece, cominciava a sentirsi meno a suo agio nelle tessiture alte e la sua voce aveva assunto caratteristiche da mezzosoprano. Il pubblico, dal canto suo, era desideroso di ascoltare nuove voci e la fama della D. cominciò ad essere lentamente oscurata dalla nuova favorita. Continuò tuttavia a cantare al King's Theatre nel Caio Marzio Coriolano (Veturia) e nel Vespasiano di Ariosti (Domiziano), nel Crispo, nell'Erminia e nel Farnace di Bononcini (Clitarco); interpretò il personaggio di Sesto nella prima del Giulio Cesare di Händel e apparve ancora nella Calpurnia di Bononcini (Giulia) e nel "pastiche" Aquilio Console (Linceste).
Ormai la Cuzzoni trionfava e la D., consapevole di non poter gareggiare sul suo stesso piano, decise di dare l'addio alle scene inglesi, cantando una canzone su versi di A. Pope che terminava con l'addio: "Happy soil, adieu, adieu …". Da questo momento non si hanno notizie per circa un decennio fino al 1733, allorché venne richiamata da Händel a Londra, dove cantò insieme col castrato G. Carestini nel "pastiche" Semiramide riconosciuta (coi recitativi di Händel) con grande successo.
Continuò quindi a cantare nella ripresa dell'Ottone di Händel (Zenobia) e in altre opere del celebre compositore: Sosarme (Haliate), Il pastor fido (Tauride), Il Parnasso in festa (Calliope), Deborah e Aci e Galatea.
Dal 1734 si perdono le sue tracce. Si ignorano il luogo e la data di morte.
La voce della D. aveva all'inizio un'estensione dal re3 al la4 ma non fu mai una voce autenticamente sopranile e, anzi, col tempo si scuri fino ad assumere caratteristiche decisamente mezzosopranili. Fu probabilmente proprio quest'ambiguità vocale a consentirle i successi più lusinghieri nei ruoli maschili che Händel e gli altri compositori scrivevano appositamente per lei.
La sua versatilità era tuttavia tale da permetterle di interpretare con disinvoltura i ruoli più diversi per carattere e tessitura vocale. Sembra che i suoi cavalli di battaglia fossero le arie in cui la voce doveva dialogare con lo strumento solista; il Burney (cit. da Celletti) ricorda la D. come raffinata interprete dell'aria "Figlio di un bel valore" dell'Astarto di Bononcini, accompagnata dal solo violoncello. Eccelleva peraltro nelle arie di maggior espressività drammatica, piuttosto che in quelle squisitamente virtuosistiche.
Ad onta della bellissima voce, la D. aveva un fisico goffo e pesante; sgradevoli erano i tratti del viso come testimonia una caricatura della cantante di A. M. Zanetti, conservata nella Fondazione G. Cini di Venezia (v. ill. in New Grove, p. 746); un'ulteriore notizia è fornita da P. Rolli (cit. da Barbieri) che scrisse in una lettera: "Si dà per certo che la Durastanti verrà per l'opere; oh che mala scelta per l'Inghilterra; non entro nel di lei cantare, ma è un elefante!".
C. Burney affermò che era un tipo volgare e mascolino, ma tutti i contemporanei furono concordi nell'apprezzare la sua personalità drammatica, la sua musicalità e il suo fraseggio; tra tutti i cantanti prediletti di Händel fu inoltre l'unica a rimanere vicino al compositore e a sostenerlo nel momento in cui venne contrastato dall'Opera of Nobility e abbandonato dagli altri virtuosi che avevano trionfato con lui dieci anni prima.
Fonti e Bibl.: U. Kirkendale, The Ruspoli documents on Händel in Journal of the American musicological Society, XX (1967), p. 222; R. Proess, Geschichte des Hoftheaters zu Dresden, Dresden 1878, pp. 127s., 131; A. Fassini, Il melodramma italiano a Londra, Torino 1914, pp. 43, 455, 51, 53 ss., 61, 68, 70-73, 101, 137; O. E. Deutsch, Händel, a documentary biography, London 1955, pp. 27, 94, 96, 104, 119, 123, 125 s., 128, 139, 147, 153, 157, 170, 177, 180, 193, 288, 335 s., 343, 360, 364 s., 373, 375, 383, 385; W. Dean, Händel's dramatic oratorios and masques, London 1959, pp. 175, 238, 268, 654 s.; E. Blom, La musica in Inghilterra, Torino 1966, p. 105; P. H. Lang, Händel, London 1967, pp. 146, 175, 180, 247; Storia dell'opera, Torino 1977, 1, 2, pp. 68, 80; II, I, p. 231; III, 1, pp. 55, 57, 62, 325; R. Celletti, Storia del belcanto, Fiesole 1983, pp. 91, 95 s., 104; G. Mazzola Mangheroni, Händel, Milano 1983, pp. 15, 59, 76, 80, 150, 152; G. Barbieri-A. Bonanni, Händel: la vita e l'opera, Roma 1986, pp. 18, 37 s., 60 s.; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 275; Encicl. dello spett., IV, col. 1175; The New Grove Dict. of music and musicians, V, pp. 745 s.; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, II, p. 590.
R. Staccioli