MARGHERITA di Valois, duchessa di Savoia
MARGHERITA di Valois, duchessa di Savoia. – Figlia di Francesco I re di Francia e di Claudia di Francia, nasce a Saint-Germain-en-Laye, nei pressi di Parigi, il 5 giugno 1523; il 21 viene battezzata. Presto orfana della madre – morta il 20 luglio 1524 –, provvede ad allevarla la zia e madrina di battesimo Margherita d’Angoulême, dal 1517 duchessa di Berry, e moglie, dal 1509, del duca d’Alençon, morto il quale nel 1525, si risposerà, nel 1526, con il re di Navarra, Enrico II d’Albret.
Cresciuta in un ambiente raffinato e colto, M. ancora giovinetta si distingue per la padronanza del greco e del latino, per l’intendimento dell’italiano e dello spagnolo, per l’amore per l’arte e le lettere, per il vivo interesse per la filosofia, le scienze, la matematica. Madrina di battesimo nel 1544 del nipote Francesco e nel 1553 della nipote Margherita (figli del fratello Enrico), è la protettrice di Pierre de Ronsard che le dedica una Ode pastorale e Les hymnes (in Oeuvres complètes, a cura di G. Cohen, Paris 1950, I, p. 372; II, p. 122); è la dedicataria dell’Olive (Paris 1549) e del Recueil de poésies… (ibid. 1549) di Joachim du Bellay. Tutt’altro che avvenente, è celebrata per la sua sensibilità e intelligenza che la trasfigurano a Pallade guerriera la quale, impugnata la lancia, sconfigge l’ignoranza e la rozzezza. È la «divina e casta Margherita» cantata dai poeti; è la «dotta principessa» ispirante la Pléiade.
In seguito alla morte della zia Margherita d’Angoulême diviene duchessa di Berry il 21 nov. 1549. L’ugonotto Michel de l’Hospital, che sarà poi cancelliere di Francia e collaboratore di Caterina de’ Medici, è suo cancelliere e Jean de Morel d’Embrun, amico di Ronsard e di du Bellay, è suo maggiordomo. Addetto alla sua persona dal 1554 è destinato Bartolomeo Del Bene il quale – al pari d’un altro italiano, Marcantonio Flaminio – a lei indirizza i propri scritti, essendone ricambiato, nel 1558, con l’assegnazione, ottenuta per lui da M., dell’abbazia di Belleville. Saggio, sollecito, illuminato il governo del Ducato da parte di M.; grazie alla sua iniziativa l’Università di Bourges diviene un’autentica scuola giuridica.
Nella strategia degli apparentamenti della Corona di Francia, è promessa al primogenito di Carlo II di Savoia, Luigi, morto il quale il suo nome rispunta allorché viene ventilato il matrimonio con il futuro re di Spagna Filippo, rimasto vedovo, nel 1545, di Maria Manuela di Portogallo. Rimane nubile sino ai 36 anni compiuti, ancorché già nel 1547 e poi, di nuovo, nel 1554 si sia affacciata l’ipotesi d’un suo matrimonio con Emanuele Filiberto duca di Savoia. Ma perché l’ipotesi si concreti in tal senso occorre attendere che l’impegno matrimoniale sia contemplato nelle clausole della pace di Cateau-Cambrésis del 3 apr. 1559. Il 21 giugno Emanuele Filiberto entra a Parigi con un imponente seguito d’oltre 200 persone. Il 27 è firmato il contratto nuziale definitivo e il matrimonio è celebrato la notte del 9 luglio, mentre Enrico II, fratello di M., ferito mortalmente in una giostra il 29 giugno, è agonizzante.
Parigi precipita nel lutto per la tragica fine del re Cristianissimo, ma anche tristi – a detta di Ronsard – e ammutoliti Apollo, Venere, le muse perché M., oramai duchessa sabauda, deve lasciare la corte di Francia, con la quale conserva, però, stretti legami, potendo contare su Michel de l’Hospital, suo «chevalier servant», su Del Bene «maître d’hôtel ordinarie», su Jacques Grévin suo medico personale, nonché poeta, su Raimondo Forget, letterato amico di Ronsard, suo segretario. Sebbene lontana, sollecita l’ellenista Jacques Amyot a perfezionare la sua traduzione delle vite di Plutarco e continua a favorire Ronsard. Jacques Peletier – a suo tempo già istruttore di poesia per Ronsard – le dedica il proprio poema La Savoye (Annecy 1572). Non dimentica degli studi giuridici da lei incentivati a Bourges, M. attira all’Università di Mondovì il giurista, filologo e filosofo António de Gouveia e a quella di Torino Jacques Cujas. A Nizza sino al settembre del 1560, quindi in Piemonte, la coppia fissa la residenza dapprima a Vercelli, poi, nella primavera del 1561, a Rivoli, per infine stabilizzarla – dopo l’ingresso solenne del 3 febbr. 1563 – a Torino, divenuta capitale del Ducato. L’unione non è infelice, malgrado la differenza d’età – M. ha 5 anni in più del marito –, malgrado la non avvenenza di M., malgrado la incontenibile inclinazione di Emanuele Filiberto a più o meno fugaci avventure amorose, basata com’è sulla reciproca stima e sulla mutua comprensione. A dispetto della previsione di nozze infeconde, il 12 genn. 1562 nasce, nel castello di Rivoli, l’agognato erede maschio, Carlo Emanuele.
Gli ambasciatori veneziani constatano che M. ha corte separata da quella del marito. Sono presenti nel suo entourage persone di notoria fede riformata, come Jacques Grévin, medico e precettore di Carlo Emanuele, come Maria de Gondi contessa di Pancalieri, come la marescialla di Thermes, come le dame d’onore Aréthuse Vernon, Rénée de Bonneval, Jacqueline d’Entremont, Melle de Lérenville e la sorella di quest’ultima Isabelle de Hauteville. Vane sono le pressioni di Carlo Borromeo sul duca perché costoro siano allontanati e senza esito il breve di Pio IV del 30 genn. 1562 reclamante l’espulsione dei cortigiani riformati. Inoltre M. è caritatevole con le giovani donne povere e con i gentiluomini caduti in miseria, generosa nel sovvenire i francesi di passaggio. Colpita direttamente nei suoi interessi allorché Gabriel de Montgomery conquista – nel Ducato di Berry di cui serba titolo e rendite – Bourges, non per questo s’incendia di odio per i ribelli e gioisce particolarmente per il recupero della città operato da Jacques de Nemours. «Vera cristiana» la dice Pierre de l’Estoile; «la migliore principessa del mondo» asserisce senza tema di smentita Pierre de Brantôme. Caduta, nel 1562, in mano ugonotta Lione, M. prende a cuore la sorte dei fuggitivi cattolici, ma d’altra parte aiuta anche Gaspard de Coligny a mantenere il godimento dei propri beni in Savoia.
Sospetta e sospettabile appare l’ortodossia di M.: ancora quand’era in Francia, s’era dubitato di lei e d’altre dame quali Louise de Clermont duchessa d’Uzès ed era circolata l’accusa che si fosse tentato di attirare alla Riforma persino Caterina de’ Medici. Allora M. aveva reagito assicurando di non essere affatto ugonotta. I sospetti perdurano anche quando diviene duchessa sabauda. Nella sua relazione al Senato l’ambasciatore veneto Francesco Morosini nel 1570 dice di lei che «legge volentieri le cose della scrittura, il che è causa (insieme con aver tutta la sua casa, così di uomini come di donne, piena d’ugonotti) che alcuno abbia sospettato qualche cosa di lei in proposito di religione, e specialmente il papa», Pio V. Nonostante gli interventi papali attraverso i nunzi la S. Sede «non ha potuto ottenere» nulla, probabilmente perché la duchessa è almeno nel comportamento esteriore «cattolica e buonissima cristiana»: ascolta la messa; si comunica e confessa almeno 4 volte all’anno, e, talvolta, anche sei; e nei «suoi ragionamenti» non c’è «parola» che sia imputabile d’eresia (Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di E. Alberi, I, Firenze 1859, pp. 168-170).
Un’ortodossia comunque, questa di M., poco compatibile con i canoni della Controriforma e con i modelli devozionali della corte di Filippo II, il quale, nel 1564, non esita ad allertare lo stesso Emanuele Filiberto nei suoi confronti. La religiosità di M., di stampo pretridentino con venature erasmiane, si palesa tollerante anche nei confronti dei valdesi, alla persecuzione dei quali si oppone. Esplicita è la disapprovazione di M. per l’operato del conte della Trinità, Giorgio Maria Costa, contro questi sudditi onesti e laboriosi. Alla spietata durezza di questo, ella contrappone la mitezza del conte di Racconigi Filippo di Savoia. È avvertibile d’altronde dietro la pace di Cavour, del 5 luglio 1561, l’influenza di M. sul duca, il quale rinuncia a imporre l’uniformità religiosa a tutto il suo dominio. E decisivi sono i consigli di M. alla stipula, del 30 ott. 1564, del trattato di Losanna, con il quale Emanuele Filiberto rinuncia alle sue pretese a nord del lago di Ginevra e se recupera Gex, il Chiablese e i paesi circonvicini, deve impegnarsi a garantirvi l’esercizio del culto riformato e il mantenimento dei relativi ministri. È merito altresì di M. se, dopo l’arresto nel 1564, il ribelle – religiosamente e politicamente – e senatore savoiardo Joly d’Allery non viene giustiziato, ma soltanto destituito del titolo senatoriale e punito con una lieve ammenda, per poi essere reintegrato e garantito nel mantenimento dei suoi titoli, dignità e beni.
L’apporto di M. si rivela decisivo per il mantenimento della neutralità sabauda e dei buoni rapporti con la Corona di Francia. Efficace è la sua mediazione diplomatica, durante il soggiorno torinese del nipote Enrico III di Valois, per la restituzione di Savigliano, Pinerolo, Perosa ancora occupate dai Francesi, con conseguenza liberatoria anche per le piazze occupate, a bilanciamento, dalla Spagna. Purtroppo M. non ha la gioia d’apprenderlo. Per curare il figlio ammalatosi, contrasse una febbre violentissima che la condusse alla morte il 15 sett. 1574 a Torino.
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