MARGHERITA di Navarra, regina di Sicilia
MARGHERITA di Navarra, regina di Sicilia. – Terzogenita di García V Ramírez detto el Restaurador, re di Navarra, e della prima moglie Margherita de l’Aigle figlia del conte Gilberto di Perche, nacque nel 1128. Nel 1146 fu stipulato un accordo matrimoniale tra la Navarra e la Sicilia per fare sposare M. con Guglielmo d’Altavilla, principe di Capua e duca di Napoli, figlio di Ruggero II, re di Sicilia. Probabilmente le nozze furono celebrate tra il 1149, quando Guglielmo fu investito duca di Puglia, e il 1151, anno in cui divenne coreggente. Alla morte di Ruggero II (1154) Guglielmo I fu incoronato re di Sicilia e M. divenne regina. La coppia ebbe quattro figli: Ruggero, duca di Puglia, Roberto, principe di Capua, Guglielmo ed Enrico.
Decisa e ambiziosa, M. cercò di condizionare le scelte del marito e di mitigarne gli eccessi; osteggiò la grande aristocrazia e favorì Maione da Bari, che divenne cancelliere e grande ammiraglio. Gli avversari di Maione misero in giro la voce che costui voleva prendere il posto del re con la complicità di Margherita. Secondo alcuni, M. avrebbe inviato a Maione dal Palazzo reale un diadema e alcune insegne, che l’ammiraglio soleva mostrare ai suoi familiari. Il 10 nov. 1160 Matteo Bonello, signore di Caccamo, uccise Maione in un’imboscata.
Partecipi delle macchinazioni di Maione, gli eunuchi di palazzo cercarono di riabilitarne la memoria e di screditare Matteo Bonello, confidando nell’aiuto di Margherita. Per suscitare contro Bonello l’odio del re, gli eunuchi affermarono che si riteneva l’uomo più potente del Regno e si era guadagnato il favore della plebe e dei nobili. La frattura era ormai insanabile e nel marzo 1161 Matteo Bonello, accordatosi con molti cavalieri e magnati, ordì un complotto per deporre Guglielmo I e incoronare il primogenito Ruggero, di quasi nove anni, associato al trono e nominato duca di Puglia dal padre.
Entrati nel palazzo reale di Palermo, i rivoltosi lo saccheggiarono, trucidarono gli eunuchi, presero in ostaggio il re, costringendolo a dichiarare che avrebbe abdicato, e posero M. e i figli sotto stretta sorveglianza. Durante i torbidi, Ruggero perse la vita in circostanze poco chiare. Secondo Ugo Falcando, saputo che i congiurati volevano porre Ruggero sul trono, Guglielmo I lo avrebbe colpito con un calcio violentissimo mentre gli andava incontro battendo le mani, lieto per la sua liberazione. Trascinatosi fino al luogo in cui si trovava M., poco prima di morire Ruggero sarebbe riuscito a riferirle l’accaduto.
Sedato il tumulto, nell’estate 1161 Guglielmo riportò l’ordine e punì ferocemente i traditori. Per M. le difficili prove non erano finite, perché prima del 1166 morì anche il figlio Roberto. In quello stesso anno il sovrano, colpito da una grave forma di dissenteria, predispose la sua successione. Nominò Guglielmo erede al trono, confermò a Enrico il titolo di principe di Capua e affidò a M. la cura e l’amministrazione del Regno, in modo che governasse insieme con il figlio sino alla sua maggiore età. Il re stabilì inoltre che M. fosse affiancata da un Consiglio di reggenza formato dal gaito Pietro, eunuco musulmano, da Riccardo Palmer, vescovo di Siracusa, e da Matteo d’Aiello, protonotaro del Regno.
La morte di Guglielmo, avvenuta il 7 maggio 1166, fu tenuta nascosta fino al giorno delle esequie per predisporre la successione e preparare l’incoronazione di Guglielmo II. Durante il quinquennio di reggenza M. dovette giostrarsi tra accuse, calunnie e complotti, per evitare che il Consiglio di reggenza la esautorasse e i grandi feudatari si rendessero autonomi, approfittando della minorità di Guglielmo II. La nobiltà accusò M. di avere attribuito al gaito Pietro una posizione preminente nell’ambito della Curia regia e quando questi fuggì a Tunisi, M. lo scagionò dall’accusa di avere portato via una parte del tesoro regio. Di contro, non gradiva Riccardo Palmer per la sprezzante arroganza con cui aveva sempre respinto le sue richieste durante il regno del marito, ma dovette fare buon viso a cattivo gioco, mantenendolo nel Consiglio. I rapporti con il protonotaro Matteo d’Aiello furono più pacati e nel febbraio 1169 M. lo autorizzò a trasformare la propria casa, posta nel Cassaro di Palermo, nel monastero femminile di S. Maria del Cancelliere o dei Latini.
Secondo il cronista Romualdo Guarna, arcivescovo di Salerno, M., «utpote mulier sapiens et discreta» (p. 435), fece grandi concessioni per guadagnarsi il favore dei sudditi. Liberò molti detenuti, ai quali rese le terre e condonò i debiti. Richiamò i conti e i baroni costretti ad andare in esilio durante il regno di Guglielmo I e restituì loro i feudi confiscati. Donò nuove terre a ecclesiastici, conti, baroni e cavalieri. Anche Falcando riferisce che M. cercò di ottenere il sostegno della plebe e dei nobili, mettendo in libertà molti carcerati in Sicilia e nelle isole. Inoltre, abolì i pesanti tributi che il marito aveva imposto in cambio del perdono alle città e terre ribelli della Puglia e della Terra di Lavoro, concessione che s’inseriva nel solco della tradizione familiare: il fratello Sancho VI, re di Navarra, largì ampi privilegi a diverse città.
Falcando critica l’eccessivo potere concesso al gaito Pietro nel Consiglio di reggenza e afferma che gli eunuchi di palazzo ebbero una tale influenza su M. da convincerla a difendere Roberto di Calatabiano, castellano di Castello a mare di Palermo, macchiatosi di svariati e atroci crimini.
La morte di Guglielmo I scatenò grandi ambizioni e aspettative nei parenti di M., chiamati in Sicilia dalla Francia e dalla Spagna per controbilanciare la nobiltà locale: perciò M. chiese allo zio materno Rotrou di Warwick, vescovo di Rouen, d’inviare nell’isola Roberto di Neuburg o Stefano di Rouen conte di Perche. Nell’estate 1166 giunsero nell’isola Gilberto, conte di Gravina, consanguineo di M. per parte di madre; Rodrigo, detto Enrico, figlio illegittimo di García Ramírez, che ottenne la contea di Montescaglioso e dilapidò in breve tempo l’ingente quantità di denaro donatagli da M.; Stefano, figlio del conte di Perche, cugino materno di M., ricevuto con grandi onori e nominato cancelliere nel 1166 e arcivescovo di Palermo nel 1167, che divenne il principale punto di riferimento di Margherita.
M. rimase sempre in stretto contatto con i Normanni di Francia e d’Inghilterra e nella Curia regia di Palermo la conoscenza della lingua francese divenne indispensabile. Tra gli intellettuali francesi del seguito di Stefano di Perche spiccava Pietro di Blois, che fu precettore di Guglielmo II per un anno (1167-68). Nel 1167 Guglielmo di Blois, fratello di Pietro, fu nominato abate-vescovo del monastero benedettino catanese di S. Agata, grazie al sostegno di M., ma i benedettini di Catania gli preferirono Giovanni d’Aiello, fratello del protonotaro Matteo. Inoltre, Thomas Becket, vescovo di Canterbury, esiliato in Francia per essersi opposto all’ingerenza di Enrico II d’Inghilterra negli affari della Chiesa, scrisse una lettera a M., per ringraziarla dell’affettuosa accoglienza riservata in Sicilia ai suoi parenti e amici, costretti a lasciare il Regno d’Inghilterra. Nella lettera il vescovo di Canterbury lodò le nobili origini di M. e affermò che la stimava, pur non conoscendola personalmente, perché ne aveva sentito esaltare le molte e grandi virtù. Dopo la canonizzazione di Thomas Becket, trucidato nel 1170, Reginald Fitz Jocelyn, vescovo di Bath, donò a M. un ciondolo d’oro sbalzato e inciso, contenente reliquie del sangue e delle vesti di Becket, sul quale era raffigurata M. nell’atto di ricevere la benedizione del santo-martire. Probabilmente il vescovo di Bath donò a M. il ciondolo-reliquario (conservato nella Cloisters Collection del Metropolitan Museum di New York) perché M. aveva chiesto al papa di revocare la scomunica comminata da Thomas Becket a Jocelyn, vescovo di Sarum e padre di Reginald.
I Siciliani, emarginati politicamente dopo la morte di Guglielmo I, criticarono la concessione di cariche e feudi ai cavalieri francesi e iberici e accusarono il cancelliere Stefano di Perche di essere l’amante di Margherita.
Stefano divenne impopolare per il rigore con cui perseguitò la corruzione e gli abusi, per il tentativo d’introdurre norme e costumi francesi e per l’accentramento burocratico, attuato a danno dei poteri locali. I magnati della Curia e i potenti danneggiati da Stefano, che si era circondato di funzionari stranieri, misero in giro la voce che l’eccessiva familiarità e gli sguardi della regina nascondessero, sotto il pretesto della parentela, un amore incestuoso. Il vescovo di Agrigento arringò la folla contro Stefano, affermando che voleva imprigionare i baroni, avvelenare il re e ottenere il Regno, sposando Margherita.
Nel dicembre 1167 Stefano di Perche si trasferì con M. e Guglielmo II da Palermo a Messina, per trascorrervi l’inverno, ma dovette fronteggiare l’ostilità del popolo e dei nobili. Sedato il tumulto scoppiato a Messina e sventata la congiura ordita con la complicità del conte di Montescaglioso, nel marzo del 1168 il cancelliere, M. e Guglielmo II tornarono a Palermo. Nell’estate 1168 Stefano fu costretto a lasciare l’isola, insieme con i suoi collaboratori francesi, partendo alla volta di Gerusalemme. Rimasta sola, M. dovette ampliare il Consiglio di reggenza, affiancando al vescovo di Siracusa e al protonotaro Matteo d’Aiello, Gentile e Gualtiero, rispettivamente vescovo e decano di Agrigento, l’arcivescovo di Salerno Romualdo Guarna, il vescovo di Malta Giovanni, Ruggero conte di Geraci, il conte di Molise Riccardo de Mandra, Rodrigo di Montescaglioso e il gaito Riccardo. Il nome di M. continuò a figurare negli atti pubblici, accanto a quello del figlio, ma il vero potere passò nelle mani dei consiglieri regi, che espulsero dal Regno il conte di Gravina, Gilberto, nonostante l’opposizione di Margherita.
Nel dicembre 1171 Guglielmo II, divenuto maggiorenne, iniziò a regnare da solo. Nel 1172 M. pianse la morte del figlio minore Enrico, principe di Capua.
Lontana dagli intrighi di palazzo, M. si dedicò all’edificazione e dotazione di edifici monastici. Nel 1172 iniziò a costruire il monastero benedettino di S. Maria di Maniace, lo dotò di vastissimi possedimenti e nel 1174 l’assoggettò all’abbazia di Monreale, col benestare dell’arcivescovo di Messina. Inoltre, donò un grande giardino all’abbazia di S. Spirito, fondata a Palermo da Gualtiero, il decano della Chiesa di Agrigento, diventato nel frattempo arcivescovo di Palermo. Secondo Caietani, Rosalia, la nobile fanciulla nata ed educata a Palermo presso la Curia regia normanna e destinata a essere innalzata agli altari, sarebbe stata particolarmente cara a Margherita.
M. morì a Palermo il 31 luglio 1183 e fu sepolta nel duomo di Monreale, dove furono trasferite le spoglie del marito Guglielmo I, dei figli Ruggero ed Enrico e dove, nel 1189, fu seppellito anche Guglielmo II.
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