DALMET (Dalmaz), Margherita
Nacque nel 1739 a Costantinopoli, da Giovanni Battista, speziale piemontese. In questa città conobbe Paolo Renier, bailo della Serenissima dal 1769 al 1773. Le notizie giunteci sul conto della D. sono tutte successive e derivate da questo incontro, perché di lei si dovettero occupare di riflesso i biografi del nobile veneziano. Era vedova di un certo Bassi e i cronisti affermano che prima del matrimonio con il Renier la D., donna di grande bellezza, sarebbe stata ballerina da corda e funambola. Con queste nozze il Renier attirò su di sé l'ostilità e la malevolenza del chiuso patriziato veneziano: il matrimonio, tra l'altro, non venne mai segnato nel registro riservato ai nobili, il Libro d'oro, nel quale Paolo Renier risulta sposato una sola volta, con Giustina Donà, morta nel 1751.
Tuttavia, queste difficoltà non impedirono al Renier di essere eletto doge della Repubblica di Venezia nel gennaio del 1779: si trattò di un'elezione tutt'altro che limpida. Giuseppe Gradenigo, il quale era segretario dei Senato e nemico del Renier, scrisse che egli "udendo le voci maligne di traditor de la patria, di subdolo, di ammogliato con donna plebea, già ballatrice su la corda e di costumi infami, che da per tutto publicamente si udivano; e sentendo il popolo commosso da queste voci... fu costretto far virtù per forza e tirar fuori una grossa partita di quei go mila zecchini, che si dice guadagnati a Costantinopoli, e far tacere gli uni e gli altri".
Secondo il Molmenti i discendenti della famiglia Renier avrebbero tentato di accreditare un'altra versione dei fatti: Paolo Renier avrebbe conosciuto la D. ancora bambina a Costantinopoli, in una scuola cattolica, la avrebbe condotta a Venezia e fatta educare. "Essendo il Renier andato poi a visitarla, seppe che Margherita ardeva d'amore per lui, un po' maturo, ma ancora assaibell'uomo. Egli la sposò e l'amò svisceratamente". Il Molmenti, che riporta questa versione, non la accredita, perché non provata dai documenti.
Certo è, ad ogni modo, che il doge dovette subire il suo ascendente, e sebbene nelle cerimonie pubbliche egli avesse al fianco la nipote Giustina Renier, pure la D. fu chiamata "dogaressa" dà tutti. Nel testamento la chiama la "nobile signora Margherita Dalmet, di qualità cristiane e oneste"; le lasciò in proprietà 4.000 ducati, argenterie, gioie, vesti, biancheria ed arredi che aveva portato in dote e accresciuto durante il matrimonio; aggiunse a ciò un vitalizio di Circa 2.000 ducati annui provenienti dalla rendita di case a Venezia e di proprietà terriere. Per salvaguardarla arriva a minacciare di convertire l'usufrutto lasciatole in proprietà assoluta qualora non fossero state rispettate le disposizioni che la riguardavano.
A tutti gli obblighi derivanti dall'amministrazione delle proprietà Renier, la D. seppe abilmente tenere testa secondo quanto risulta dal suo testamento, in cui predispone un buon numero di opere di carità e" di devozione, e in cui dimostra affetto per la famiglia Renier, eccezione fatta solo per Giustina Renier Michiel, per cui non spende una parola. Si può forse supporre che all'iniziale ostilità per il diverso ceto sociale di provenienza, si sia aggiunta una rivalità, tra queste due donne, per l'amministrazione della casa: Giustina come padrona di casa ufficiale, la D. come amministratrice e donna di fiducia nell'ombra. Ad ogni modo la D. rese alla famiglia Renier i beni avuti in usufrutto, "conservati e migliorati anco a mio discapito", come ricorda nel testamento.
La D. è stata identificata come la donna vista a Venezia da Goethe nel 1786 impegnata in una causa giudiziaria. Qualcuno dubita che si trattasse di lei e ritiene fosse invece la nuora Cecilia Manin, la cui famiglia aveva allora una causa per un fedecommesso con i Semitecolo; ma il Molmenti propende a credere che si sia trattato proprio della D., avendole il doge affidato la gestione economica della casa e degli affari. Così la descrive Goethe nel suo Viaggio in Italia: "... la controversia era della massima importanza, essendo la lite mossa contro lo stesso doge, o meglio contro sua moglie, la quale assisteva in petto ed in persona, assisa nel suo banco, avvolta nel suo zendado e non separata dal querelante che da un brevissimo spazio. Era una matrona di una certa età, dalla figura distinta, dalla fisionomia regolare, su cui si disegnava un'espressione severa e, fino a un certo punto, disdegnosa".
Lo stesso anno, il 22 giugno 1786, il doge aveva scritto di suo pugno, contro le prescrizioni dell'etichetta, una lettera accorata a Girolamo Festari di Valdagno, medico ispettore delle fonti. termali di Recoaro, per raccomandare alle sue attenzioni la consorte.
Dopo la morte del doge avvenuta nel febbraio 178% la D. si sposò per la terza volta con Federico Bonlini, anch'egli nobile, ma neppure questo matrimonio si trova iscritto nel Libro d'oro. È stato anche insinuato che il Bonlini potesse essere stato l'amante della D. quando ancora il doge era in vita; a questo alluderebbe il distico: "Haud dabit adriacum comu tibi Paulo senatus / infando est pede cornua dat capiti" (Da Mosto, 1966, p. 640).
Ad ogni modo nel testamento la D. esonera da tutte le responsabilità Bonlini per eventuali questioni da lei lasciate in sospeso. Il Cicogna testimonia la presenza della D. agli spettacoli in onore di Napoleone che ebbero luogo nel 1807 al teatro La Fenice. Nel 18 16 tenne a battesimo il nipote Paolo Dolfin, regalando alla madre una crocetta di brillanti del valore di 15 zecchini.
Morì l'11 genn. 1817, a Venezia, nella sua casa in S. Eustachio al numero 1941 nella parrocchia di S. Cassan. Ella dispose nel testamento di essere sepolta nella tomba dei Renier nella chiesa di S. Nicola dei Tolentini, ma di questa sepoltura il Da Mosto non avrebbe trovato traccia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Tribunale civile, Rubr. seconda. Volontaria Giurisdizione, 1817, I, fasc. 5 (testamento della D.); Venezia, Civico Museo Correr, Cod. Cicogna, 1904, 2225, 2032, 3207, 2230-34, 3231, 3277, 3294; W. Goethe, Viaggio in It., tr. it. di E. Zaniboni, Firenze 1952, pp. 511 ss.; P. Molmenti, La dogaressadi Venezia, Torino 1887, pp. 366-375; F. Nani Mocenigo, Mem. venez., Venezia 1906, pp. 454 s.; P. Molmenti, La st. di Venezia nella vita priv. dalleorig. alla caduta della Repubblica, Bergamo 1908, pp. 423 s.; S. Edgcumbe, The dogaressas of Venice, London 1910, pp. 308-10; A. Richardson, Thedoges of Venice, London 1914, pp. 368 s.;A. Da Mosto, I dogi di Venezia con particolare riguardoalle loro tombe, Venezia 1939, pp. 309-10; Id. I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 1966, pp. 636-40; T. M. Marceffino, Unaforte personalità nel Patriziato veneto del Settecento: Paolo Renier, tesi di laurea, università di Trieste, 1959.