MARGHERITA d'Austria, duchessa di Firenze, poi duchessa di Parma e Piacenza
MARGHERITA (Margarita) d’Austria, duchessa di Firenze, poi duchessa di Parma e Piacenza. – Frutto d’un fugace amore dell’imperatore Carlo V ventunenne – e concepita allorché questi, dal 26 ott. al 5 novembre e dal 9 novembre al 12 dic. 1521, soggiornò ad Audenarde (in fiammingo Oudenaarde) nel castello di Borgogna –, nacque, il 5 luglio 1522, nella casa d’uno zio materno di cognome van der Coye, a Pamele-Audenarde. Fu battezzata nella parrocchiale della medesima località con il nome di Margarita o M., in onore della zia dell’imperatore, allora governatrice dei Paesi Bassi.
La madre di M., Jeanne (figlia primogenita di Gilles van der Gheynst, lavorante nella fabbrica d’arazzi, e di Jeanne van der Coye) era un’avvenente giovane popolana al servizio del barone di Lalaing. A favore della donna, Carlo V dispose il 1° ag. 1522 che fosse corrisposta la rendita annua di 24 lire parigine, equivalenti a 80 fiorini; Jeanne si accasò onorevolmente, il 13 ott. 1525, con Jean van den Dycke (procuratore fiscale del Consiglio di Brabante), al quale dette almeno due figlie e un figlio; morì nel 1542.
M., sottratta alla madre, fu affidata ad André de Douvrin, coppiere di Ferdinando, il fratello dell’imperatore, nella casa del quale, a Bruxelles, crebbe affettuosamente accudita. Su di lei vegliò da Malines la governatrice dei Paesi Bassi. Morta costei il 30 nov. 1530, subentrò nella carica la sorella di Carlo V, Maria d’Ungheria, che fissò la propria residenza nel palazzo Coudenberg a Bruxelles e si occupò direttamente di M., la quale – istruita nel leggere e nello scrivere da Jean de Beauvais e iniziata alla musica e alla danza – manifestò una promettente intelligenza e una spiccata destrezza negli esercizi fisici, tant’è che condivise la passione per la caccia e i cavalli della zia e l’accompagnò nelle cavalcate per pianure e foreste.
Figlia naturale dell’imperatore, fu comunque considerata una Asburgo da educare accuratamente, perché potenziale strumento della strategia matrimoniale che ispirava i calcolati movimenti della politica imperiale. Già nel 1526 M. fu oggetto di un’ipotesi, presto tramontata, di unione con Ercole d’Este nel tentativo di arginare le propensioni filofrancesi della corte ferrarese. Pertanto M. venne adoperata nella ricucitura dei rapporti tra Carlo V e il papa Clemente VII dopo il sacco di Roma. Tra le clausole del trattato di Barcellona del 29 giugno 1529 figurò, infatti, l’impegno ad accasare M. – alla cui mano aspirava vanamente anche il marchese di Mantova Federico Gonzaga – con l’allora duca di Penne Alessandro de’ Medici, nipote del pontefice e prossimo duca di Firenze, atto che sostanzialmente legittimò i natali di Margherita. Quando Carlo V, il 20 genn. 1531, arrivò a Bruxelles, M. vide per la prima volta il padre ed ebbe modo di conoscere il futuro sposo.
Il 7 genn. 1533, M., ormai destinata a stabilirsi in Italia, mosse da Bruxelles con un nutrito seguito di dame e cavalieri, paggi, valletti, musici, religiosi: un’autentica spedizione affidata al vescovo di Tournai, Charles de Croy, e alla protezione armata del duca d’Aerschot.
Il viaggio fu rallentato dalla neve e dalla pioggia. A metà aprile giunse nella villa di Cafaggiola, dove le andarono incontro le più elette dame fiorentine insieme con Caterina de’ Medici, la futura regina di Francia. Il 16, attesa alle porte della città da Alessandro de’ Medici, M. fece il suo ingresso a Firenze, salutata dalle artiglierie. Per lei si replicò la spettacolare festa dell’Annunciazione e seguirono dieci giorni di spettacoli e attrattive: caccia al toro, palio, partite di calcio, balli, commedie, conviti.
Dopo una sosta a Roma, il 27 maggio 1533 M. giunse a Napoli, dove visse per tre anni, in attesa della maturazione dei tempi delle nozze. Fu ospitata nel palazzo del viceré Pietro di Toledo, sotto l’attenta e premurosa tutela della principessa di Sulmona Francesca di Montebello, vedova del viceré Carlo di Lannoy. Ed è questa dama che interpellò Carlo V a proposito della dicitura con la quale M. poteva firmare la propria corrispondenza; e l’imperatore, con lettera del 18 agosto, stabilì che M. firmasse come «Margarita d’Austria».
Visitata più volte dal promesso sposo, sempre con lei prodigo di preziosi regali, M., nel novembre 1535, ebbe modo di rivedere il padre a Napoli reduce dalla vittoriosa spedizione di Tunisi. E sempre a Napoli – dove l’imperatore non accolse le proteste dei fuorusciti antimedicei contro Alessandro, neoduca di Firenze – il 29 febbr. 1536 il promesso sposo le donò l’anello nuziale, il giorno dopo la stipula del meticoloso contratto matrimoniale. Mossasi da Napoli e raggiunta Pisa via mare, M. si portò, il 28 maggio, nella splendida villa medicea di Poggio a Caiano. Rimessasi dalle fatiche del viaggio, il 31 fece il proprio ingresso – anche questo salutato con festeggiamenti – a Firenze, dove, in attesa delle nozze, alloggiò nel palazzo di Ottaviano de’ Medici, nei pressi del convento di S. Marco. Il 13 giugno, nella chiesa di S. Lorenzo, fu celebrata la cerimonia nuziale.
La felicità, per lo meno apparente, dell’unione ebbe fine il 6 genn. 1537, quando Alessandro – caduto nel tranello d’un allettante appuntamento amoroso – venne trucidato. Privata del marito, di cui ereditò i beni secondo le convenienti disposizioni dell’accordo nuziale, M. si firmò allora «la trista Margarita». Il 7 genn. 1537 il cardinale Innocenzo Cibo la indusse a trasferirsi dal palazzo Medici di via Larga nella fortezza nuova, poi risistemata nel palazzo di Ottaviano de’ Medici. Ma non era opportuno che rimanesse ulteriormente a Firenze. Salvo brevi soggiorni a Pisa ed Empoli, fu a Prato che M. dimorò, prima nella vicina badia vallombrosiana di Grignano, poi nel palazzo della prepositura (l’attuale palazzo vescovile). A Prato M. volle risentire le prediche di Bernardino Ochino, da lei già apprezzato a Napoli. Personalità ancora acerba, a Prato M. maturò, in attesa delle decisioni paterne.
Intanto Carlo V – sempre determinato a valorizzarla quale pedina matrimoniale – la incluse nelle manovre d’una politica condizionata, in positivo e in negativo, dai rapporti con la S. Sede, specie con il pontefice in carica. Paolo III Farnese aveva a cuore l’affermazione della propria famiglia, ma anche l’imperatore era interessato a stabilire una migliore intesa con il papa e a favorire, tramite la figlia, l’estensione dell’influenza cesarea nella penisola. Lasciata cadere l’autocandidatura di Cosimo de’ Medici alla mano di M. – la quale, par di capire, non lo avrebbe disdegnato come marito –, già il 9 febbr. 1538 Carlo V autorizzò Juan Fernández Manrique, marchese d’Aguilar, a trattare il patto matrimoniale tra M. e Ottavio Farnese, tredicenne nipote del pontefice in quanto figlio di suo figlio Pier Luigi. Nel giugno 1538 fu siglato a Genova l’accordo matrimoniale ufficiale dal papa e dall’imperatore, malgrado M. fosse tutt’altro che lieta. Seguì la stipulazione il 12 ottobre, nell’aula costantiniana del palazzo apostolico vaticano, del contratto nuziale rogato dal protonotario apostolico Filippo Archinto alla presenza di Paolo III, di Pier Luigi e Ottavio Farnese e della corte, mentre Carlo V e M. furono rappresentati per procura dall’ambasciatore cesareo marchese d’Aguilar. A M., che entrò solennemente a Roma il 3 novembre, non restò che deporre le nere vesti vedovili e ratificare, il 4 novembre, il contratto; le nozze furono celebrate nello stesso giorno con fasto, nella cappella Sistina, ma la convivenza degli sposi fu rinviata.
Alloggiata in un primo tempo a palazzo Cesi, M. si trasferì successivamente a palazzo Medici – cospicuo pezzo dell’eredità vedovile – che, per essere abitato da «madama d’Austria» (anche così era chiamata M.), venne detto palazzo Madama. Ottavio Farnese non vi era benvenuto. Agli occhi di M. appariva goffo e maldestro, rozzo e immaturo; ella ne disdegnava la vicinanza e ne screditava l’idoneità ai cosiddetti doveri coniugali. La mancata consumazione del matrimonio ingenerò uno scandalo, che fece parlare e sparlare tutta Roma. Nel montare delle chiacchiere, Carlo V s’irrigidì, ma si addensavano anche le ire dei Farnese sulla sposa recalcitrante. Si diceva che M. fosse mal consigliata; si sospettava che Hurtado de Mendoza e la moglie, a lei addetti, assecondassero la sua riluttanza. Giovan Battista Pallavicino, un carmelitano in odore d’eresia e stregoneria, cui M. appariva legata, fu arrestato e minacciato di tortura. Certo è che M. frequentava Vittoria Colonna e che l’incontro con l’aurorale Compagnia di Gesù segnò una svolta nella sua esistenza, divenendo suoi confessori il padre Giovanni Codure, Giacomo Laínez e pure Ignazio di Loyola.
Il 18 ott. 1540, con gran soddisfazione del papa, dei Farnese, di Carlo V, il matrimonio fu consumato. È probabile che M., disciplinando la propria personalità nel quadro della direzione spirituale gesuitica, sia stata indotta all’adempimento dell’attesa congiunzione con il marito. Certo è che la suggestione di Ignazio di Loyola impresse negli anni romani di M. uno slancio attivamente caritativo, un fervore religioso operativo. Lo mostrarono la partecipazione alla cerimonia del battesimo d’un ebreo e al matrimonio del convertito con una cortigiana ravveduta, le sovvenzioni alla casa dei catecumeni, la perorazione presso il pontefice delle buone sorti della Compagnia, le elemosine alla casa degli orfani, l’assistenza agli ammalati e ai mendicanti, l’adoperarsi per le prostitute pentite, i tanti versamenti alla stessa Compagnia.
Ma non per questo il matrimonio di M. fu felice: non ci fu mai una piena intesa; la lontananza prevalse sulla convivenza; rarissimi i rapporti fisici, mentre circolarono voci maligne sulla frigidità di Margherita. Comunque l’unione colmò di felicità il pontefice, rallegrò Carlo V, assicurò casa Farnese con la nascita, il 27 ag. 1545, dei gemelli Carlo (che sarebbe morto a 4 anni) e Alessandro: il primo chiamato come il nonno materno, il secondo come il papa, già cardinale Alessandro Farnese, il bisnonno paterno. Alessandro garantì la discendenza farnesiana e fece introiettare con l’amore materno, nella coscienza di M., appartenenza e orgoglio farnesiani. Anche Ottavio non apparve più disprezzabile ai suoi occhi, allorché tornò, nel 1544, dalla spedizione di Carlo V ad Algeri, nella quale si era fatto onore.
Lasciata Roma, il 2 luglio 1550 M. fece il suo ingresso solenne a Parma dove Ottavio, dopo convulse traversie, s’era insediato il 25 febbraio. Restò a Parma sei anni, fino al 14 ott. 1556, allorché partì per Bruxelles. Qui fu accolta dal fratello Filippo II che poi raggiunse in Inghilterra la moglie, la regina d’Inghilterra Maria Tudor.
Rientrata a Parma nel giugno del 1557, M. patì la convivenza con il marito, perciò il 31 agosto preferì insediarsi a Piacenza dove, il 9 dic. 1558, venne posta la prima pietra di palazzo Farnese, concepito quale sua residenza ufficiale.
Nell’aprile 1559 le pervenne, da parte di Filippo II, l’offerta della carica di governatrice dei Paesi Bassi. M. accettò e in giugno intraprese il viaggio per Bruxelles, dove giunse il 25 luglio. Il 7 agosto, a Gand, fu proclamata governatrice e il 25 Filippo II partì per la Spagna, caricando su M. l’onore e l’onere della «conservazione» di quelle province: da un lato, Filippo sperava che la nascita fiamminga di M. potesse giovare al governo dell’area, dall’altro ne imbrigliava l’autonomia decisionale con meticolose istruzioni segrete che, di fatto, finirono con il privilegiare il signore di Granvelle Antoine Perrenot, vescovo di Arras. Altro intento di Filippo II, nel conferire il prestigioso incarico a M., fu quello di smorzare le ire di Ottavio Farnese per la protratta permanenza della guarnigione spagnola nella cittadella di Piacenza. A ogni buon conto, per sventare eventuali velleità antispagnole del cognato, Filippo II si fece accompagnare a Madrid da Alessandro, il figlio di Ottavio e di M. che rimase a corte come una sorta di ostaggio di lusso.
Per oltre otto anni M. fu impegnata nei Paesi Bassi in un succedersi di giorni defatiganti, scanditi dalle pratiche religiose, dal disbrigo della corrispondenza, dalle riunioni del Consiglio di Stato. Tanto impegno e dispendio di sé furono amareggiati però dall’angoscia di dover condividere il potere con l’ingombrante presenza di Granvelle, arcivescovo di Malines nel 1560 e cardinale nel 1561. Con il tempo M. finì con l’avversarlo e con il rallegrarsi del suo allontanamento nel 1564. Il 1566 fu politicamente un anno difficile per M. a causa della richiesta, da parte della nobiltà confederata, dell’abolizione degli editti antiereticali e della cessazione dei processi in materia religiosa, mentre dilagavano gli assalti alle chiese e le distruzioni d’immagini sacre. Ma, non senza energia, nel 1567 riuscì ad arginare la ribellione, riconquistando città perdute senza ricorrere a metodi brutali. Anche Anversa cedette e M. vi entrò con un grande spiegamento di forze, ordinando l’esecuzione per i praticanti l’eresia con l’editto del 24 maggio.
Ma da lungi Filippo II andò maturando il giudizio che M. non fosse abbastanza severa e rigorosa nelle punizioni. Già nel marzo 1567, pertanto, decise d’inviare nelle Fiandre il duca d’Alba Fernando Álvarez de Toledo, esponente di un gruppo politico fautore di una linea di rigore implacabile e spietato: la designazione escluse ogni margine di compromesso e stroncò il processo di pacificazione. E M. avvertì la decisione come una sconfessione che la esautorava proprio quando le pareva d’esser riuscita a controllare la situazione, conscia dell’avversione che il duca d’Alba ispirava e decisa a non condividerne i metodi. Quando, il 22 ag. 1567, questi giunse a Bruxelles con l’autorità e la piena fiducia riservategli da Filippo II, M. chiese al fratello licenza di lasciare le Fiandre.
L’autorizzazione regia alla partenza arrivò il 9 novembre e il 30 dicembre M. intraprese il viaggio per l’Italia, non senza aver protestato con il duca d’Alba per l’eccessivo carico impositivo richiesto dall’accresciuta guarnigione spagnola a Bruxelles e avere insistito con Filippo II di essere clemente e misericordioso.
Scortata da una compagnia d’archibugieri a cavallo agli ordini del conte Peter Ernst von Mansfeld, M. arrivò a metà del febbraio 1568 nella diletta Piacenza. Qui incontrò il marito Ottavio, il figlio Alessandro e la nuora Maria di Portogallo e apprese che Lamoral conte di Egmont– sul quale aveva fatto tanto affidamento durante il governo nei Paesi Bassi – era stato decapitato, il 5 giugno 1568, per ordine del duca d’Alba. La notizia la turbò e indignò.
All’inizio del 1569 si diffuse la notizia che M. avesse intenzione di trasferirsi nei suoi feudi abruzzesi per ragioni di salute e per l’incompatibilità con il clima padano. Ma era opinione diffusa che il vero motivo fosse costituito dalla insopportabile convivenza con il marito, da cui la dividevano incomprensioni profonde che la mediazione prelatizia del cognato cardinale Alessandro non riuscì a sanare.
M. in Abruzzo soggiornò ora a Campli ora a Penne, ora a Leonessa, soprattutto a Cittaducale e a Montereale. Da Filippo II – cui continuava a scrivere sovente – M. attese un qualche tangibile privilegio o particolare concessione che desse risalto e prestigio politico alla sua permanenza in Abruzzo. Il 21 sett. 1572 a Cittaducale – dove, intanto, il 1° dic. 1571 aveva fissato Ordini, leggi e tavole… per tutti li suoi Stati d’Abruzzo – le giunse il privilegio del re che le attribuiva il governo dell’Aquila. Il 16 dic. 1572 M. fece il suo solenne ingresso nella città, insediandosi nel palazzo del capitano, all’uopo ampliato e ristrutturato, in veste di governatrice.
Dall’Aquila, M. mantenne un rapporto affettuoso con il fratello don Giovanni d’Austria, che si recò a trovarla nel febbraio del 1573. Quando il principe assunse il governo dei Paesi Bassi fu a M. che chiese consiglio, ritenendola sempre la persona più adatta a quella carica. L’opinione circa l’opportunità di un eventuale ritorno di M. nelle Fiandre si fece strada pure in Filippo II, che aveva visto fallire il duca d’Alba e dovette inghiottire l’amaro boccone della firma, il 12 febbr. 1577, da parte di don Giovanni d’Austria, alla pacificazione di Gand dell’8 nov. 1576. M. non dovette essersi dispiaciuta del mancato successo del duca d’Alba e intese la secca accoglienza riservata a questo da parte del re come un risarcimento per l’umiliazione subita a Bruxelles.
Morto il 1° ott. 1578 don Giovanni d’Austria, i pieni poteri passarono, in via provvisoria, ad Alessandro Farnese, il figlio di M.; il 27 ott. 1579, tramite l’ambasciatore spagnolo a Roma don Juan de Zúñiga, Filippo II le offrì il governo dei Paesi Bassi. Senza consultarsi preventivamente con il marito e con il figlio, M. accettò e, lasciata L’Aquila, il 26 giugno 1580 giunse a Namur. Qui incontrò Alessandro, il cui mandato era scaduto il giorno stesso della nomina della madre, anche se di fatto era prolungato. Con l’arrivo di M. i poteri di Alessandro avrebbero dovuto essere naturalmente ridimensionati, ma quel che Filippo II voleva era una sorta di diarchia, in virtù della quale a M. sarebbe spettato il governo civile e ad Alessandro il comando militare. M. – per obbedienza al sovrano – era incline ad accettare la bipartizione delle competenze, ma non Alessandro, sino allora capo supremo, di fatto, e nel civile e nel militare, che avrebbe preferito lasciare le Fiandre piuttosto che vedere diminuiti i suoi poteri.
Pur addolorata per l’irrigidirsi del figlio, M. finì con il persuadersi che dalla doppia autorità sarebbe sorta solo confusione e si dichiarò pronta a fare un passo indietro a vantaggio di Alessandro. Nonostante le incertezze e la contrarietà di Filippo II, Alessandro finì con lo spuntarla: all’inizio del 1582 Filippo II gli riconobbe l’esercizio per intero del comando supremo, ma si dovette attendere il luglio 1583 perché M. fosse autorizzata a partire.
Lasciata Namur il 15 settembre, il 17 ottobre M. giunse a Piacenza, il 23 a Parma donde, il 27, ripartì alla volta di Ferrara. Imbarcatasi il 4 novembre, sbarcò a Ortona, acquistata all’inizio del 1582 per 54.000 ducati, dall’indebitatissimo principe di Sulmona. In questa città – dove intendeva soggiornare d’inverno per evitare il freddo dell’Aquila – avviò la costruzione d’un palazzo che degnamente l’accogliesse. I lavori iniziarono il 12 marzo 1584. Ma nel palazzo non ebbe mai modo d’abitare, perché non era ancora ultimato quando, gravemente ammalata, M. morì a Ortona il 18 genn. 1586.
La salma – dopo esequie solenni all’Aquila – fu sepolta, come M. stessa aveva disposto per testamento, a Piacenza, nella chiesa di S. Sisto, dove, nel transetto sinistro, è tuttora visibile il monumento funebre, iniziato, nel 1593, su disegno di Simone Moschino.
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