BICHI, Margherita
Nacque a Siena il 24 genn. 1480 in seno a una delle famiglie più cospicue del patriziato cittadino, illustrata da cavalieri di Rodi, magistrati e alti prelati.
Terzogenita di Bernardino di Pietro Bichi e di Antonia Tegliacci, apparteneva a quel ramo della famiglia che traeva il titolo marchionale dai possessi di Rocca Albegna e di Vallerona. Dei due fratelli maggiori, Eustochia e Camillo, mancano notizie biografiche; il fratello minore, Bernardino, fu ambasciatore della Repubblica presso Carlo V fino al 1522, anno in cui morì.
Nel 1497 la B. andò sposa a Francesco di Bonsignor Bonsignori, del quale però nel 1505 era già rimasta vedova.
Sigismondo Tizio, contemporaneo della B. e per un certo periodo suo confessore, asserisce che già prima della morte del marito ella avrebbe lasciato casa e figli per dedicarsi, nel convento di S. Stefano, alle sue visioni profetiche, sostenuta in questa decisione da alcuni giovani canonici "nimis credulis" (G. A. Pecci,Mem. storico-crit. della città di Siena, II, Siena 1755, pp. 211-12). Nessun'altra narrazione fa però menzione di figli, e i biografi sono concordi nel porre il mutamento di vita della B. subito dopo la morte del marito. Ella donò gran parte dei suoi beni ai poveri e si ritirò con pochi servitori a fare una vita di raccoglimento, di preghiera e di carità, sotto la guida dei padri conventuali di S. Francesco, e in particolare di Giacomo di San Gemignano, prendendo ben presto ella stessa l'abito di terziaria e acquistandosi la venerazione dei suoi concittadini. Di salute cagionevole, si dedicò specialmente all'assistenza dei malati negli ospedali. Dalle descrizioni dei biografi, caratterizzate da grande sobrietà e da mancanza di concessioni al gusto agiografico, la sua pietà appare più attiva che visionaria. Ebbe tuttavia fama di godere del dono della profezia; ma il suo profetismo si manifestava nei momenti critici della vita pubblica, come guidato da una vigile sensibilità per le sorti della "libertà" senese: esortò il cugino Alessandro Bichi, già consorte di Pandolfo Petrucci e dal 1524 effettivo detentore del potere, a ritirarsi, annunciandogli in caso contrario la morte; dopo la morte di Alessandro e l'espulsione dei suoi partigiani, previde il tradimento di Lucio Aringhieri, che nel 1526 cercò di far rientrare i fuorusciti con l'insidia; profetizzò l'arrivo degli eserciti pontificio e fiorentino che in quello stesso anno strinsero d'assedio la città.
Clemente VII, incitato dai fuorusciti, aveva deciso d'accordo coi Fiorentini un attacco in forze contro la città ritornata all'alleanza imperiale. Nel mese di luglio la Repubblica di Siena era stata presa d'assalto da cinque eserciti per via di terra e dalla flotta di Andrea Doria per via di mare. Il 17 luglio la città era stretta d'assedio, Talamone e Porto Ercole erano caduti, la forte artiglieria nemica era puntata contro la città e cominciava a smantellare le mura; non c'era da sperare, nel tempestivo intervento degli eserciti imperiali. La B. divenne l'animatrice della resistenza morale di Siena: il suo biografo più attendibile narra che il suo intervento fu richiesto dalle autorità cittadine, timorose che senza un conforto soprannaturale gli assediati potessero divenire preda del panico. La B. presentò l'assedio come una punizione celeste per i peccati della città, e confortò i cittadini a sperare nella vittoria, qualora avessero adempiuto alle condizioni che essa, ispirata dalla Vergine, dettava loro. Prescrisse un pubblico atto di contrizione e di devozione - un triduo di digiuno seguito dalla confessione e comunione di tutta la cittadinanza, e da una processione solenne per portare in Duomo un gonfalone consacrato all'Immacolata Concezione - e il rinnovamento dell'atto di donazione della città e delle sue chiavi alla Vergine che era stato compiuto dopo la battaglia di Montaperti. Le cerimonie vertevano sul principio dell'Immacolata Concezione: ad essa il giorno della vittoria e i seguenti dovevano essere consacrati, e chiunque sostenesse l'opinione contraria doveva essere bandito dal territorio della Repubblica. Quest'ultima condizione svela la presenza, dietro la B., dell'ispirazione dei francescani, e dà a tutta la vicenda il carattere di episodio della loro secolare controversia con i domenicani attorno alla questione della concezione di Maria. Le proposte della B. non passarono senza incontrare una vivace resistenza. Si sottolineò l'incompetenza della Repubblica a emettere giudizi in materia teologica, specialmente là dove la Chiesa non si era ancora pronunciata (nel 1483 Sisto IV aveva proibito agli Ordini dei francescani e dei domenicani di proseguire la controversia sull'argomento); si avanzarono dubbi sull'autenticità dell'ispirazione della B. e riserve sulla sua personale rettitudine; forse qualcuno si ricordò anche che in passato essa era stata accusata di calunnia e imprigionata. Il canonico Giovan Battista Pecci, allora confessore della B., e suo portavoce, dovette rassicurare l'assemblea circa l'umiltà di lei e rendersene personalmente garante. Era chiaro a tutti, e specialmente alla B., che una sconfitta non sarebbe stata senza gravi conseguenze per lei, poiché allora il suo consiglio si sarebbe rivelato inganno satanico. Ella stessa si offrì di sottostare in tal caso a qualunque strazio e supplizio.
Finalmente il 21 luglio il Consiglio approvò la proposta della Bichi. Un'eco della diffidenza che la sua figura e il suo intervento suscitarono fra i cittadini più responsabili si può cogliere ancor oggi nel tono con cui il Malavolti (Historia di Siena, Venezia 1589, f. 126 v) parla della donazione delle chiavi alla Vergine, e del fatto che egli non ritenne di dover nemmeno menzionare la Bichi. Anche il Tomasi (citato da Giovan Antonio Pecci), pur non dando sulla B. un giudizio esplicitamente negativo, nota che "il Popolo, come l'animo da qualunque specie di religione è tocco, più alle vecchierelle che ai capitani obbedisce". In effetti la fiducia di lei nella vittoria si era a tal punto comunicata alla massa dei cittadini che, quando il piano di battaglia da lei suggerito come ispiratole da Maria nell'estasi, e approvato nonostante la sua temerarietà, fu rimandato, si generò una grande confusione e si dovette temere una sollevazione della milizia popolare convocata per una sortita e messa in ordine di battaglia. L'attacco fu poi dato la sera del 25 luglio. Le forze assoldate dai Senesi, divise in due schiere, secondo la proposta della B., e fatte uscire l'una dalla porta di Fontebranda al comando di Alessandro Politi, l'altra dalla porta di Camollia al comando di Giovanni Maria Pini, e seguite dalla milizia popolare, riportarono un trionfo: la paura che invase gli alleati, la loro fuga davanti a forze tanto inferiori, l'abbandono di vettovaglie, carriaggi, artiglierie in mano al nemico apparvero anche agli occhi disincantati di Francesco Vettori (lettera del 5 ag. 1526 al Machiavelli, in Lettere, Milano 1961, p. 482) fatti di natura eccezionale. La vittoria fu interpretata come un intervento della Vergine a favore del riconoscimento della sua immacolata concezione; in seguito ad essa almeno i domenicani della chiesa e del convento del S. Spirito lasciarono effettivamente la città.
Dopo la battaglia la vita della B. ritorna nel silenzio: non conosciamocon sicurezza nemmeno la data della sua morte, per quanto essa sia da collocare nell'anno 1535. Di quell'anno è infatti la deliberazione del capitolo della chiesa di S. Francesco di consentire la sepoltura di lei davanti all'altare della Immacolata Concezione, alla cui erezione aveva consacrato parte del suo patrimonio (altare e tomba furono distrutti nell'incendio del 1555).
Secondo lo Sbaraglia (Supplementum et castigatio ad sculptores trium Ordinum S. Francisci a Waddingo aliisve descriptis, Roma 1916, p. 516, n. 2757), la B. avrebbe coltivato gli studi letterari e avrebbe lasciato alcuni opuscoli spirituali, dei quali però non si trova traccia nella Biblioteca comunale di Siena.
Per quel che concerne l'iconografia della B. è opportuno ricordare che Francesco Vanni nella Storia del Paradiso la dipinse fra i santi e i senesi che circondano Maria per rappresentare la figura topografica di Siena. Un ritratto si conservava alla fine del sec. XVII presso i marchesi Bichi. Esiste anche una incisione in rame premessa alla biografia del Luti. Un'altra immagine si deve a Cesare Maccari negli affreschi della cupola della basilica di Loreto: fra le lunette dedicate alle litanie lauretane, quella dell'Advocata Senensium rappresenta una turba di Senesi guidati dalla Bichi.
Fonti e Bibl.: La biogr. uffic. è quella di G. B. Luti,Vita della ven. serva di Dio M. B. nobile vedova senese, Siena 1699. Il Luti però sembra dipendere da una fonte manoscritta più completa: G. Bichi,Raccolta di fatti per servire alla descr. della vita della veneranda d. M. Bichi, che si conserva nella Bibl. Comunale di Siena (K. VIII. 49). Vi sono inoltre numerosi resoconti della battaglia, manoscritti e a stampa. Fra essi: A. M. Orlandini,La gloriosa vittoria per mirabile maniera conseguita dai Senesi nel mese di luglio dell'anno 1526, Siena 1526; Siena, Bibl. Com., ms. A. VI. 15: S. Conti,Vittoria maravigliosa ottenuta li 25 luglio dai Sanesi.