FULLER, Margaret (Sarah Margaret)
Nacque a Cambridgeport, sobborgo di Boston, il 23 maggio 1810 da Timothy, avvocato, e da Margaret Crane. Prendendosi personalmente cura della sua istruzione, il padre la sottopose a una disciplina di studio severissima con cui mirava a farne una specie di bambina prodigio. La F. parve rispondere bene alle sollecitazioni (a sei anni leggeva già Orazio e Ovidio in latino), ma l'impegno dello studio, assorbendone totalmente le giornate, la privò di un'infanzia normale e rischiò di alterare il corretto sviluppo della sua personalità. Responsabilizzata più di quanto consentisse la sua età, pagò con precoci disturbi del sonno questa pianificazione ossessiva fatta di lezioni di piano, francese, greco, filosofia, italiano e letteratura universale, né ottenne un sollievo dal trasferimento del padre a Washington come membro del Congresso (1817) perché, affidata a un istitutore, continuò a ricevere per posta gli imperiosi precetti paterni. Sola nota positiva era che questo tipo di istruzione aveva come abbattuto la tradizionale barriera tra i sessi collocandola psicologicamente a un livello che non accettava alcuna forma preconcetta di inferiorità femminile e che modellava un eventuale primato tra uomo e donna non sulle caratteristiche sessuali ma su quelle culturali e morali.
Tale sofferta evoluzione interiore si accompagnava in lei alla scoperta di non essere particolarmente avvenente; grassottella e un po' sgraziata, la F. si rassegnò presto all'idea di essere "bright and ugly" (Brooks, p. 114) e rafforzò l'innata inclinazione all'isolamento, mentre intanto si consolidavano in lei la sicurezza della propria superiorità intellettuale e l'attitudine a servirsi di un linguaggio caustico e pungente per trinciare giudizi impietosi sui più vari argomenti. Nell'adolescenza aveva coltivato le sue doti orientando i propri gusti e interessi verso i grandi scrittori e pensatori europei del tempo: era un modo per uscire dall'ambiente puritano che la circondava e per calarsi in una realtà che costituiva per lei il punto d'arrivo del percorso spirituale intrapreso dagli antichi Greci. Prediligeva i romantici, Goethe e il suo ideale di una classicità serena, ma non trascurava Schiller, Novalis, Alfieri; scopriva Dante e la successiva fioritura dell'arte rinascimentale, si appassionava all'esaltazione romantica dell'eroe ma trovava il vero modello di comportamento nella Corinna di Anne-Louise-Germaine Necker, m.me de Staël-Holstein, in cui vedeva l'espressione più alta di ciò che per lei sarebbe dovuta essere la donna: un impasto di spontaneità, istinto, acume, forza dialettica. Non per niente R.W. Emerson l'avrebbe definita la "Yankee Corinna" (Moers, p. 177).
Si forgiava così quel carattere forte e deciso che tanto avrebbe impressionato i contemporanei: l'intelligenza vivace e anticonformista della F. talvolta conquistava, talaltra indispettiva, gli uomini soprattutto. Lei li ricambiava ora lamentando di essere incompresa, più spesso coprendoli di un disprezzo che separava sempre più il suo mondo interiore e la sua mentalità dall'universo maschile. In generale si può affermare che pochi tra coloro che le furono vicini e la conobbero afferrarono la sua complessa psicologia e capirono i suoi sbalzi d'umore; non di rado avvenne anzi che, traendo pretesto da una sua presunta aggressività, si respingessero in blocco i suoi attacchi alla morale corrente e alle convenzioni sociali, specialmente per quel che riguardava la condizione della donna nella società.
Antesignana di quella temperie spirituale che H. James avrebbe ricreato sul finire del secolo in uno dei suoi romanzi più famosi, I Bostoniani, la F. esordì nel giornalismo (e già questo aveva del clamoroso) pubblicando anonimo nel novembre 1834 sul Daily advertiser and patriot di Boston uno scritto In defence of Brutus. Dimostrava in tal modo di volersi muovere all'insegna della provocazione, così come evidenziava già allora un tratto che in seguito sarebbe stato rilevato come caratteristico della sua scrittura: la caduta di efficacia, per una certa confusione e disorganicità della sua prosa, rispetto alla sua serrata eloquenza.
Proprio mentre la sua riflessione si affinava e si precisavano i suoi orientamenti la F. perse il padre (1835). Costretta a rinviare un sospirato viaggio in Europa, dovette inoltre trovarsi un lavoro. Cominciò dando lezioni private di lingue a Boston, poi passando a insegnare in una scuola di Providence, quindi in un altra di Boston. Intanto con la conoscenza di Emerson era intervenuta la novità che avrebbe influenzato questa parte della vita. A contatto con il trascendentalismo emersoniano e quindi con il cenacolo di letterati che a Concord aveva raccolto intorno a quelle teorie personaggi come N. Hawthorne e H.D. Thoreau, la F. maturò un pensiero dai forti contenuti idealistici che, con la mediazione di Th. Carlyle e S. Coleridge, innestava sull'originaria matrice kantiana gli apporti di altri filoni di pensiero: da Platone a Plotino, da Swedenborg a Rousseau alle religioni orientali. Ne risultava un sistema che puntava a rivalutare l'individuo in quanto essere di origine divina portatore di valori quali la sensibilità e la naturalezza, rigettando al contempo il razionalismo e proponendosi come il migliore antidoto contro i veleni materialistici che minacciavano di distruggere il lascito della rivoluzione del 1776. Forse fu anche per questa componente antimaterialistica che la F., pur accogliendola con simpatia, non volle mai entrare nella organizzazione comunitaria di stampo fourieristico che intanto altri discepoli e sodali di Emerson avevano creato a Brook Farm.
Nel 1840, per offrire al trascendentalismo una tribuna di discussione, la F. fondò e diresse il trimestrale The Dial. A Magazine for literature, philosophy and religion, che, a dispetto della bassa tiratura, nei suoi quattro anni di vita ebbe un peso notevole e centrò l'obiettivo di partenza di dare finalmente all'America il polo di aggregazione culturale che le mancava.
Quella che vi si rispecchiava era l'anima colta del paese, legata idealmente alla storia intellettuale europea ma con l'ambizione di stimolare una ricerca che avesse radice nella specificità della storia del nuovo mondo e che così contribuisse alla circolazione delle idee nella civiltà occidentale. Già nota per aver pubblicato le J.P. Eckermann's conversations with Goethe (Boston 1839), la F. assumeva un ruolo di primo piano nella formazione di una certa coscienza americana, quella, cioè, che si sarebbe sempre distinta per raffinatezza di gusti, ricchezza di bagaglio culturale e attaccamento ai principî democratici ma che avrebbe anche tenuto d'occhio la realtà più immediata affrontandola con un piglio non esente da dosi anche abbondanti di radicalismo. La F., ad esempio, poteva scrivere per The Dial un lungo articolo su Canova (aprile 1843) e subito dopo affrontare la questione femminile con un saggio su The great lawsuit: Man versus men; Woman versus women (ibid., luglio 1843): quantunque a più di un lettore tutto ciò apparisse cerebrale, agli occhi della F. i due argomenti erano collegati dal desiderio, che li sottintendeva entrambi, di privilegiare la vita dello spirito rispetto alla consueta supremazia della forza.
Congiungendosi con la vocazione all'insegnamento e con l'impatto esercitato sulla F. da taluni modelli reali o letterari (Emerson da un lato, Goethe - di cui per anni sognò di scrivere una biografia - dall'altro), il desiderio di fornire al prossimo le armi per pensare e discutere si realizzò nei cicli annuali di conversazioni che, a partire dal 1839 e fino al 1843, la F. tenne a Boston e a Cambridge. Di fronte a un pubblico pagante di giovani signore venivano svolti argomenti di vario genere (letteratura, attualità, filosofia) con l'intento precipuo di mettere le discepole in condizione di uscire dal loro stato di soggezione mentale verso l'uomo. A queste prime avvisaglie del femminismo la F. consegnava un testo pionieristico, Woman in the 19th century (New York 1845), e con esso alcune notevoli intuizioni, come l'idea della presenza in ogni individuo di qualche carattere dell'altro sesso o l'altra della libertà come un bene indivisibile, il cui corollario era che nessun uomo è veramente libero finché tutti gli altri non lo sono. Al tema della libertà la F. si era sensibilizzata durante un viaggio nell'Ovest che le aveva consentito di conoscere i pellerossa e la loro cultura stilizzata e largamente immateriale: aveva così scoperto l'esistenza delle minoranze etniche, e da allora, con la pubblicazione delle sue impressioni (Summer on the lakes in 1843, Boston 1846), tutte le cause, compresa quella dei negri, le erano apparse legate da un filo comune: la conquista della libertà per tutti.
Ottenuta la notorietà coi suoi primi lavori originali, la F., che nel 1842 aveva lasciato a Emerson la direzione del The Dial, fu chiamata verso la fine del 1844 a redigere la pagina letteraria della New York Tribune. Mai prima negli USA un incarico del genere era stato ricoperto da una donna: era dunque un altro passo verso la parità femminile ma era anche un impegno che, costringendola a recensire opere molto note e magari a stroncare i versi di Longfellow o a disconoscere il valore di Poe, la esponeva a polemiche acerbe e talvolta ingenerose. Non le mancò qualche soddisfazione, come quando proprio Poe giudicò la sua presa di posizione su Longfellow come una delle poche "of which the critics have not had abundant reason to be ashamed" (The shock of recognition, p. 146); più numerosi furono però coloro che la giudicarono troppo arrogante (o la trovarono fredda: Emerson diceva che la sua penna non era conduttrice di calore), e forse fu anche per sottrarsi a questo clima che nell'estate del 1846, proprio mentre usciva la raccolta dei suoi Papers on literature and art, la F. si risolse a partire per l'Europa, sospinta da una lunga preparazione interiore e dal desiderio di conoscere di persona i grandi intellettuali europei.
Prima tappa del viaggio fu l'Inghilterra, dove a Londra fu ricevuta da Carlyle (ottobre 1846), da lei molto apprezzato per il suo antimaterialismo e per la concezione eroica della storia. Con il suo titanismo egocentrico, invece, Carlyle la deluse dando involontario risalto all'umanità di un altro personaggio pure presente nella sua casa: G. Mazzini, di cui le era già nota la fama. Molti elementi avvicinavano la F. a questo: la religiosità non riconducibile a nessuna confessione particolare, l'idealismo, la priorità accordata alla dimensione interiore dell'uomo, il riconoscimento di una funzione primaria della donna nel rinnovamento della società. Ma al di là delle convergenze filosofiche, sotto l'impulso del Mazzini si faceva strada in lei l'esigenza di una liberazione della penisola dalla sua secolare schiavitù. La F. prese perciò molto sul serio quelle che Carlyle chiamava sprezzantemente le "rose-water imbecilities" del Mazzini e fu ben lieta di portare la sua solidarietà alla Scuola italiana di Londra; poi, per difenderlo dagli attacchi della stampa inglese, scrisse una lettera aperta al People's Journal e, partendo da Londra, accettò di recapitare la sua corrispondenza a Parigi e in Italia. Così si calava sempre più a fondo nella realtà italiana, cui guardava senza convenzionalismi e con un sentimento d'amore che all'arrivo a Genova (fine febbraio 1847), dopo una sosta di tre mesi e mezzo a Parigi nel corso della quale aveva conosciuto tra gli altri George Sand, F. de Lamennais e A. Mickiewicz, si sarebbe tramutato in autentica passione.
Nei due anni che quasi ininterrottamente passò in Italia non ci fu aspetto della vita del paese e dei suoi abitanti che la F. non sentisse con la più intensa partecipazione emotiva. In politica il punto di vista che sposò fu in tutto e per tutto quello dell'ideologia mazziniana, per cui criticò recisamente il metodo delle riforme e il giobertismo che lo aveva partorito. In alternativa a un progresso pilotato dai sovrani, il solo fattore di sviluppo le parve consistere nello slancio del popolo, soprattutto di quello romano, cui si affezionò con una sincerità tale da perforare di colpo ogni pur consistente diaframma mentale e culturale. Dell'antica prospettiva femminista qualcosa restava nella constatazione compiaciuta del ruolo non sempre passivo che la donna aveva avuto e continuava ad avere nella storia italiana; ma ormai il nucleo del suo pensiero si concentrava sul futuro politico della nazione e la sua personalità si arricchiva di un contenuto rivoluzionario, quasi un internazionalismo ante litteram, che la induceva ad abbracciare le lotte di un popolo non suo con la forza di un imperativo categorico. Nelle corrispondenze che periodicamente inviava da Roma alla Tribune, per informare i suoi concittadini sull'evoluzione della situazione interna dello Stato pontificio e degli altri regni italiani, tale sottofondo si coglieva bene nelle sollecitazioni all'opinione pubblica del suo paese perché si facesse qualcosa per l'Italia: "Questa causa è nostra più di ogni altra, dovremmo dimostrare che la comprendiamo" scriveva già il 17 ott. 1847 (Un'americana a Roma, p. 15); il fallimento delle speranze riposte in Pio IX l'avrebbe spinta a richieste sempre più pressanti e concrete di aiuto morale, politico e logistico. Delusa dall'indifferenza degli Stati Uniti, sentiva crescere in compenso la sua prossimità spirituale all'Italia sulla quale riversava parole di entusiasmo.
Anche il suo cuore era cambiato: dopo una vita povera di sentimento e qualche cocente delusione, la F. aveva deciso di seguire il consiglio datole da Mikiewicz ("Aspirez la vie par tous vos pores. Une vie inferieure, terrestre et matérielle, mais qui vous est nécessaire", le aveva suggerito il poeta polacco [Detti, p. 312]), e, conosciuto casualmente a Roma il marchese Giovanni Angelo Ossoli, appartenente a una famiglia di nobili papalini decaduti, se ne era innamorata. Il suo carattere ne risentì positivamente; il suo spirito competitivo si placò, venne meno l'atteggiamento di sfida verso la società e, quando si accorse di essere incinta, non disse nulla a nessuno, non ne scrisse nemmeno ai parenti, e si rifugiò prima all'Aquila, poi a Rieti, dove il 5 sett. 1848 diede alla luce Angelo Eugenio. Qualche mese prima - non se ne è però trovata traccia ufficiale - lei e l'Ossoli si erano uniti in matrimonio ma avevano tenuta nascosta la loro unione vivendo anche separati per non compromettere il diritto dell'uomo all'eredità paterna. Di dieci anni più giovane, l'Ossoli "non aveva alte qualità di mente, né grande cultura" (Villari, p. 245) e subì presto il suo forte ascendente entrando nel movimento nazionale come ufficiale della guardia civica romana. Quando nel novembre del 1848 la situazione a Roma precipitò, la F. affidò il figlio a una balia e tornò nella capitale. Sospese a maggio, le sue corrispondenze alla Tribune ripresero a inizio dicembre per narrare in rapida successione le glorie civili della Repubblica Romana e quindi la sua tragica fine. Giganteggiava negli articoli della F., nelle sue lettere private e negli appunti di diario, la figura del Mazzini, rivisto a Roma l'8 marzo 1849. Alla fine di aprile, mentre cominciava l'assedio francese, fu incaricata dalla principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso di dirigere i soccorsi ai feriti nell'ospedale Fatebenefratelli: per quanto sconvolta dagli orrori del bombardamento, non venne mai meno al suo impegno, neanche quando, dissentendo forse per la prima volta dal Mazzini, ritenne giunto il momento di capitolare. Dei giorni della resa le sarebbero rimasti il ricordo delle ore trascorse accanto al marito che comandava una batteria sul Pincio e l'altro, più sofferto, di un Mazzini invecchiato di colpo ma che però "non aveva mai indietreggiato, mai si era abbattuto, fino all'ultimo aveva protestato contro la resa, calmo e pacato eppure acceso più che mai di fieri propositi" (cit. da J. Brown, p. 186).
Lasciata Roma dopo l'ingresso dei Francesi, i coniugi Ossoli presero il figlio a Rieti e a ottobre si stabilirono a Firenze, dove frequentarono tra gli altri R. ed E. Browning. Mentre la F. riordinava gli appunti in vista della stesura di una "Storia della Repubblica romana" pensata come testimonianza epica e insieme contributo alla causa italiana, si profilavano i primi problemi economici e svaniva definitivamente la possibilità d'un ritorno a Roma. Dopo lungo tergiversare la famiglia si risolse a partire per l'America: il 17 maggio 1850 a bordo di un veliero da carico, l'"Elisabeth", i tre salparono da Livorno: due mesi più tardi, dopo qualche peripezia, la nave, ormai in vista delle coste americane, fu sorpresa da una tempesta che la spinse contro gli scogli di Fire Island, a poche miglia di New York. La mattina del 19 luglio 1850 l'"Elisabeth" si inabissò: qualcuno dei passeggeri riuscì a salvarsi, ma tra gli otto che persero la vita c'era tutta la famiglia Ossoli.
L'oceano restituì solo il cadavere del piccolo Angelo e qualche manoscritto minore della F., alla cui memoria amici e familiari credettero di dover rendere omaggio pubblicando inediti, lettere e articoli già apparsi sui periodici: in primo luogo i due volumi di Memoirs, a cura di J.F. Clarke, R.W. Emerson, W.H. Channing, Boston 1852; poi, a opera del fratello Arthur B., le due raccolte di At home and abroad, or things and thoughts in America and in Europe, Boston 1856, e di Life without and life within (ibid. 1859; in tutte queste pubblicazioni l'autrice era indicata anche con il cognome del marito); da ultima J. Ward Howe pubblicò, come documento dell'infelice relazione della F. con un ebreo amburghese, J. Nathan, le Love letters of M. F. 1845-1846, New York 1903.
Fonti e Bibl.: Gli studiosi americani hanno sottolineato il peso della F. nella storia della cultura e del costume degli USA approntando su di lei un'ampia saggistica e numerose biografie. Non c'è storia letteraria che non le dia spazio collocandola nella fioritura del pensiero e della produzione intellettuale del New England, né c'è protagonista di quella stagione, a cominciare da Emerson, che non abbia lasciato su di lei un ricordo o un'impressione; quasi tutti i suoi testi sono stati ristampati (Woman in the 19th century più di una volta, tra l'altro a cura di B. Rosenthal, New York 1971, e in un'edizione della University of South Carolina Press del 1980), dal 1983 è iniziata la pubblicazione integrale delle Letters, a cura di R.N. Hudspeth, prevista in 6 voll.; sono apparse molte bibliografie (la maggiore è quella di J. Myerson, M. F.: a descriptive bibliography, Pittsburgh 1978), ma si attende ancora una raccolta completa degli scritti essendo per ora disponibili solo le ampie selezioni di M. Wade, The writings of M. F., New York 1941, e di P. Miller, M. F.: american romantic…, Garden City, NY, 1963. Validi gli inquadramenti critici proposti da The shock of recognition, a cura di E. Wilson, New York 1955, pp. 146-154, 1005 s.; Van Wick Brooks, The dream of Arcadia: American writers and artists in Italy 1760-1915, New York 1958, ad Indicem; P.R. Baker, The fortunate pilgrims: Americans in Italy 1800-1860, Cambridge, MA, 1964; A.W. Salomone, The 19th century Discovery of Italy, in American historical Review, LXXIII (1968), pp. 1376 ss.; E. Moers, Literary women, London 1978, ad Indicem; A. Kolodny, The land before her…, Chapel Hill-London 1984, ad Indicem. Numerossissime le biografie molte delle quali scritte da donne, a conferma di quanto il mito della F. sia legato alla storia del femminismo: si segnalano qui solo le maggiori (M. Bell, M. F., New York 1930; M. Wade, M. F.: whetstone of genius, New York 1940; B.G. Chevigny, The woman and the myth: M. F.'s life and writings, Old Westbury 1976; P. Blanchard, From trascendentalism to revolution, New York 1978) rinviando per le altre alle aggiornate indicazioni bibliografiche fornite da M. Stern, The life of M. F., New York-Westport-London 1991 (1ª ed., 1941), condotta sui Fuller Mss. della Harvard College Library e sui Fuller Papers della Boston Public Library. L'esperienza italiana della F., esaminata in tutti i lavori citati, è approfondita in studi più specifici tra i quali risultano fondamentali E. Detti, M. F. Ossoli e i suoi corrispondenti…, Firenze 1942; J. Rossi, The image of America in Mazzini's writings, Madison 1954, ad Indicem, e J.J. Deiss, The roman years of M. F.: a biography, New York 1969; utile anche J. Brown, M. F., in Palestra, I (1962), pp. 178-187. Contributi documentari minori, oltre a quelli rilevanti offerti da E. Detti, op. cit., sono venuti da A. Benedetti, Mazzini e M. F., in Nuova Antologia, 16 genn. 1918, pp. 166-180, e da L. Rostenberg, M. F.'s roman diary, in Journal of modern history, XII (1940), pp. 209-220. L'attenzione degli studiosi italiani per la F. (è recente la versione delle sue corrispondenze per la Tribune in M. F., Un'americana a Roma 1847-1849, a cura di R. Mamoli Zorzi, Pordenone 1986) è testimoniata da pochi altri interventi critici: P. Villari, Le memorie di M. F. Ossoli, in Scritti varii, Bologna 1912, pp. 231-259 (recensione apparsa originariamente nel fascicolo di marzo 1857 della Rivista di Firenze); A. Pisani, M. F., Arpino 1932; M. Praz, Un'amica di Mazzini: M. F. Ossoli, in Motivi e figure, Torino 1945, pp. 82-88 (un rapido ritratto abbastanza acido); Italia e Stati Uniti nell'età del Risorgimento e della guerra civile, Firenze 1969, pp. 23, 83 s., 381; G. Prezzolini, Come gli Americani scoprirono l'Italia, Bologna 1971, ad Indicem; R. Mamoli Zorzi, Due personaggi nelle "Lettere" di M. F., in Ateneo veneto, CLXXIII (1986), pp. 273-280; A. Mariani, Il sorriso del fauno: la scultura classica in Hawthorne, Melville, James, Chieti 1992, ad Indicem.