MARESCOTTI DE’ CALVI, Ercole
Nacque a Bologna intorno al 1438 se è vero, come afferma Litta, che morì ottantenne nel 1518. Fu il secondogenito di Galeazzo, prima che questi si sposasse nel 1440 con Caterina di Giovanni degli Anzi Formagliari.
Il M. fu uomo d’armi; in gioventù servì gli Estensi di Ferrara, città nella quale ottenne nel 1468 dall’imperatore Federico III il privilegio d’inserire l’aquila imperiale nell’arma gentilizia. Negli anni Ottanta militò nelle schiere bentivogliesche e nel 1485 fu tra i condottieri a capo dell’esercito bolognese che combatté contro Venezia. Nel 1488 accompagnò Giovanni (II) Bentivoglio a Faenza chiamato a soccorrere la figlia di Giovanni, Francesca, che, dopo aver fatto uccidere l’infedele marito Galeotto Manfredi, si era rifugiata nella rocca con il figlioletto Astorre. La fedeltà a Giovanni Bentivoglio non fu messa in discussione nemmeno in seguito agli avvenimenti legati alla congiura dei Malvezzi, in cui fu coinvolto il fratello del M., Agamennone. Nel 1489 e nel 1492 fu eletto nel Consiglio degli anziani, di cui era stato membro nel 1479 e nel 1483, mentre nell’ottobre 1490 partecipò alla grandiosa giostra di S. Petronio, l’evento più celebrato della corte bentivogliesca in quegli anni.
Dal testamento del padre, nel 1487, emergono dissidi piuttosto accesi con il M. a causa di una questione finanziaria legata alla dote della moglie dello stesso M., Elena Trotti: Galeazzo definisce il figlio malvagio e ingrato, superbo quanto Lucifero.
I rapporti di fedeltà e d’amicizia che avevano legato il M. a Giovanni Bentivoglio mutarono radicalmente dopo il massacro di Agamennone e dei nipoti compiuto nel 1501 da Ermes Bentivoglio. Lasciata nel 1502 Bologna, vi fece ritorno l’anno dopo, allorché peggiorarono le condizioni di salute del padre. L’uccisione per mano di sicari bentivoglieschi anche degli altri figli, Giasone, Teseo e Agesilao, aveva costretto Galeazzo ad accantonare i motivi di discordia con il M. e a nominarlo erede della maggior parte del patrimonio familiare, ma alla morte di Galeazzo, il 16 sett. 1503, i beni furono confiscati e il casato fu bandito dalla città. Questi fatti segnarono profondamente il M. e generarono un desiderio di vendetta che caratterizzò gli ultimi tre lustri della sua vita.
Dopo un soggiorno a Ferrara, passò a Roma e si mise al servizio di papa Giulio II, che accompagnò durante il suo ingresso trionfale a Bologna l’11 nov. 1506, e dal quale il 18 novembre fu nominato nel Senato dei quaranta di Bologna, voluto dal pontefice in sostituzione dell’antico Consiglio dei sedici. Il 22 febbr. 1507 Giulio II prese la strada per Roma, lasciando in città un sistema di governo basato sulla collaborazione tra reggimento cittadino e il legato pontificio, il cardinale Francesco Alidosi. Fu allora che il M. poté trarre la sua vendetta, dando inizio alla demolizione del famoso palazzo Bentivoglio di strada S. Donato. La prima devastazione fu guidata dal M. e da Camillo Gozzadini e la distruzione della «domus magna et pomposa» si sarebbe protratta addirittura nel corso di un biennio, senza che avessero effetto le proteste del re di Francia Luigi XII e le lettere inviate a Bologna da Giovanni Bentivoglio, in esilio a Milano. Il 3 maggio 1507 la furia popolare abilmente manovrata dai due esponenti della fazione «ecclesiastica» si rivolse contro l’antico centro del potere bentivogliesco, con l’avallo di tutte le forze di governo: il reggimento dei Quaranta, il legato e lo stesso pontefice. Dopo questo episodio il M. preferì allontanarsi dalla città, dove, a causa della dura azione repressiva del legato Alidosi, cominciavano a manifestarsi rigurgiti contro il nuovo regime pontificio. Durante la sua assenza, all’inizio del 1508, il palazzo Marescotti fu dato alle fiamme per vendetta da un manipolo di uomini ai comandi di Gaspare Scappi e Galeazzo Poeti. Il M. era però a Bologna nel maggio 1511, quando, cacciato Alidosi, la città riaprì le porte ad Annibale e a Ermes Bentivoglio, i figli di Giovanni, morto in esilio nel 1508. Costoro avviarono una politica conciliante, limitandosi a ripristinare l’antico Consiglio dei sedici e accogliendovi anche esponenti del partito loro avverso: tra questi il M., che dunque conservò il rango senatorio. L’uccisione in luglio del nipote Galeazzo, figlio di Agamennone, per mano di sicari di Ermes Bentivoglio, lo spinse ad allontanarsi.
Nel 1512, durante la battaglia di Ravenna, che pur vide vittoriose le truppe francesi, cadde Gaston de Foix e ciò compromise definitivamente le ambizioni di potere dei Bentivoglio, costretti ad abbandonare Bologna, questa volta per sempre. Il M. vi fece ritorno e fu eletto gonfaloniere di Giustizia. Nel 1513 Leone X lo confermò tra i senatori della città, ma fatale per lui fu la scelta di promuovere una politica di accordo e di pacificazione nei confronti dei Bentivoglio banditi, sostenendola di persona in un’ambasceria al pontefice e dinanzi al nuovo ceto dirigente della città. Con grande stupore, come riporta il contemporaneo F. Dalla Tuata, tra il febbraio e il marzo del 1515 la città assistette alla pace tra il M. il «più atroce e chrudele nimicho aveseno li Bentivogli» (p. 695) e i figli superstiti di Giovanni. Lo stesso cronista annota che l’accadimento dispiacque a tutta la parte della città congregata contro gli antichi signori e nei tre anni successivi le cronache registrano numerose occasioni di frizione tra il M. e i suoi figli da una parte e alcune delle famiglie al governo cittadino dall’altra. Contrasti cui non erano alieni odi di parte mai sopiti.
Il 4 giugno 1518 il M. rimase così vittima di un’imboscata e ferito a morte da Annibale, figlio di Virgilio Poeti, e da alcuni suoi accoliti. Dopo aver fatto testamento il giorno 9, morì il 18 giugno 1518 a Bologna. Fu sepolto senza pompa nella chiesa di S. Domenico.
Il governatore della città, Lorenzo Fieschi, aveva ottenuto nel frattempo di far siglare un patto di pacificazione tra i suoi figli e quelli di Virgilio Poeti, ma la tregua non resse al bisogno di vendetta, consumata il 27 sett. 1518 dai figli del M., a seguito della quale fu inflitta una grave pena pecuniaria al figlio Gianluigi, divenuto il capo della consorteria.
Da Elena Trotti il M. ebbe otto figli. Bernardino sposò Violante Carandini di Modena e diede origine a uno dei due rami senatori bolognesi, estinto nel 1862; Gianluigi, sposatosi con Lucrezia di Virgilio Ghisilieri, fu il capostipite dell’altro ramo, estinto nel 1690. Il ramo romano fu generato da Sforza, sposato a Ortensia Baglioni, figlia di Antonio e di Beatrice Farnese, pronipote di Paolo III.
Fonti e Bibl.: Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVIII, 1, ad ind.; G. Albertucci de’ Borselli, Cronica gestorum ac factorum memorabilium civitatis Bononie (ab urbe condita ad a. 1497)…, ibid., XXIII, 2, ad ind.; G. Nadi, Diario bolognese, a cura di C. Ricci - A. Bacchi della Lega, Bologna 1886, p. 317; C. Ghirardacci, Historia di Bologna, a cura di A. Sorbelli, III, 1, Bologna 1933, ad ind.; F. Dalla Tuata, Istoria di Bologna (origini - 1521), a cura di B. Fortunato, Bologna 2005, ad ind.; L. Alberti, Historie di Bologna (1479-1543), a cura di A. Antonelli - M.R. Musti, Bologna 2006, I, pp. 17, 75, 183, 200, 207; II, pp. 341, 350, 357; G.N. Pasquali Alidosi, I signori anziani consoli e gonfalonieri di Giustizia della città di Bologna…, Bologna 1670, p. 24; P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna, Bologna 1670, p. 528; G. Guidicini, I riformatori dello Stato di libertà della città di Bologna dal 1394 al 1797, Bologna 1876, I, p. 102; II, p. 145; L. Frati, Galeazzo Marescotti de’ Calvi nella vita pubblica e privata, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 3, XXI (1903), pp. 17, 48, 70, 73; C.M. Ady, I Bentivoglio, Milano 1965, p. 174; A. De Benedictis, Una guerra d’Italia, una resistenza di popolo (Bologna 1506), Bologna 2004, p. 156; A. Antonelli - M. Poli, Il palazzo dei Bentivoglio. Nelle fonti del tempo, Venezia 2006, pp. 87-90, 128-139; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Marescotti di Bologna, tav. III.