Vedi PERENNIUS, Marcus dell'anno: 1965 - 1996
PERENNIUS, Marcus (v. vol. VI, p. 33)
La recente analisi di c.a 160 pezzi inediti conservati al Museo Archeologico di Arezzo ha fornito nuovi apporti conoscitivi allo studio della terza fase dell'officina perenniana, caratterizzata dalla firma di M. Perennius Bargathes al genitivo e oggetto nel passato di scarso interesse sia per motivi contingenti (la scarsità di reperti presenti nelle raccolte non aretine), sia per ragioni di gusto e di orientamento di studi.
I vasi presi in esame, a parte un'esigua minoranza rinvenuta a Cincelli, provengono dagli scavi effettuati nel 1883, 1886-1887 e soprattutto nel 1894 ad Arezzo presso la chiesa di S. Maria in Gradi, ove vennero alla luce alcune attrezzature riferibili a fabbriche e un'ampia zona di scarico.
Come è noto Bargathes, liberto di presumibile origine aramaica, subentrò a Tigranus nella conduzione dell'officina in età tiberiana.
Il primo a enucleare in uno studio approfondito la personalità del ceramista fu il Dragendorff che, non riscontrando nella produzione nomi di lavoranti, individuò la mano di due maestri, il «Bargathesmeister A», fino a qualche tempo fa assimilato erroneamente a Vibienus, e il «Bargathesmeister B». Al primo lo studioso attribuiva i reperti con un particolare tipo di ovulo allungato (tipo I), al secondo ascriveva tutto il resto della produzione.
Attualmente questa rigida schematizzazione appare destinata a essere superata per lasciare il passo a un'analisi filologica differenziata, che in parte è già stata affrontata dalla Porten Palange (1982) nella sua recente disamina del materiale aretino.
Benché le firme da sole non permettano di dare indicazioni assolute di ordine cronologico, l'esame comparato della successione e della combinazione di queste con i varí tipi di ovuli e di motivi accessori che limitano in alto il fregio, insieme all'osservazione del deterioramento dei repertori, consentono di delineare sommariamente l'evoluzione della fabbrica.
Si identifica così un momento iniziale («protobargateo») caratterizzato dalla presenza dell'ovulo di tipo 1, cui si accostano due tipi di firme, una molto accurata (tipo D) da completarsi con m. perenn, e l'altra stilisticamente più irregolare (tipo A + E) che persiste più a lungo nella produzione, comparendo anche successivamente. Se per la decorazione figurativa di questo primo periodo si fa ricorso ad alcuni tra i più fortunati e diffusi cicli organicamente ripresi dalle fasi prebargatee (danzatrici con kalathìskos, figure alate che suonano strumenti, fanciulle con offerte, menadi danzanti, scene erotiche tradizionali, sacrificio dionisiaco, completate dalla decorazione accessoria usuale: ghirlande con corone e strumenti appesi), il rilievo a carattere fitomorfo appare fortemente innovativo, proponendo una vasta gamma di motivi: palmette, fiori, boccioli, foglie, campiti simmetricamente su uno sfondo scandito da triangoli e semicerchi (c.d. Palmettenstil). Tale stile, forse introdotto da Ateius - passa infatti alla produzione provinciale ateiana - risulta di difficile attribuzione, essendo i vasi per lo più privi di firme e il tipo di decorazione comune a varie officine (appunto Ateius, Bargathes, il primo Cornelius e Vibienus).
Tra i dati nuovi emersi dallo studio di questa prima fase è la conferma, deducibile sulla base dei dati inventariali, dell'esistenza a Cincelli - località questa che meriterebbe un'ampia e accurata indagine sul terreno per la presenza di più atelier - di una filiale che rimase operante per un breve periodo e che si caratterizzava, oltre che per l'uso costante dell'ovulo tipo I, per un diverso tipo di argilla e di vernice.
Nella fase successiva, che si prolunga per tutto l'arco dell'attività del ceramista e durante la quale entrano via via in uso tutti gli altri tipi di ovuli e di firme attestate oltre a una serie di motivi accessori abbinati con regolarità ad alcune sequenze, si manifestano più compiutamente quelli che appaiono essere i caratteri tipici della produzione.
Alcuni cicli noti anche nelle fasi antecedenti, pur venendo ripresi nella loro forma originaria (Nereidi con le armi di Achille, Eracle con le Muse, gruppi erotici, giocataci di astragali, danzatrici e suonatrici, satiri vendemmiami), acquisiscono un'impronta originale, tipicamente bargatea, mediante la differente spaziatura dei motivi o un diverso uso dei fregi accessori.
Accanto a queste serie tradizionali ne compaiono alcune totalmente nuove (scene erotiche con motivi nuovi, figure grottesche, serie di figure femminili in un contesto misterico, Dioniso e Arianna e mito di Fetonte) e altre fortemente rielaborate (scene di simposio, amorini cocchieri). Alcuni cicli vengono reinterpretati tramite la combinazione di motivi noti con altri di nuova creazione (combattimenti fra Romani e barbari, scene di trionfo, scheletri, leone con Menade, figure del gruppo D-W 22, che risulta notevolmente arricchito rispetto ai tipi documentati) o mediante l'utilizzo dei punzoni al di fuori della sequenza narrativa originaria.
Vengono anche approntati nuovi motivi singoli, molti dei quali non attestati dal Dragendorff (sirena, auriga), a volte mutuati da altri repertori.
Si segnala per il particolare interesse una delle serie più antiche della seconda fase, quella dei combattimenti fra Romani (raffigurati con varianti dei punzoni tigranei della caccia) e arcieri orientali. Queste scene, pur non riferendosi a un avvenimento storico specifico, ampliano, insieme ai temi di trionfo, il numero esiguo di «soggetti romani» presenti nella ceramica aretina.
Il ciclo degli scheletri, rappresentati semisdraiati e alternati a figure o a elementi architettonici, appare articolato in maniera inconsueta e mostra affinità coi motivi cispiani e dell'Ateius provinciale allontanandosi dagli schemi di Cerdo. Assai rappresentative sono le sequenze con figure grottesche, che riconducono ai caratteri esasperati e patologici dello stupidus e del placentarius e in generale ai protagonisti del mimo e della palliata. In questa serie si possono riconoscere rappresentazioni con personaggi che recano sul volto maschere di animali ed episodi epici ridotti a farsa.
Di grande originalità e vivacità infine è la produzione decorata con motivi vegetali e compositi. I
Nel periodo iniziale della seconda fase compare l'elegantissimo schema decorativo a foglie e guaine d'acanto, in seguito si può notare il decrescere dell'interesse per le corone vegetali (di vite, d'ulivo, ecc.), mentre si affermano motivi di gusto diverso: archetti, viticci, cerchietti, protomi, palmette, calici, rosette e baccellature plastiche, riproposti in innumerevoli variazioni, che sottolineano le coincidenze con il repertorio di Cornelius, anch'esso attivo in età tiberiana.
Le caratteristiche della produzione bargatea sono state in nuce delineate da A. Stenico. Nell'evoluzione della fabbrica si coglie il graduale distacco dai canoni formali del neoatticismo e il progressivo formarsi, sia pure riflesso in una forma «d'arte minore» quale è la ceramica aretina, di un linguaggio innovativo certo meno elegante, ma più libero e aperto a molteplici influssi di derivazione non esclusivamente colta ed elitaria, che forse aderiscono maggiormente al gusto della committenza. Sciolto lo stretto legame che aveva unito nelle prime fasi la ceramica e la toreutica (che cessa ora di essere fonte di modelli), viene acquisita una maggior consapevolezza delle potenzialità creative insite nella materia. Al calligrafico «stile di corte» augusteo, presente in ogni manifestazione artistica dai rilievi, alle pitture, agli stucchi, alla coroplastica, alla toreutica, si sostituisce una plasticità più ricca di elementi coloristici che si manifesta nella creazione di singoli punzoni (arcieri, figure grottesche, satiri vendemmianti di grandi proporzioni, ecc.), i quali costituiscono per Bargathes veri e propri motivi-firma. Un effetto di maggior rilievo viene ottenuto imprimendo fortemente il punzone sul fondo liscio della matrice sul quale, in alcuni casi, si riduce volutamente l'apporto manoscritto.
Si sperimenta l'uso di alami espedienti tecnici, quali la rotazione dei punzoni (p.es. arcieri) e l'uso dei punzoni parziali (scheletri), che permettono di ottenere molteplici variazioni nella posizione di una stessa figura.
La percezione di un nuovo senso dello spazio si realizza, come si è già accennato, mediante la scomposizione sulla parete del vaso dei cicli tradizionali e la giustapposizione di sigilla isolati, a volte di diversa grandezza, o perché appartenenti a serie diverse o perché risultanti da riduzioni. Il cambiamento dei canoni estetici si palesa anche nella scelta delle forme (si riduce l'uso del bicchiere e del modiolo, viene adottata la coppa carenata) e nell'appesantirsi della tettonica del vaso, soprattutto per quanto riguarda l'orlo che diviene più alto e ricco di modanature e applicazioni.
La fase bargatea è di cruciale importanza per lo studio delle reciproche influenze fra le varie fabbriche operanti nello stesso periodo. In età post-augustea, soprattutto, si registrano infatti numerosi scambi fra i diversi repertori e, nel caso specifico di questa produzione, si rileva la presenza di derivazioni da motivi ateiani, rasiniani, cispiani e di coincidenze o passaggi alla produzione corneliana (v. vol. I, p. 613, s.v. Aretini, vasi). Nelle fasi successive dell'officina, che recano le firme di Crescens e Saturninus, vengono portate alle estreme conseguenze le caratteristiche già rilevate; soprattutto l'uso di motivi singoli impiegati al di fuori di una narrazione logica diviene una prassi. Le ripercussioni di questo processo assumeranno estrema rilevanza nella sigillata tardo-italica, nella quale, come è noto, i singoli motivi appaiono replicati in maniera iterativa con un mero intento di decorazione.
Bibl.: F. P. Porten Palange, Vibienus, in NumAntCl, XI, 1982, p. 193 ss. (per la confutazione della coincidenza' fra Vibienus e «Bargathesmeister A»); D. Bartoli e altri, M. Perennius Bargaihes. Tradizione ed innovazione nella ceramica aretina, Firenze 1984, in part. pp. 12-18 (con bibl.); La romanizzazione dell'Etruria. Il territorio di Vulci (cat.), Milano 1985, p. 76, fig. 70.