GUIDI, Marcovaldo
Figlio del conte Guido (VII, detto anche Guido Guerra III) e di Gualdrada di Bellincione di Uberto dei Ravignani, nacque verosimilmente fra 1182 e 1187. Fu capostipite del ramo dei Guidi di Dovadola.
Le seconde nozze di Guido (VII) - dalle prime con Agnese di Guglielmo (V) di Monferrato non erano nati figli -, oltre a testimoniare l'incontro della nobile stirpe feudale con la potenza ascendente di Firenze, alla cui aristocrazia appartenevano i Ravignani, con i cinque figli maschi che di esse furono il frutto dettero inizio alla frammentazione del casato in linee indipendenti che presto vennero in contrasto fra loro per ragioni patrimoniali e scelte politiche. Il matrimonio risulta già avvenuto nel 1180, ma probabilmente venne contratto nel periodo in cui il conte fu più continuativamente in Toscana, fra 1172 e 1174, oppure nel 1176 con la pacificazione fra Guido e Firenze.
Il G. e Aghinolfo sembrerebbero essere stati i due ultimi figli nati dopo Guido, Tegrimo, Sofia, Imilia, Ruggero, Gualdrada e Guisiana. Non è chiaro chi fra i due fosse l'ultimo, perché sia le attestazioni documentarie sia le genealogie forniscono dati discordanti; dai percorsi delle loro vite sembrerebbe più logico pensare che il G. fosse il più giovane. Nel 1196 il G. e Aghinolfo dovevano essere minori in quanto nella concessione fatta da Pietro Traversari dei diritti sui castelli di Dovadola, Monte Acuto e Gello a nome di tutti i fratelli agiscono solo Guido e Ruggero. E ancora nel 1203 solo Guido e Tegrimo fra i fratelli testimoniano col padre all'accordo di pace fra Firenze e Siena giurato nel castello di Poggibonsi.
Negli anni giovanili è peraltro probabile che anche i figli minori partecipassero agli ultimi episodi politico-militari del padre, in particolare alla guerra contro Pistoia per mantenere il controllo del castello di Montemurlo che si svolse fra 1203 e 1207. In seguito - e sicuramente dopo la morte di Guido Guerra, non anteriore al 1214 - furono i due maggiori, Guido e Ruggero, a indirizzare la politica della famiglia, così come a riprendere e condurre la lotta contro i Traversari, terminata solo nel 1216 con un'ulteriore accettazione da parte di questo del possesso dei Guidi sui castelli romagnoli in questione e con le nozze di Pietro con Imilia, sorella dei conti. Si può supporre che anche la gestione del patrimonio paterno, il comitatus dei Guidi con tutti i diritti signorili, fosse tenuta in questi anni in comune. Non abbiamo notizie o documenti che riguardino il G. per questo periodo.
Molto probabilmente fu intorno al 1216 che il G. prese in sposa Beatrice figlia di Rodolfo di Guido Borgognone dei conti Alberti (da notare come nel 1219 anche la sorella Gualdrada andava in sposa a un altro esponente del gruppo familiare degli Alberti). Tradizionalmente proprio con tale matrimonio genealogisti e storici fanno iniziare il distacco del G. dai fratelli, in quanto sarebbe stato spinto dalla moglie e dai parenti di lei ad abbandonare la fedeltà all'imperatore, a sostenere la nascente fazione guelfa e, conseguentemente, a pretendere una divisione del patrimonio. Se in effetti già nel 1219 il G. mostrava di volersi distinguere dai fratelli - per esempio non accettò di ratificare la cessione dell'alta sovranità sul castello di Montemurlo a Firenze compiuta a nome di tutti da Guido, Tegrimo e Ruggero -, in realtà niente fa pensare che avesse abbandonato il tradizionale collocamento politico filoimperiale. Nel 1220, anzi, fu proprio il G. ad andare con Aghinolfo, come rappresentante di tutta la casata, per accogliere in Lombardia Federico II, quindi a seguirlo in Romagna e in Toscana. Di qui, tutti insieme, i cinque conti seguirono l'esercito e la corte a Roma dove presenziarono all'incoronazione imperiale e quindi, alla fine di novembre, ottennero da Federico un diploma che confermava tutti i possedimenti concessi al padre dai due precedenti imperatori, compresi castelli e territori ormai fuori dal loro effettivo controllo. Probabilmente anche il G., con gli altri fratelli, continuò a seguire l'imperatore in Puglia e Sicilia fino al 1223, quando sappiamo che almeno Aghinolfo era già rientrato in Toscana.
Nell'anno successivo maturò la decisione del G. di ricavarsi un'autonomia patrimoniale che condurrà alla prima fase della divisione del comitatus ereditato da Guido Guerra.
I documenti che illustrano parte di questa divisione furono compiuti e redatti a Firenze, nel palazzo che i Guidi avevano vicino a S. Pier Maggiore, sul finire del maggio 1225, ma le trattative e la preparazione richiesero più tempo e incontri. In sostanza si passava da una gestione totalmente indivisa a una in cui, pur rimanendo gran parte dei castelli più importanti patrimonio comune, venivano divisi in quote parte, ognuna con un determinato e individuato numero di fedeli. Per esempio per il castello di Bagno in Romagna il G. cedeva il suo quinto del totale dei fedeli residenti in quel castello e aveva in cambio i quattro quinti dei diritti dei fratelli su un singolo quinto degli uomini, e in tal modo diventava signore pieno e libero su un preciso numero di persone (individuate per nome) che poteva mobilitare e cui poteva chiedere prestazioni e censi. Inoltre furono definiti anche i castelli su cui ogni fratello poteva avere una gestione completa e indivisa.
La questione era però solo agli inizi; di lì a poco, infatti, doveva complicarsi con la morte di Ruggero. Infatti, sistemate alcune questioni in Romagna e quindi con i fratelli, Ruggero era tornato in Sicilia alla corte di Federico II ma qui, ammalatosi, era morto il 5 sett. 1225. Secondo un presunto testamento, che non ci è pervenuto, questi lasciava la sua quota di diritti solo ai due fratelli maggiori, Guido e Tegrimo. Ciò provocò una accesa controversia: Aghinolfo e il G. dubitarono dell'esistenza stessa di tale testamento, quindi protestarono per veder riconosciuto quanto anche loro avevano fatto per la gloria della casata, e comunque sostennero il loro diritto a una divisione egualitaria in base alla legge longobarda da sempre applicata dalla famiglia. La lite si innestava in una divisione che ancora non doveva essere stata attuata e dunque la rimetteva in discussione.
Così - in un atto giunto incompleto e non datato, ma collocabile fra 1227 e 1228 -, si delegava ad arbitri la composizione della lite e il soddisfacimento delle richieste del G. e di Aghinolfo, che chiedevano anche conto dell'amministrazione tenuta in comune, dal tempo della morte del padre, di alcuni redditi controversi, nonché il rimborso di spese da loro sostenute singolarmente nell'interesse della casata.
Non sappiamo se gli arbitri trovarono un accomodamento, ma di lì a poco la questione fu riaperta davanti ai tribunali fiorentini. Solo che nel frattempo, sul finire del 1229, il G. era morto, lasciando due figli minori, Guido Guerra e Ruggero, nati probabilmente fra 1217 e 1221, e la moglie Beatrice incinta di un bambino che poi non sopravvisse.
Il padre di Beatrice, Rodolfo di Capraia, tutore dei nipoti, fu probabilmente il principale promotore della riapertura della questione e colui che volle portarla in discussione a Firenze. Qui la causa, grazie agli arbitrati dei giudici del podestà, fu risolta in più riprese definendo le divisioni e designando, appunto, in particolare ciò che spettava ai figli del Guidi. Il castello di Dovadola in Romagna, che in seguito i figli del G. (o forse addirittura il nipote Guido Salvatico) assunsero come intitolazione comitale, non passava per intero nelle mani dei ragazzi, ma come molti altri era un possesso diviso in quote parte. Il nonno Rodolfo, quindi, con Beatrice, fu probabilmente colui che nel crescere i due ragazzi li instradò a un orientamento di fedeltà a Firenze e al guelfismo, che poi distinguerà tale ramo della casata. Dunque tale indirizzo politico non sembra da ascrivere a una scelta del G. senza contare che, ancora nel 1234 - secondo quanto riportato in Litta - il primogenito del G., Guido Guerra, era a servizio come paggio o scudiero alla corte di Federico II, il quale per lettera chiedeva alla madre che gli inviasse anche il secondo.
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