GARGANELLO (Garganelli), Marco Tullio
Nacque a Bologna agli inizi del 1498.
La data si ricava da due delle quarantanove lettere (10 febbr. 1566 e 20 giugno 1568) che egli scrisse al cardinale Alessandro Farnese da Avignone. L'epistolario, pubblicato nel 1925 da F. Benoit, costituisce la principale fonte di notizie sulla vita del G. dal 1553 al 1574, e offre anche informazioni sulla sua precedente esperienza in Italia.
Antenato del G. era stato un Giovanni Battista Garganelli, dottore in legge nel 1379; nel XVI secolo la famiglia era tra i casati nobili di Bologna. Dopo aver preso i voti, il "canonico Garganello", come lui stesso si firma in una lettera del 3 genn. 1548 spedita da Bologna, entrò a far parte della corte del Farnese, al quale era stato probabilmente presentato dal cugino di questo, il cardinale Sforza di Santa Fiora. Già presente a Roma negli anni di Clemente VII (1523-34), in gioventù il G. fu al servizio di Bernardino Castellari, vescovo di Casale. Scrivendo da Roma il 21 genn. 1543, egli racconta in stile burlesco di alcune vicende frivole vissute nella città e accenna a un festino notturno in casa del vescovo di Casale, al quale avevano partecipato nobiluomini e prostitute.
Grazie alla sua verve poetica e satirica, il G. conquistò le simpatie del cardinal Farnese, che nel 1551 lo inviò nella sua Legazione di Avignone con l'incarico di organizzare feste danzanti e di inviare informazioni dettagliate su quanto accadeva nella città, dalla vita mondana alle questioni prettamente amministrative.
Il G. giunse in Provenza nell'aprile del 1551, in tempo per preparare l'arrivo del Farnese, che nel 1553, dodici anni dopo esserne entrato in possesso, si decise a visitare la Legazione, approfittando del viaggio alla corte di Enrico II, alleato dei Farnese. Le prime lettere del G. al cardinale sono del 1553. La più antica, scritta il 4 agosto e spedita - come le restanti nove missive di quell'anno - alla corte del re di Francia, è un biglietto di condoglianze per la scomparsa di Orazio Farnese, il minore dei fratelli del cardinale, morto in battaglia il 19 luglio combattendo tra le fila dei Francesi.
Nella seconda lettera, del 10 agosto, il G. scrive del caos creatosi ad Avignone a causa dei contrasti tra il vicelegato, Théodore-Jean de Clermont-Tallard, vescovo di Senez, e Giacomo Maria Sala, vescovo di Viviers, nominato dal Farnese commissario speciale con il compito di controllare le finanze della legazione. Il G. consigliava al cardinale di affidare i poteri a uno solo dei due. Nell'aprile del 1554 il Sala fu nominato vicelegato, a dimostrazione del fatto che il G. era qualcosa di più che un semplice informatore.
Per non smentire la sua prerogativa di scrittore faceto, il G. concludeva la missiva annunciando l'arrivo di Giovanni Andrea dell'Anguillara, detto il Sutri, poeta vicino al Farnese. Attraverso un arguto gioco di parole, il G. scrisse che il Sutri stava lavorando alla sua versione delle Metamorfosi di Ovidio e aggiunse: "E l'ho più pregato che 'l m'inmortala in questa sua opera; et, se non mi vol metter in una stanza, che 'l m'accomoda in un cabinetto" (Benoit, p. 30).
Il 1° sett. 1553 chiese al suo padrone di intervenire presso il Sala per avere i 10 scudi previsti da un accordo che stabiliva per lui il 10 % delle somme incamerate grazie al suo interessamento, ma il G. cercava di conquistarsi una rendita più solida: nella stessa missiva, e poi ancora venti giorni dopo, chiedeva l'assegnazione della sede di Nicopolis (Nikopol, Bulgaria) il cui titolare era ammalato. Il Farnese non diede corso alla richiesta e ciò, forse, indipendentemente dal fatto che il vescovo Pierre de Bisqueri sopravvisse per ben undici anni alla sua malattia. L'unico beneficio di cui certamente il G. godette (lettere del giugno 1556 e del 18 nov. 1561) è il vicariato di Caumont, concessogli per due anni da Louis de Pérussis.
Ad Avignone il G. era anche uditore dell'avvocato fiscale, ma poi a palazzo il suo compito era invece, fondamentalmente, quello di rimediare compagnie femminili per il segretario Francesco Gherardini e per i nobili che decidevano di soggiornare nella città.
In concomitanza con il prolungarsi dell'assenza del cardinale da Avignone, i racconti del G. sulla vita sociale del Petit-Palais, sede della legazione, si fecero più coloriti e dettagliati. Nella lettera del 1° genn. 1554, si dilunga nell'elencare le presenze che facevano allegro l'ambiente avignonese. Per invogliare il suo padrone a raggiungerlo gli racconta il buffo accidente occorso al "cavalier Grinetto", un cortigiano suo amico; scrive dell'innamoramento del Sutri per la figlia di una dama con la quale lui stesso spesso si intratteneva, madame Reovilla; passa in rassegna le "profumatissime damigelle" che in quel periodo si trovavano in città. Il Farnese in effetti si recò ad Avignone ancora una volta, per alcune settimane, nella primavera del 1554, ma poi non vi mise più piede; le missive del G. continuavano a servirgli come svago e per informarlo sulle dame di Avignone, degne eredi della poesia provenzale, che dovevano apparire tanto più libere e disinvolte rispetto a quelle italiane. Le continue richieste del G. affinché il cardinale lo raggiungesse suonano in realtà come un artificio retorico del cortigiano per adulare il suo padrone.
Dopo aver scritto di essere in ambasce per l'assenza del cardinale, tanto che stava per decidersi a raggiungerlo a Roma in compagnia del poeta farnesiano Bernardo Cappello, nella lettera del 23 sett. 1555 il G. racconta brevemente del suo amore per la "Mondragona". Jeanne de Lascaris, moglie di Paul d'Albert de Mondragon, divenne amante del G. scalzando Sibille de Jarente, la "Reovilla", che, dopo la morte, nel 1551, del marito Antoine Rolland, signore di Réauville e di Châtenay, era stata per tre anni la favorita del prelato bolognese.
Influenzato dal petrarchismo cinquecentesco, nelle successive lettere egli parafrasa spesso le liriche del poeta toscano, arrivando anche a identificarsi con lui e assegnando a madame de Mondragon il ruolo di Laura. Tuttavia le lettere facete del G., proprio perché funzionali al divertimento del destinatario, risentono soprattutto della letteratura satirica e burlesca in auge nel Cinquecento e dell'influenza di Francesco Berni.
Il cardinal Farnese era certamente soddisfatto dello stile "garganelesco", come lo definisce l'autore stesso, ma era spazientito dalla discontinuità con cui veniva aggiornato sugli affari avignonesi e arrivò a minacciare di togliergli la provvisione. Rispondendo il 22 febbr. 1557, il G. volle prendersi amorevolmente gioco del cardinale, secondo il tipico rapporto tra il buffone e il suo padrone. Affilando la penna, propone un'ipotetica inversione di ruoli, scrivendo che, se lui avesse assegnato al cardinale una paga per quante volte questi dava notizie di sé alla legazione, gliel'avrebbe già tolta da un pezzo.
Nella lettera del 1557 il G. minacciava anche di spretarsi. Si trattò probabilmente di una boutade, ma certo egli doveva sentirsi stretto negli abiti religiosi, tanto più che questa condizione non gli aveva favorito alcun beneficio ecclesiastico di rilievo. Troppo impegnato a organizzare feste e balli, poco si occupava della cura delle anime. Si prendeva spesso burla della religione, arrivando ad esempio a definire la quaresima un periodo di spassi e di festini (lettera del 2 marzo 1558). Tale atteggiamento irriverente rimase costante nel corso del tempo, nonostante un certo rigore moraleggiante di marca controriformistica, unito al desiderio di qualche beneficio personale, abbiano poi indotto il G. a dare nelle sue lettere più spazio alle cose ecclesiastiche.
Anche dell'ordine giunto da Roma di bruciare i libri messi all'Indice il G. riuscì a prendersi gioco, dicendo che nella sua stanza vi era solo un breviario, "e s'a quello non fossi ubligato" - aggiunse - "a gran pena vi sarebbe stato. I miei studi e la mia sientia son le dame del bel paeso d'Avignone" (ibid., p. 86).
Nelle lettere del 1561 il G. si fece meno frivolo e più attento alle vicende religiose della città. Il fervore religioso era il frutto della guerra dei cattolici contro la Riforma, ma si può più concretamente spiegare anche con la lettera del 5 marzo 1561, con la quale il G. chiedeva al suo cardinale una nomina vescovile.
Nelle lettere del 18 nov. 1561 e 13 febbr. 1562, il G. affrontò la questione delle consegne del Farnese al cardinale Charles de Bourbon. Dicendosi convinto dell'assoluta intransigenza del candidato, il G. abbandonava la sua solita prudenza e si complimentava con il cardinale per la scelta compiuta. Inoltre, per consolidare la sua posizione il G. si propose, al solito tra il detto e il non detto, come vicario di Avignone. Si trovava bene nella città provenzale, dove infatti restò, tanto più che, per quell'anno, il predisposto passaggio di consegne nella legazione non avvenne. Il G. mantenne ottimi rapporti con quanti si avvicendarono come vicelegati, prima con Alessandro Guidiccioni, vescovo di Lucca, e poi, dal febbraio 1562 con Lorenzo Lenzi, vescovo di Fermo. Per le sue doti consolatorie egli fu anche menzionato da Luis de Pérussis, suo conoscente, nel primo volume del Discours des querres de la comté de Venaiscin, edito nel 1563 ad Avignone.
Il G. continuò ad abitare nel Petit-Palais anche successivamente all'aprile 1565, quando si insediò il legato Charles de Bourbon. Il 10 febbr. 1566 il G. chiese di tornare a Roma, sottolineando i suoi quattordici anni di onorato servizio presso la legazione. Per favorire il desiderato ritorno in Italia, in una lettera del 7 aprile il G. faceva un dettagliato rapporto della vita religiosa avignonese, sottolinenando la fedeltà dei cittadini al cattolicesimo, in risposta alle critiche che erano state mosse da Roma nei confronti del cardinal d'Armagnac. In tal modo il prelato bolognese cercava di rinsaldare i rapporti con la legazione avignonese, nell'eventualità che la sua richiesta di rientro in Italia cadesse, come avvenne, nel nulla. Scrivendo a Roma il 20 giugno 1568, messo ormai nel cassetto ogni sogno di trasferimento, il G. infatti confermava al Farnese che i suoi rapporti con d'Armagnac erano ottimi. Poteva quindi riprendere a scrivere lettere facete e a burlarsi del suo cardinale, come avvenne nella successiva e ultima missiva spedita da Avignone il 9 apr. 1574. Dopo questa data non si hanno più notizie del G.; ignota è la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: C. Samaran, Les indiscretions de G. ou la vie galante en Avignon au XVIe siècle, in Mercure de France, LXXX (1909), pp. 385-404; F. Benoit, La société avignonaise au XVIe siècle. Correspondance de G., in Annales d'Avignon et du Comtat Venaissin, XI (1925), pp. 19-134.