Scrittore latino (n. Rieti 116 a. C. - m. 27 a. C.), detto dal luogo di nascita V. Reatino (Reatinus); erudito, poligrafo, uno degli autori più fecondi e importanti del mondo antico. L'importanza di V. è determinata sia dall'immensa mole del lavoro compiuto, sia dal sentimento patriottico e dall'elevato spirito morale che l'animavano. Assai ammirato dai contemporanei, da lui attinsero poi tutti gli eruditi e in genere la cultura romana (e anche greco-romana) dei secoli successivi. Nella filologia e nell'antiquaria egli raggiunse il massimo livello nel mondo romano, e certo fu in senso assoluto tra i maggiori rappresentanti della cultura del mondo antico. Suo merito principale fu di raccogliere una massa di materiale, ordinata con notevole spirito sistematico, anche se non sempre con autentico spirito critico.
Allievo di Elio Stilone e del filosofo Antioco di Ascalona, ricoprì varie cariche e fu con Pompeo nella guerra di Sertorio (79); tribuno della plebe, pretore (68), legato nella guerra dei pirati, vigintivir per la legge Giulia agraria (59), legato di Pompeo in Spagna, dovette qui arrendersi a Cesare (49), che lo incaricò di organizzare le biblioteche pubbliche. Dopo l'assassinio di Cesare, subì confische e la proscrizione da parte di Antonio, e si salvò a stento, perdendo gran parte dei suoi libri e delle sue opere.
L'attività di V. fu immensa: l'indagine moderna ha elencato 74 opere per un totale di 620 libri. Di tutta questa produzione rimane pochissimo: un'operetta in tre libri sull'agricoltura (Rerum rusticarum libri tres), e una parte (6 libri, non integri, su 25) della grande opera De lingua latina; restano inoltre un migliaio di frammenti in versi e in prosa. Al primo periodo dell'attività poetica di V. risalgono le Saturae Menippeae, in 150 libri, opera in metri svariatissimi misti a prosa, composta nello spirito delle satire menippee, col proposito di ammaestrare scherzando; ne sono giunti circa 600 frammenti. Un'opera singolare era le Imagines (o Hebdomades) in 15 libri, contenente 700 ritratti di personaggi romani e stranieri, accompagnati ognuno da un elogio in poesia e da un breve riassunto della vita in prosa. La letteratura latina fu studiata profondamente da V., in particolare la storia del teatro (molti libri erano dedicati a Plauto: studiò criticamente le numerose commedie a lui attribuite, stabilendo l'autenticità di 21 fabulae, per questo dette varroniane); altri scritti di letteratura avevano carattere teorico. Accanto alla letteratura, V. studiò con larghezza e incomparabile ricchezza di conoscenze la lingua latina. La principale opera, il De lingua latina (25 libri dedicati quasi tutti a Cicerone), dopo un primo libro contenente l'introduzione generale, era divisa in tre parti: sull'etimologia (6 libri), la declinazione (flessione, 6 libri) e la composizione (sintassi, 12 libri) delle parole; ciascuna delle parti si divideva poi in sezioni minori. I libri che ne restano (V - X) conservano la parte speciale dell'etimologia e la parte generale della flessione. Preziosa è la documentazione su cui poggia l'opera, ricca di citazioni di antichi poeti e di documenti ufficiali. Le dottrine varroniane (sulla questione della flessione V. si dichiara analogista, ma è assai temperato) derivavano da varie fonti filosofiche, specie stoiche, e dai grammatici alessandrini e pergameni. Al centro della produzione varroniana erano le opere che studiavano le antichità nazionali: prima fra tutte la fondamentale Antiquitates rerum humanarum et divinarum in 41 libri: lo schema dell'opera ci è noto dal De civitate Dei di sant'Agostino, dove è a lungo discussa. Precedeva lo studio delle antichità umane (25 libri), seguiva quello delle divine: la prima parte era divisa in quattro gruppi di sei libri (precedeva una introduzione generale), che trattavano: 1) degli uomini; 2) dei luoghi; 3) dei tempi; 4) delle cose; la seconda parte (oltre una introduzione) era divisa in cinque gruppi di tre libri: 1) sugli uomini (cioè sui sacerdoti, pontefici, auguri, quindecemviri); 2) sui luoghi (cioè sui templi, ecc.); 3) sui tempi sacri; 4) sulle cose sacre; 5) sugli dèi. Questa seconda parte, le antiquitates divinae, dedicata a Cesare, uscì nel 47 a. C. e fu forse la più celebrata e famosa opera di V., assai letta nei primi secoli imperiali (ancora Tertulliano e Agostino la conobbero direttamente); la sua perdita è per noi una delle più gravi per la conoscenza del mondo romano. Tuttavia forti riflessi se ne colgono in tutta la tradizione erudita antica, che largamente ne dipende. Attorno a essa si raccoglievano altre opere, delle quali si ricordano De gente populi romani e De vita populi romani. V. scrisse anche opere propriamente storiche (De Pompeio, Annales), però di minor rilievo delle altre. Numerose poi le opere di carattere politico, gli scritti geografici e meteorologici, ecc.; importante un'opera enciclopedica sulle arti liberali, Disciplinarum libri IX (su grammatica, dialettica, retorica, geometria, matematica, ecc.), perché dalla partizione qui adottata da V. derivò il sistema medievale del trivio e del quadrivio (l'opera fu largamente usata anche in epoca tarda); scritti specifici sui singoli argomenti seguivano questa enciclopedia. Di una grande opera sul diritto civile (in 15 libri) non rimane alcun frammento; e così di molte altre opere di varia erudizione, servite però da fonte agli eruditi posteriori. L'unica opera di V. a noi giunta quasi integra, Rerum rusticarum libri tres, fu scritta nel 37, a 80 anni, ed è pregevole per la conoscenza della campagna, contemplata con amore e grande sensibilità.