PRAGA, Marco
Commediografo, figlio del precedente, nato a Milano nel 1862, morto a Como nel 1929. Fece studî di ragioneria, e giovanissimo fu contabile in un'opera pia. Dopo due tentativi teatrali, L'incontro (1883) e Le due case (in collaborazione con V. Colombo, 1885), ebbe una prima affermazione sulle scene della sua Milano col drammetto in un atto L'amico (1886). A questo seguirono Giuliana (1887), la riduzione scenica del romanzo di G. Rovetta Mater dolorosa (1888), e i suoi due maggiori successi: Le vergini (1889), in cui presentò in scena con cruda desolazione quelle che più tardi Marcel Prevost definiva "demi-vierges"; e La moglie ideale (1890), commedia imperniata su un carattere di adultera che sa conciliare il suo peccato con le più affettuose cure per il marito ignaro e felice. Per questa, fu citata più o meno a ragione la precedente Parigina di H. Becque, opera in verità più classicamente raffinata, ma al cui confronto la semplice commedia del P. appare tuttavia vivente di schietta verità; fu la Duse a portarla al trionfo. Entrato da tempo a far parte di quel gruppo di commediografi viventi a Milano (Giacosa, Rovetta, ecc.) che avevano foggiato il loro teatro sullo stile del naturalismo allora ammirato in Francia, il P. alternò ancora alcuni romanzi e novelle (La biondina, Storie di palcoscenico, Anime a nudo, ecc.), con molte altre commedie: L'innamorata (1891), Alleluja (1892, notissima interpretazione di E. Novelli), L'erede (1893), Il bell'Apollo (1893), La mamma, Il dubbio, La morale della favola, L'ondina (1903), La crisi (1904) stimata l'opera sua migliore di questo secondo periodo, La porta chiusa (1913), Il divorzio (1915), ecc. Autore tipico d'un periodo di assetto materialistico, e d'una città industre e benestante il P., rigido gentiluomo e scrittore amaro, dipinse, attraverso una multiforme casistica dell'adulterio, una vita osservata con virile tristezza in uno stile nervoso e tagliente; fu annoverato fra i nostri migliori commediografi del periodo "verista". Della sua autorità d'artista si valse anche nel campo pratico, dando preziosa opera all'organizzazione e all'espansione della Società italiana degli autori, che guidata da lui divenne assai potente, e di cui egli continuò a occuparsi anche dopo averne abbandonato la direzione, nel 1913, per dirigere una Compagnia stabile del Teatro Manzoni di Milano, la quale però non ebbe lunga durata.