Polo, Marco
Veneziano in Cina, cinese a Venezia
Per accompagnare il padre in cina, Marco Polo partì ancora ragazzo da Venezia, intorno al 1271; lì diventò consigliere e alto funzionario dell’imperatore Qublai. Per incarico del sovrano fece molti viaggi nell’Impero, fu governatore di città, ambasciatore. Tra viaggi e permanenza in Asia, rimase lontano da Venezia quasi 25 anni. Al ritorno, il racconto del suo viaggio (pubblicato nel libro Il Milione) provocò la meraviglia e l’incredulità del pubblico, che riteneva impossibile l’esistenza fuori d’Europa di una società bene organizzata e avanzata come quella da lui descritta. Marco Polo è rimasto nella storia come uno dei più grandi viaggiatori dell’Occidente
Il merito della fama di Marco Polo sta certo nel suo lunghissimo viaggio e nella permanenza di anni in Oriente, in particolare in Cina; ma anche, e forse soprattutto, nel fatto che ne ha lasciato un racconto, in un bellissimo libro noto come Il Milione o anche Il libro delle meraviglie. Il suo fu il primo attendibile e completo resoconto dell’Oriente e il primo contributo alla reciproca conoscenza tra Asia ed Europa.
In realtà, non sappiamo quante furono, in passato, le persone che fecero esperienze simili a quelle di Marco Polo, ma che poi non le raccontarono in un diario. Oggi, per noi, è come se non esistessero, ma lo stesso Marco, per esempio, racconta di mercanti europei incontrati lungo la strada, e suo padre e suo zio avevano già fatto da soli un viaggio in Cina di cui non sappiamo quasi niente. La storia delle esplorazioni è piena di casi del genere. Noi possiamo solo considerare quelli che hanno lasciato un ricordo, una traccia, ma dobbiamo tenere presente che spesso non furono i soli e che, forse, non furono nemmeno i primi.
Un altro motivo della fama di Marco Polo è che fece il suo primo viaggio quando era molto giovane, appena un ragazzo. E probabilmente proprio la sua giovane età gli guadagnò la simpatia e la fiducia degli stranieri con cui entrò in contatto.
Marco nacque a Venezia nel 1254, in una famiglia di mercanti. Il padre, Niccolò, con i fratelli aveva un’azienda commerciale che importava prodotti dall’Oriente. Una base della ditta di famiglia era a Costantinopoli, un’altra sul Mar Nero, e lì i fratelli Polo vivevano la maggior parte del tempo, mentre mogli e figli abitavano a Venezia.
Verso il 1265, Niccolò e il fratello Matteo fecero un viaggio fino in Cina, allora governata da un imperatore mongolo, Qublai, che li trattò molto bene – erano i primi europei che conosceva – e li incaricò di portare un messaggio al papa. Finalmente, nel 1269, tornarono a Venezia.
Un paio d’anni dopo, Marco partì per la Cina con il padre e lo zio, sempre per commercio. I mercanti avevano anche un messaggio di risposta del papa per Qublai.
Il viaggio fu molto lungo, più di tre anni, e faticoso. Guerre, maltempo, fiumi in piena, una malattia di Marco rallentarono il viaggio, che in condizioni ideali richiedeva molto meno tempo. Lungo la strada e soprattutto in Cina, però, i tre veneziani vennero accolti sempre benissimo. I Tatari (o Mongoli) che allora controllavano quasi tutta l’Asia erano, infatti, molto ospitali e rispettosi degli stranieri, e interessati a commerciare.
Qublai ebbe molta simpatia per Marco, un ragazzo sveglio che imparava rapidamente le lingue, e lo prese come collaboratore. L’imperatore l’incaricò di una serie di visite ufficiali in molte parti dell’Impero, per controllare l’amministrazione e studiare e risolvere vari problemi, e lo nominò anche governatore di una città.
Marco ebbe insomma la possibilità di viaggiare a lungo per l’impero di Qublai, soprattutto in Cina, ma anche in Birmania, India, Indonesia, Persia, come altissimo funzionario imperiale, spesso con incarichi delicati, come far rispettare gli ordini dell’imperatore o stabilire accordi con i re soggetti all’imperatore.
Marco tornò a Venezia solamente nel 1295, a quarant’anni circa, dopo aver vissuto diciassette anni in Cina, cioè quanto in patria prima di partire, e altri sei o sette anni in viaggio.
Poco dopo prese parte a una battaglia navale tra Veneziani e Genovesi e fu fatto prigioniero. Forse per suggerimento dei Genovesi, che erano molto interessati a fare concorrenza ai Veneziani sui mercati asiatici, Marco Polo si convinse a usare il tempo della prigionia per scrivere il racconto dei suoi viaggi, che sarebbe stato molto utile ai mercanti. Ma non lo scrisse direttamente. Suo compagno di prigionia era un letterato pisano, Rustichello, specializzato in poemi cavallereschi in francese, che era una lingua di gran moda per quel genere di storie. Marco gli raccontò il viaggio e Rustichello lo scrisse in una forma letteraria: così il libro ha, in pratica, due autori. Il Milione ebbe un grandissimo successo: se ne fecero immediatamente traduzioni in varie lingue, riduzioni, adattamenti, e il libro – manoscritto, perché la stampa in Europa non era stata ancora inventata, mentre in Cina sì – circolò in un enorme numero di copie.
Nel 1299 Marco fu liberato e tornò a Venezia, dove riprese a fare il mercante senza più viaggiare lontano, si sposò ed ebbe tre figlie. Morì nel 1324, ma non ebbe, a quanto pare, la soddisfazione di essere davvero creduto dai suoi concittadini: si dice che perfino in punto di morte gli venne chiesto di confessare che aveva raccontato molte bugie ed esagerazioni... e forse il soprannome con cui veniva chiamato a Venezia (Milione, appunto, che poi passò come titolo al suo racconto) si riferiva proprio all’incredulità che le sue storie provocavano negli ascoltatori.
Il racconto di Marco Polo, invece, è stato poi verificato su altri documenti, come gli archivi cinesi, ed è esatto a proposito di luoghi e popolazioni, usanze ed eventi, organizzazione dell’Impero e personaggi. Le sue sono le notizie, pratiche ed essenziali, di un mercante che si è trasformato in funzionario, e non lasciano molto spazio alla fantasia. Alcune ‘esagerazioni’ dipendono dalla forma che Rustichello aveva dato al racconto, per renderlo più attraente, altre sembravano tali per l’incredulità dei lettori: per esempio, nel libro si parla di palazzi o di intere città dai tetti «tutti d’oro», che è un’esagerazione, mentre è vero che in Oriente si usava (e si usa ancora) rivestire con una sfoglia d’oro i tetti degli edifici importanti. O si racconta di eserciti di centinaia di migliaia di soldati e di città con milioni di abitanti: cose che nell’Europa di allora, che aveva una popolazione scarsa e dove le città erano molto piccole, erano lontanissime dall’esperienza e sembravano inverosimili, ma che per la Cina erano esatte.
Oppure si spiega che per moneta veniva utilizzato qualcosa di simile alle banconote, e in Europa sembrava ridicolo che qualcuno accettasse di farsi pagare con pezzi di carta, invece che con pezzi d’oro o d’argento sonante: ma era proprio così.
Molte delle informazioni di Marco Polo costituiscono le prime vere notizie arrivate in Occidente sull’Asia. Soltanto nell’Ottocento alcuni studiosi cercarono conferme certe al racconto: e scoprirono che le notizie che conteneva erano tutte più o meno vere. In Oriente, invece, Marco ebbe tutta la fiducia che meritava.
In fondo, Marco fu poco creduto perché il suo libro parla di una civiltà molto evoluta, di una società ottimamente organizzata, di un governo attento ed efficace, di una tecnologia sviluppata, e tutto questo a proposito di popoli che gli europei consideravano invece barbari della peggior specie.
Quello che sembrava impossibile, cioè, era che ci fosse al mondo un popolo non europeo capace di comportarsi in maniera così civile.
Qualcuno, comunque, credette ai racconti di Marco: Cristoforo Colombo, per esempio, considerò Il Milione una fonte affidabile e fondamentale, e quando arrivò in America (convinto che fosse, invece, l’Asia) chiese dove poteva trovare il Gran Can, l’imperatore della Cina. Alla descrizione geografica di Marco credettero anche molti autori di carte geografiche: esistono diversi atlanti e mappamondi del Trecento e del Quattrocento che riprendono con molta attenzione quei nomi di città e regioni, che per primo Marco Polo aveva fatto conoscere in Europa.
Altri scrittori di viaggio, magari senza credere molto al racconto di Marco, lo sfruttarono per costruire racconti di viaggi fasulli: per esempio, in un libro di viaggio di grandissimo successo, scritto qualche decennio più tardi da un cavaliere (John Mandeville), che in realtà forse era arrivato in Terrasanta, ma che più probabilmente non si era mai mosso dall’Europa, una delle fonti più copiate è proprio Il Milione, le cui informazioni sono mescolate con leggende antiche, storie da marinai, pezzi di altri racconti di viaggio –, e nessuno se n’accorse per secoli.