PIO, Marco
PIO, Marco. – Ultimo erede della antica dinastia che aveva lungamente retto il feudo di Sassuolo, nacque il 4 ottobre 1567 da Ercole e Virginia Marino.
Tra il 1563 e il 1570 i due dettero alla luce altre cinque figlie (Lucrezia, Benedetta, Vittoria, Anna e Maria), tutte destinate alla monacazione con la sola eccezione di Benedetta, andata in sposa al conte Girolamo Sanvitale. La gioia per l’atteso erede maschio si manifestò nella solenne cerimonia di battesimo, celebrata a Sassuolo dal vescovo di Reggio Emilia, alla presenza dei duchi di Ferrara e del procuratore del duca di Savoia, il 26 ottobre 1568.
Quando Marco aveva appena tre anni, il padre Ercole morì a Zara nel corso dei combattimenti sotto le insegne veneziane (20 gennaio 1571). La reggenza passò al fratello di Ercole, Enea, che avrebbe dovuto gestire lo Stato fino ai venti anni di Marco. La madre del giovanissimo principe si trasferì a Milano senza poter portare con sé il figlio, e convolò a nuove nozze con il conte Marino de Leyva. Le cure di Marco furono affidate alla nonna paterna, Lucrezia Roverella, per volere del duca Alfonso II, che non vedeva di buon occhio l’educazione di un suo feudatario a Milano, sotto l’influsso spagnolo. Il duca accolse dunque Marco a corte, mentre Enea Pio si insediava a Sassuolo e celebrava le proprie nozze con Laura Obizzi.
L’educazione ferrarese del giovane non produsse tuttavia gli effetti sperati e presto si manifestarono le sue inclinazioni ribelli. È noto, per esempio, il tentativo di portarsi in Spagna nel 1585, con soste a Milano e a Savona, fermato solo dall’intervento dello zio. Per arginare simili comportamenti si cercò di trovare moglie al principe e, dopo accidentate trattative, si profilò il nome di Clelia Farnese, figlia del cardinale Alessandro e vedova dal 1585 di Giovanni Giorgio Cesarini, che aveva sposato appena quattordicenne. L’unione, imposta a Clelia dal padre giunto a rapirla e allontanarla da Roma, fu celebrata solennemente a Caprarola il 2 agosto 1587. Il 29 dicembre successivo, dopo essere stati ospiti a Urbino di Francesco Maria II della Rovere, gli sposi giunsero a Sassuolo accolti da feste e apparati che si protrassero fino agli inizi del nuovo anno. Nel 1590 Marco si recò nelle Fiandre per combattere con le truppe cattoliche al fianco di Alessandro Farnese. Dopo il suo rientro in patria, avvenuto sul finire del 1592, restò coinvolto in una lite (4 marzo 1593) con il conte Ercole Trotti, scatenata da presunte questioni di precedenza, come già gli era accaduto nel 1589 con il nobile Gherardo Rangoni.
Nel febbraio del 1594 Pio si trasferì a Roma, vagheggiando migliori fortune e l’acquisizione del titolo ducale. Qui tentò di ottenere da Giuliano Cesarini, figlio di primo letto della moglie Clelia, il feudo di Civita Lavinia che portava con sé l’agognato titolo, ma né Cesarini né il papa si dichiararono disposti a cedere. Riuscì invece a ottenere i feudi di Stipes, Torricella e Ginestra in Sabina. Dopo un breve rientro a Sassuolo, nel dicembre 1594 Marco tornò a Roma con la moglie per gestire i nuovi territori. Qui abitò nella villa dei Chigi alla Lungara, profondendo ingenti ricchezze per condurre una vita degna delle proprie ambizioni. Fu in quest’ottica che offrì a Clemente VIII i propri servigi nel 1595, quando il papa inviò un drappello di truppe all’imperatore impegnato in Ungheria contro i turchi. Pio, a capo di un contingente pontificio, giunse a Innsbruck il 30 luglio munito di lettere commendatizie, e il 18 agosto si trovava già sul teatro di guerra a Strigonia (Esztergom). Anche a causa delle spese sostenute nel corso di quella missione, in parte ripianate con la vendita dei gioielli della moglie, meditò la vendita di varie terre nel Ferrarese e nel Modenese – proposito sventato dall’intervento dello zio Enea con cui erano in corso contrasti di natura patrimoniale.
Una nota a parte merita la sua lunga amicizia con Torquato Tasso, invitato a risiedere a Sassuolo, ma mai recatosi nel piccolo feudo nonostante l’intenzione espressa. Il duraturo rapporto epistolare tra i due culminò in un presunto lascito testamentario del poeta, che designò come erede dei suoi pochi beni lo stesso Pio. L’amore di Marco per la poesia si manifestò, oltre che nella frequentazione di letterati come Giovanni Battista Guarini, Alfonso Fontanelli, Ridolfo Arlotti, Orazio Ariosti e Girolamo Casoni, anche nell’istituzione a Sassuolo di un’Accademia degli Unanimi, dedita alla promozione delle lettere, della musica e del teatro.
La bellezza delle arti non distolse però Pio dai suoi progetti di emancipazione dagli Estensi a vantaggio di un legame più diretto con il papato e l’Impero. Le iniziative non erano mancate: nel 1592 Marco si era arrogato il titolo di principe, obbligando Alfonso II d’Este a intimargli di desistere da quell’uso inaccettabile, che fu in effetti accantonato fino a quando la morte del duca, il 27 ottobre 1597, non riaprì i giochi. La devoluzione di Ferrara del 1598, e lo schiaffo inflitto al nuovo duca Cesare dal papa, spinsero Pio a recarsi nell’ormai perduta capitale estense per omaggiare il pontefice che lo accolse calorosamente e, esaudendo antiche speranze, gli concesse il titolo di duca della Ginestra. La spregiudicatezza del signore di Sassuolo giunse persino a negoziare con la corona spagnola la vendita di Soliera, i cui proventi avrebbero dovuto ripianare il dissesto finanziario del casato. Non pago, Marco – che il 22 dicembre 1597 aveva nominato suo erede universale il duca di Parma Ranuccio Farnese – iniziò a trattare con l’imperatore Rodolfo II per ottenere il titolo principesco, forse concessogli intorno al marzo 1598 (la documentazione a riguardo non offre un quadro univoco, e lo stesso imperatore volle probabilmente conservare qualche spazio di manovra). Nella primavera di quell’anno nelle corti italiane si diffuse comunque la voce che Pio avesse ottenuto il titolo, e non sorprende che Cesare d’Este, preoccupato per le iniziative di quel vassallo riottoso, gli negasse il rinnovo della concessione feudale su Sassuolo (giugno 1599).
Circolavano nel frattempo indiscrezioni sulle cattive intenzioni della moglie di Marco, Clelia, che molti volevano stesse progettando di avvelenare il marito per gli insanabili dissapori tra i due. In quegli stessi giorni Pio veniva poi investito da un ulteriore scandalo. La cugina Eleonora, dopo essersi allontanata dal marito Giovanni Bentivoglio, era tornata a Sassuolo; trascorso poco tempo, accusò Marco di averla insidiata e, per ottenere giustizia, si appellò al duca Cesare. Questi, mandate le sue guardie, convocò Pio a corte imponendogli di scusarsi con un atto ufficiale.
Il 10 novembre 1599, proprio mentre si trovava a Modena per risolvere la controversia, Pio venne colpito da tre archibugiate lungo la strada di casa. Tutti i membri del seguito, a eccezione dell’ebreo Iseppe, noto giocatore con cui Marco si era intrattenuto in castello, rimasero illesi, mentre il signore di Sassuolo cadde gravemente ferito. Trascinatosi in castello per chiedere soccorso al duca, Pio fu accolto e medicato. Le porte della città furono chiuse e il 21 novembre il feudo di Sassuolo venne posto transitoriamente sotto sequestro. Pio restava in castello, con il divieto di rientrare a Sassuolo, e lì fu raggiunto dalla moglie, dallo zio Enea e da altri congiunti: il 17 novembre si confessò e tre giorni dopo ricevette il viatico e l’estrema unzione.
Il 27 novembre si spense a soli trentadue anni.
Il suo corpo, imbalsamato, fu trasportato in abito da cappuccino nel convento di S. Francesco a Sassuolo, dove gli fu data sepoltura. Nonostante il duca avesse dato ordine di cercare i colpevoli, non fu mai possibile identificare gli autori dell’attentato (capeggiato, secondo alcuni, da un certo Jacopo Buosi detto il Paesano). Questo e altri dettagli del burrascoso epilogo indussero molti a pensare che dietro l’assalto ci fosse lo stesso duca, probabilmente consigliato dal fratello, il cardinale Alessandro, piccato per il diniego opposto da Pio a un suo incontro con suor Camilla (al secolo Lucrezia), sorella di Marco, di cui si era invaghito. Certamente l’uccisione di Pio offrì al duca il pretesto per incamerare il distretto sassolese, non concesso a Enea Pio, che pure nell’ultimo testamento di Marco era stato designato suo erede universale. La mancata infeudazione fu impugnata da Enea e, dopo la sentenza della Rota romana, che invalidava l’accusa di fellonia gravante sui Pio, e i tentativi di composizione promossi dall’imperatore, solo nell’aprile 1609 una sentenza inappellabile di Carlo Emanuele di Savoia, nominato giudice nella causa, chiuse la questione decretando il ritorno di Sassuolo allo Stato estense e il rimborso di 215.000 ducatoni a Enea Pio.
Fonti e Bibl.: G. Campori, Memorie storiche di M. P. di Savoia, signore di Sassuolo, Modena 1871; N. Cionini, Cenni e documenti su M. P. signor di Sassuolo, in Atti e memorie delle RR. Deputazioni di storia patria per le provincie modenesi e parmensi, s. 3, II (1883), pp. 497-544; Id., Appendice alla monografia su M. P., ibid., III (1885), pp. 241-243; V. Santi, Un presunto erede di Torquato Tasso, in atti e memorie della R. Deputazioni di storia patria per le provincie modenesi, s. 4, IV (1893), pp. 139-147; A.F. Ivaldi, Le nozze Pio-Farnese e gli apparati teatrali di Sassuolo del 1587: studio su una rappresentazione del primo dramma pastorale italiano, con intermezzi di G. B. Guarini, Genova 1974; M. Schenetti, Storia di Sassuolo centro della valle del Secchia, riveduta e aggiornata fino all’anno 1950, Modena 1975, pp. 127-153; R. Piacentini, M. P. ultimo signore di Sassuolo, in E. Rotelli - R. Piacentini, Storia di Sassuolo dalle origini alla fine della signoria Pio, Bologna 1989, pp. 93-117; G. B. Spaccini, Cronaca di Modena (anni 1588-1602), a cura di A. Biondi - R. Bussi - C. Giovannini, Modena 1993, ad annos; A. Barbieri, Maschi bizzosi e savie donne, Reggio Emilia 1999; I Pio e lo Stato di Sassuolo, Sassuolo 2000; G. Fragnito, Storia di Clelia Farnese. Amori, potere, violenza nella Roma della Controriforma, Bologna 2013, passim.