PALMEZZANO, Marco
Pittore, nato a Forlì, è incerto in quale anno: nel 1456 secondo l'iscrizione (d'altronde non chiara e non autentica) dell'autoritratto nella pinacoteca forlivese; nel 1459 secondo le induzioni del Grigioni; morto nel 1539.
Luca Pacioli lo afferma discepolo di Melozzo, ma non abbiamo sue opere giovanili, poiché il S. Sebastiano di Karlsruhe ha una data falsa (1471), falsa è la firma nella pala già nella confraternita dei Bianchi in Valverde a Forlì (ora nella chiesa di Bulciago, Como - dai depositi di Brera) e una Crocefissione in collezione privata a Londra si deve certamente attribuire, anche per ragioni di stile, al 1531 e non al 1481. Una lacuna fra gli anni 1485 e 1492 nei documenti forlivesi trovati dal Grigioni ha fatto supporre che appunto in questo periodo il P. sia stato con Melozzo a Loreto e forse a Roma: già probabilmente aiuto e collaboratore, più che semplice scolaro. Nella cupola della cappella del tesoro a Loreto, in parte l'esecuzione è del P. e più largamente ancora egli partecipa, per consenso dei critici, nell'affresco della parete con l'Entrata di Cristo in Gerusalemme, dove l'idea compositiva grandiosa e originale è certo di Melozzo, ma del P. è non solo l'esecuzione, ma anche qualche particolare come lo sfondo.
La decorazione della cappella Feo a Forlì, che si può datare fra il 1490 e il 1495, nella cupola a grandi figure di profeti sopra uno sfondo a cassettoni riccamente ornati, si giova non solo dell'esempio di Loreto, ma forse anche di qualche disegno di Melozzo. La lunetta, con un Miracolo di San Giacomo, mostra il P. solo, ancora dominato dagl'influssi melozziani, ma già sviato in ricerche accessorie (ricchezza ed esotismo dei costumi, mimica dei personaggi). Anche melozzeschi sono nella pinacoteca di Forlì l'affresco con la Crocefissione (1492), e soprattutto l'Annunciazione e la Madonna a mezzo busto col Bambino, floridamente popolaresca, soda, brillantissima di colore: le migliori cose del P., se a lui propriamente si possono attribuire, poiché, in specie per l'Annunciazione, la critica è in dubbio se non sia da scorgersi, almeno in parte, ancora l'opera di Melozzo in persona. La Madonna fra quattro Santi (1493), già nella confraternita dei Bianchi a Forlì (Milano, Brera) mostra un disorientamento prodotto da altri influssi tra mantegneschi e ferraresi e una decadenza nella durezza del segno e dello stridore delle tinte ora squallide ora sgargianti. Si accentuano gli elementi ferraresi soprattutto costeschi, nel S. Antonio della pinacoteca di Forlì e nella Madonna della pinacoteca di Faenza, che si può documentariamente datare fra il 1497 e il 1500. Fra il 1495 e il 1505 il P. si recò spesso a Venezia; e influssi veneti, soprattutto di Cima da Conegliano e del Montagna, si aggiunsero così agli altri sovrappostisi all'educazione melozzesca del P. Si ha quindi dopo il 1500 un'abbondantissima produzione con composizioni spesso ripetute in repliche innumerevoli (S. Girolamo nel deserto, Sacre famiglie, Cristo trascinato al Calvario, a mezze figure). Notevoli la molto cimesca Comunione degli Apostoli della pinacoteca di Forlì, l'Incoronazione della Vergine, a Brera, rondinelliana; il Cristo sorretto dagli Angeli, del Louvre, costesco, ecc. Da ricordarsi anche qualche ritratto (di un Rovesella, nella pinacoteca di Cesena; del duca Valentino in quella di Forlì; l'autoritratto, nella pinacoteca di Forlì e nella galleria Carrara).
Del P., di cui lo Scannelli ricorda la "laudabile mediocrità", il periodo migliore, ma non precisamente definibile con opere certissime, doveva essere quello giovanile, nel quale egli seguì gl'insegnamenti di Melozzo con una certa ingenua vanità provinciale. Ma il provincialismo si aggrava ben presto di un indifferente eclettismo, che impoverisce e traduce dialettalmente i modelli illustri scelti a caso.
Bibl.: A. Venturi, Storia dell'arte ital., VII, ii, Milano 1913, p. 64 segg.; R. Buscaroli, La pittura romagnola del Quattrocento, Faenza 1931, p. 179 segg.; Gronau, in Thieme-Becker, Künstler-lexikon, XXVI, Lipsia 1932.