MUSURO, Marco
(Μάρκος Μουσοῦρος). – Nacque da Giovanni a Candia di Creta attorno al 1475. La nascita, tradizionalmente fissata al 1470 sulla base di una testimonianza di Erasmo da Rotterdam, si deduce dall’epoca del suo passaggio in Italia al seguito di Giano Lascaris, collocabile nella prima metà del 1492.
Il padre fu a lungo identificato con tale Giorgio Musuro presente a Candia a un testamento rogato nel 1486, ma in nessun modo riconducibile al nostro. Per contro, a Firenze, nei primi anni Novanta del Quattrocento, venne copiato un gruppo di manoscritti che reca la sottoscrizione Mάρκος Ἰ’Ιωάννου (Marco di Giovanni). All’identificazione con Musuro si è a lungo opposta la diversa esecuzione di alcune lettere, tuttavia, oltre a una più attenta analisi paleografica, dirimente è risultata una nota presente nel ms. α.T.8.1 (gr. 101) della Biblioteca Estense e universitaria di Modena: il 7 ottobre 1508 il codice era in mano a tale Ἰ’Ιωάννης Mουσοῦρος (Giovanni Musuro), ma sui margini sono state rinvenute annotazioni di mano di Marco Musuro, e d’altra parte è noto da una lettera di Erasmo come in quegli anni l’anziano padre di Musuro vivesse nella casa patavina del figlio.
Musuro fu probabilmente condiscepolo di Giovanni Gregoropulo a Creta alla scuola di Aristobulo Apostolis, solo di qualche anno più vecchio di lui. Tra la primavera e l’estate 1492 approdò a Firenze condottovi da Lascaris, che si era recato in Grecia per conto del Magnifico con finalità spionistiche, ma anche allo scopo di acquistare codici e di reclutare giovani studiosi. Con Musuro, che rievocò questo periodo in una lettera dell’11 luglio 1499 da Ferrara a Zaccaria Calliergi, giunsero da Creta Michele Trivolis, Cesare Stratego e lo stesso Aristobulo Apostolis; mentre da Corfù Lascaris portò con ogni probabilità Michele Suliardo.
Prese allora forma a Firenze una vera e propria scuola dedita allo studio e alla trascrizione di testi, destinata a preservare e a rinvigorire il filone della classicità greca in Italia e in Europa. I codici di questo primo periodo fiorentino trascritti o annotati da Musuro assommano a una ventina, tutti con caratteristiche materiali simili. Uno di essi, il Vat. gr. 1336, a c. 199r reca la nota «Canđđ 1491», forse per «Candide», ossia Candia; ciò indicherebbe che la trascrizione fu avviata a Creta ma, come conferma la sottoscrizione di c. IIIv, venne terminata a Firenze nel 1493. Tra le opere trascritte merita particolare attenzione l’allestimento del corpus degli oratori attici minori, affidato al ms. Burney 95 della British Library (la cosidetta tradizione «athonita») e al ms. Pal. gr. 88 della Universitätsbibliothek di Heidelberg (tradizione «palatina»). Da una copia del Burney 95, il Laur. Plut. 4.11, Musuro trascrisse la prima porzione degli oratori nell’attuale Burney 96, mentre riversò i testi «palatini» nel Laur. Plut. 57.52. Parallelamente, e in modo identico, operavano Suliardo e Apostolio, quest’ultimo trascrivendo le due tradizioni nei Marc. gr. VIII.6 (1106) e VIII.1 (1159). Un lavoro d’équipe, come testimoniano l’analoga confezione materiale dei codici e il fatto che tanto nel Burney 96 quanto nel Marc. gr. VIII.1 (1159) sono ravvisabili correzioni e interventi incrociati di Apostolio e di Musuro. Agli oratori furono affiancati altri testi ausiliari come il Lessico di Arpocrazione e il De Lysia di Dionigi di Alicarnasso. Infine, sia Apostolio sia Musuro scelsero di attingere l’Helenae laudatio di Gorgia e altri testi non dal Laur. Plut. 4.11 ma dal ramo «palatino», trascrivendoli dunque nelle rispettive copie di quella tradizione, ossia il Laur. Plut. 57.52 e il Marc. gr. VIII.6 (1106). Si configurò così una vera e propria «edizione fiorentina» manoscritta (Avezzù, 1985, p. LXXXV), dalla struttura analoga a quella dell’edizione aldina degli oratori (1513).
Tra la fine del 1494 e i primi del 1495 Musuro si trasferì a Venezia. Vi si trovava certamente l’11 luglio 1495, quando sottoscrisse il commento di Alessandro di Afrodisia ai Sofistici elenchi di Aristotele (El Escorial, Real Biblioteca de San Lorenzo, Scor. Φ.II.6 [203]), ma forse vi giunse anche prima, dato che la sua presenza è attestata in due epigrammi dell’edizione aldina di Museo, stampata molto probabilmente tra il settembre e il novembre 1495 e sulla medesima carta usata per una parte dei fascicoli degli Erotemata di Lascaris, del marzo di quell’anno: nell’esemplare di tipografia, identificato nell’attuale ms. α.R.7.18 (gr. 31) della Biblioteca Estense e universitaria di Modena, è stata ravvisata la mano di Musuro, che in tutta evidenza lo portò con sé da Firenze.
Dopo un soggiorno a Candia di circa un anno, nel settembre 1497 Musuro rientrò a Venezia (come risulta da un paio di lettere di Giorgio Gregoropulo al figlio Giovanni), dove sostenne una lunga controversia con Aristobulo Apostolis riguardo le entrate legate al monastero di S. Demetrio di Candia. Un anno dopo fu chiamato in causa in un processo contro il cappellano greco di S. Biagio, Andrea Servos: tra i capi d’imputazione, oltre all’avvelenamento dello stesso Stratego, figurava la trascrizione e il possesso di un libro di magia. Per l’expertise paleografica, condotta sul confronto con due lettere autografe di Servos, venne chiamato, fra gli altri, anche Musuro, che offrì una prova di straordinaria perizia.
Al 1495 data la sua collaborazione con la tipografia aldina, come testimoniano i citati epigrammi nell’edizione di Museo; seguirono il Dictionarium Graecum di Giovanni Crastone, del dicembre 1497 (Aldo Manuzio tipografo, 1994, n. 18) e le commedie di Aristofane con corredo di scoli metrici, del 15 luglio 1498 (ibid., n. 26).
L’intervento sulla tradizione scoliastica è stato valutato in modo oscillante, ora sostenendo che egli «si limitò ad accettare il lavoro di revisione compiuto dal filologo bizantino Demetrio Triclinio» (Wilson, 2000, p. 196), ora rivalutandone l’opera «di scorcio e sintesi […] che presuppone una profonda pratica degli elementi costitutivi delle masse ‘liriche’» (Tessier, 2001, p. 79 n. 12). All’Aristofane succedettero subito gli Epistolografi greci, del marzo-aprile 1499. La revisione di Musuro si esercitò probabilmente anche sull’edizione degli Opera omnia del Poliziano, del luglio 1498: il passo del De Periclis eloquentia dei Demoi di Eupoli citato dal Poliziano in Miscellanea, XCI, figura corretto rispetto al testo offerto dalla princeps fiorentina, e la lezione coincide con quella che Musuro citò a commento degli Acarnesi 530 s. nella coeva aldina di Aristofane.
Mentre prestava la sua opera nell’officina aldina, Musuro avviò una collaborazione con la tipografia di Zaccaria Calliergi e Nicola Vlastos, impegnandosi ad allestire la monumentale edizione dell’Etymologicum magnum uscita l’8 luglio 1499. Nell’elegia premessa al poderoso in folio rivendicava il primato dei greci, il cui ingegno e abilità imprenditoriale avevano trionfato sulle iniziative dei predecessori. Nonostante la stoccata, Manuzio inserì nel proprio catalogo di vendita del 1503 anche i libri della ditta Calliergi - Vlastos.
Nell’estate 1499 Musuro passò a Ferrara. Da qui il 21 luglio riferì a Calliergi della visita resa a Niccolò Leoniceno per visionare alcuni manoscritti della sua biblioteca: l’obiettivo era l’acquisto di codici di Galeno, probabilmente in vista dell’edizione che Calliergi eseguì nell’ottobre 1500. Da Ferrara mosse verso Carpi, dove si trovava già nel marzo del 1500, come testimonia una serie di lettere inviate a Michele Trivolis e a Giovanni Gregoropulo. Assunto in qualità di precettore e bibliotecario del principe Alberto Pio, si trattenne per oltre due anni, allontanandosi in più occasioni: certo, come informa la prefatoria di Manuzio alle tragedie di Sofocle (agosto 1502), nell’estate del 1501 per incontrare a Milano e a Pavia il suo antico maestro Lascaris, e verosimilmente nell’inverno 1501-02 per recarsi a Venezia. Nel pur breve passaggio veneziano contribuì all’allestimento degli Opera di Stazio e dell’Orthographia graecarum dictionum, premessa ai testi in ausilio ai lettori (agosto e novembre 1502). Allora Musuro era ancora di stanza a Carpi, come ben chiarisce la dedica dell’Orthographia indirizzatagli da Manuzio e conferma una lettera di Musuro a Giovanni Gregoropulo inviata da Carpi il 20 agosto, quasi certamente del 1502 (Renouard, 1825, p. 282 tav. a). A quella altezza i presunti dissapori tra Manuzio e Musuro erano stati dunque ricomposti. Più difficile stabilire se fosse anche seguito il ritorno in laguna, solo si sa che il 20 ottobre 1502 Manuzio chiuse la dedicatoria a Iacopo Sannazaro de La vita de’ Zichi chiamati Ciarcassi di Giorgio Interiano con una lusinghiera menzione di Musuro.
L’ombra di Musuro sembra stendersi anche sul progetto editoriale delle tragedie di Sofocle: pur avendone annunciato l’uscita con debito corredo di commentari, nel 1502 Manuzio si limitò a pubblicare il nudo testo, ma promise che a breve avrebbe offerto ai lettori anche gli scoli. Nei paraggi dell’atelier aldino era probabilmente disponibile a quell’epoca un manipolo di codici delle tragedie con scoli di Demetrio Triclinio: accanto al testimone bessarioneo Marc. gr. Z 470 (824), spiccano il ms. Modena, Biblioteca Estense e universitaria, α.Q.5.20 (gr. 87), di mano di Andronico Callisto (poi passato a Giorgio Valla e nel 1500, alla sua morte, confluito nella biblioteca di Alberto Pio a Carpi) e il ms. Parma, Biblioteca Palatina, Pal. 3176, quasi tutto di mano di Calliergi, che unisce più tradizioni scoliastiche in parte rimontanti al Par. gr. 2799 (apografo del Laur. Plut. 32.9) vergato da Musuro. L’insieme dei dati farebbe intravedere «un progetto editoriale di Musuro e dei suoi collaboratori» (Tessier, 2000, p. 355) forse compiuto durante il periodo carpigiano e orientato ad approntare la versione scoliata annunciata da Manuzio. L’ipotesi è confortata dalla presenza della mano di Musuro nel codice Estense.
Il 22 luglio 1503 arrivò la chiamata allo Studio di Padova, prima come sostituto di Lorenzo Camerte poi, alla sua morte (1505), come professore di ruolo. Musuro riservava la mattinata alle esercitazioni grammaticali, mentre dedicava il pomeriggio per lo più alla lettura dei poeti. Le sue lezioni acquistarono presto grande notorietà e attirarono allievi da tutta Europa. Fra essi andrà ricordato innanzitutto Iohannes Cuno, che dei corsi padovani conservò appunti, esercitazioni e anche materiali autografi del maestro: il ms. di Sélestat, Bibl. Humaniste, 102, ospita la traduzione della epistola XXXVIII di s. Basilio Magno condotta da Cuno sul codice di Musuro, e il ms. 109 conserva, fra l’altro, una preghiera alla Vergine autografa di Musuro. Appunti delle lezioni sono testimoniati dai mss. Basel, Öffentliche Bibliothek der Universität, F.VI.37 e F.VI.40; Sélestat, Bibl. Humaniste, 105; London, British Library, Arundel 550, autografo di Cuno. Se ne ricava che tra il 1506 e il 1509 Musuro tenne lezione su Teocrito, Pindaro, Plutarco, Luciano, Filostrato, Aristofane, Sofocle, Euripide e sull’Antologia Planudea.
Il lavoro padovano sull’Antologia è testimoniato anche dalle postille autografe dell’incunabolo Vaticano III.81 (cui si legano, secondo modalità non ancora del tutto chiarite, gli incunaboli Vat. III, 78, 79, 80, ma non i più tardi mss. Vat. gr. 1169 e 1416, cfr. Pontani, 2002B, p. 579). Esso riveste particolare rilievo in quanto «deve essere visto come il nucleo originario da cui scaturì il corpus scoliastico greco tradizionale» (ibid., p. 576). Da qui discendono in tutto o in parte molti dei successivi corpora, dagli estratti raccolti nel commento di Lattanzio Tolomei fino al ben noto approdo degli Epigrammatum Graecorum… libri VII, Francoforte, Err. A. Wechel, 1600. L’esegesi musuriana così, come emerge da questi materiali, appare gravata dal peso della «prassi scolastica bizantina […], un metodo ermeneutico poco adatto a testi complessi come sono gli epigrammi» (ibid., p. 577). La strumentazione lessicografica tradizionale adibita mal si presta a risolvere complicati problemi di illustrazione erudita, senza contare che «la mole complessiva dell’opera da un lato e le necessità didattiche dall’altro avranno condizionato in senso negativo la qualità dell’impegno di Musuro» (ibid.). I marginalia di Musuro vanno peraltro inscritti nel più ampio quadro dell’attività esegetica sull’Antologia cui si mostrano variamente connessi: fra i testimoni di maggiore interesse che dialogano a vari livelli con l’ekdosis musuriana andranno ricordati almeno i manoscritti Milano, Biblioteca Ambrosiana, O.122 sup. e Napoli, Biblioteca nazionale, II.D.44, autografi rispettivamente di Lazzaro Bonamico e Girolamo Aleandro – entrambi allievi a Padova di Musuro – e tardi apografi di un più antico commento ascrivibile allo stesso Aleandro, elaborato a ridosso dei corsi padovani. Vanno invece sottratte alla penna di Musuro le postille all’esemplare della princeps fiorentina Marc. gr. IX 38 (ibid., p. 598 n. 5).
Accanto a Cuno, Aleandro e Bonamico, altri allievi di Musuro poi divenuti celebri furono Maffeo Leoni, Filippo Pandolfini, Niccolò Liburnio, Andrea Navagero, ma anche umanisti già affermati come Raffaele Regio che, stando alla testimonianza di Erasmo da Rotterdam, pur settuagenario non si perdeva una lezione (Del Negro, 1999, pp. 135 s. n. 10). Resta aperto l’interrogativo su dove Musuro tenesse lezione. Un filo esilissimo si dipana dalla sottoscrizione del Vat. lat. 3067, datato 1505-06 e già assegnato a Musuro (Mercati, 1938, p. 57 n. 3): «Patavii. In burgo Zucho. In aedibus Franc. bibliopolae», in borgo Zucco dunque, ossia vicinissimo alle università di legisti e artisti. Come spesso accadeva in questi casi, Musuro avrebbe dunque tenuto scuola nell’abitazione del libraio dove dimorava. Costui potrebbe essere identificato con il «Franciscus Patavinus» e «Italus bibliopola», amico di Erasmo, che nel 1511 a Londra riusciva, unico, a far giungere dall’Italia le edizioni aldine. La tenue liaison poggia sul breve soggiorno padovano di Erasmo (ultimi mesi del 1508): da una lettera indirizzatagli da Jean Lange nel 1524 sembra potersi dedurre che Erasmo fosse «eadem et domo et mensa Paduae convictor» di Germain de Brie, allora allievo di Musuro (Del Negro, 1999, pp. 137 s.).
Nel dicembre 1504, il Senato della Repubblica mise a concorso la cattedra veneziana della Scuola della Cancelleria, con esplicito mandato di tenervi un insegnamento di greco. Si presentarono Musuro e Leonico Tomeo, che ottenne il posto, forse su raccomandazione dei due savi del Consiglio Marco Sanuto e Girolamo Donà. Quest’ultimo sarebbe identificabile nell’anonimo destinatario di una lettera carica di insulti, inviata da Padova nel 1507, in cui Musuro diede sfogo a tutta la propria delusione.
Accanto all’insegnamento Musuro riprese la collaborazione con l’officina aldina per l’allestimento degli Opuscula di Plutarco (marzo 1509): al testo, già in cantiere dal dicembre 1506 stando a una lettera di Iohannes Cuno allo stesso Aldo, presiedeva un’équipe di filologi che includeva Scipione Carteromaco, Leonico Tomeo, Girolamo Aleandro, Demetrio Duca e Pietro Candido da Portico. I codici utilizzati furono probabilmente due: l’Ambr. C.195 inf. e il Laur. Plut. 80.21. Nel secondo la mano di Musuro si affianca a quelle del Poliziano e di Lascaris. Ciò, oltre a confermare la partecipazione di Musuro al progetto plutarcheo, crea una importante liaison con la biblioteca di Lascaris: il manoscritto Laurenziano infatti non figura tra quelli che dopo la morte di Lascaris passarono al cardinale Niccolò Ridolfi, potrebbe invece rientrare nel novero dei codici che seguirono l’erudito bizantino in Francia per tornare poi a Venezia, dove poté essere studiato da Musuro. Nel triennio 1508-10 Musuro si cimentò anche con i Florilegia di Stobeo, trascrivendone il testo nell’attuale Par. gr. 2130.
Nell’estate 1509, allorché lo Studio ridusse sensibilmente la propria attività, Musuro si trasferì a Venezia: una lettera inviatagli da Bonamico indicherebbe che si mosse prima dell’arrivo degli imperiali (6 giugno), ma certo non molto prima, essendo tenuto a terminare le lezioni; una nota non autografa sull’Euripide Par. gr. 2810 certifica che il codice fu dato in dono da Musuro il 15 novembre 1512, ma una seconda postilla a c. 110v, anch’essa non autografa, testimonia l’attività di uno studente che terminò di annotare la lezione di Musuro l’11 agosto 1509, a Venezia (Speranzi, 2010D, p. 342 e nn. 108 s.). Nel 1510 la Repubblica conferì a Musuro l’incarico di traduttore dei documenti greci. Il 23 gennaio 1512 venne deliberata la sua condotta come professore di greco presso la Scuola di S. Marco, ruolo che mantenne fino al 1516.
Le relazioni di Musuro durante questo periodo sono ricostruibili grazie a dediche e sottoscrizioni a codici di sua proprietà, nelle quali ad amici e discepoli si alternano umanisti, filologi e personalità di primo piano dell’élite culturale veneziana. Fra essi Urbano Bolzanio, dedicatario dell’Elio Aristide Marc. gr. VIII. 7 (e possessore del ms. Haun. GkS.415b della Kongelige Bibliotek di Copenhagen, usato da Musuro a Padova nel 1508 per commentare Omero sull’attuale Inc. I.50 della Biblioteca apostolica Vaticana); il futuro cardinale Marino Grimani, dedicatario dei Rhetores Graeci nel Marc. gr. VIII. 10 (1349); Gaspare Contarini, cui andò la dedica del Galeno nel Marc. gr. V. 4 (544). Altri nomi che ricorrono sono quelli di Alvise Bembo, Antonio Brocardo, Giovanni Battista Egnazio, Andrea Navagero, Lorenzo Priuli, Girolamo Zeno. Su tutti merita di essere ricordato Carlo Cappello, figlio del diplomatico e patrizio veneziano Francesco: Musuro gli fece dono di alcuni codici accompagnando ciascuno di essi con una affettuosa dedica in versi; alla vigilia della partenza per Roma gli affidò l’intera sua biblioteca, a questa altezza ricostruibile grazie a una sua lettera ad Andrea Navagero. La propensione di Musuro per i componimenti in versi è confermata dalla pregevole Ode a Platone, un centinaio di distici elegiaci giudicati tra gli esempi più elevati di poesia rinascimentale, che accompagnavano l’edizione aldina degli Opera omnia uscita nel settembre 1513 e curata dallo stesso Musuro. Dalle note sui manoscritti di Musuro ricaviamo anche il contenuto delle lezioni veneziane. Sul Par. gr. 2697, il Commento all’Odissea di Eustazio di Tessalonica, Musuro depositò un’istruttiva annotazione il 17 ottobre 1514: «τὁν Ὃ῝Oμηρον ἐνετίεσι ἠρμήνευε τοῖς εὐπατρίδαις» (leggeva Omero a Venezia ai patrizi). In una lettera inedita databile al 1513 (Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, 2666, c. 3r-v), l’umanista trevisano Girolamo Bologni dichiara di averlo udito l’anno prima interpretare Plutarco.
L’approdo veneziano comportò un rinnovato e più assiduo impegno nella tipografia aldina. Già prima della citata consulenza offerta per gli Oratores Graeci e Platone (rispettivamente marzo e settembre 1513), Musuro aveva esortato Manuzio a pubblicare gli Erotemata di Crisolora, usciti nel 1512; nel 1513, terminò l’allestimento dei commentari di Alessandro di Afrodisia ai Topica di Aristotele, stampati in settembre, un lavoro cominciato già nel gennaio 1509; nel frattempo collaborò all’edizione delle Ad Atticum di Cicerone, uscite a giugno, redigendo con Manuzio un indice dei termini greci e aiutandolo nell’interpretatio. L’anno successivo curò l’edizione del Lexicon di Esichio e dei Deipnosofisti di Ateneo, stampati entrambi nel mese di agosto. Resta dubbio il suo intervento nell’edizione di Pindaro del gennaio 1513. In seguito alla morte di Manuzio, prestò la propria opera a due edizioni per i Giunti di Venezia di Teocrito (gennaio 1515) e di Oppiano (luglio 1515), un breve intervallo dopo il quale riprese la collaborazione con la tipografia aldina: sono sue le prefazioni alle Institutiones grammaticae di Aldo Manuzio (novembre 1515), alle Orationes di Gregorio di Nazianzio (aprile 1516) e al Pausania (luglio 1516), indirizzate rispettivamente a Jean Grolier, Jean de Pins e Giano Lascaris (celebre quest’ultima per l’elogio dell’antico maestro e della istituzione del Ginnasio greco a Roma). Il prestigio acquisito facilitò la sua candidatura quale possibile custode dei preziosi codici del Bessarione, incarico assegnato poi ad Andrea Navagero.
Il 5 dicembre 1514 Musuro si iscrisse alla Confraternita dei greci ortodossi, rinnovando l’iscrizione il 5 dicembre 1515. L’episodio chiama in causa la sua professione religiosa, che a questa altezza pare caratterizzata da un forte legame con la Chiesa ortodossa. Lo confermerebbe una parafrasi esametrica del Credo redatta forse negli anni veneziani tra 1509 e 1516. Nella parafrasi non c’è alcun cenno al Filioque e lo Spirito Santo viene fatto procedere esclusivamente dal Padre, secondo il testo seguito nella liturgia greca. Le simpatie per il rito ortodosso e l’implicito rifiuto della duplice processione dello Spirito Santo non impedirono a Musuro di ottenere la nomina vescovile, come sarebbe accaduto più tardi anche ad Aristobulo Apostolis, e di ricoprire l’incarico «di supervisore religioso di quanto veniva pubblicato a Venezia» in lingua greca (Cataldi Palau, 2004, p. 346). Nel giugno 1516, infatti, Leone X conferì a breve distanza a Musuro il vescovado di Hierapetra, nell’isola di Creta, e l’arcivescovado di Monembasia, nel Peloponneso. Il dato si evince sia da una lettera dello stesso Musuro a Bonamico datata da Venezia 15 luglio 1516, sia dalla testimonianza di Marin Sanuto (Diarii, XXII, col. 340), che però contrastano con la registrazione ufficiale del 17 luglio 1517 (Eubel, 1923, p. 248). Quello stesso anno Musuro si trasferì a Roma, dove assunse l’insegnamento presso il Ginnasio greco recentemente istituito dal Pontefice. Nonostante il nuovo incarico, non sembra che intendesse rinunciare all’insegnamento veneziano: nel mese di ottobre, infatti, assicurava comunque il Senato veneziano circa la sua presenza per l’inizio delle lezioni. Andranno prese dunque con cautela le lettere del 21 giugno e del 19 luglio 1517 con cui Andrea da Asola e Ambrogio Leoni comunicavano a Erasmo il termine della condotta veneziana di Musuro. Di fatto Sanuto porta l’iniziativa del Senato veneziano al dicembre 1517, a morte di Musuro già avvenuta, e la deliberazione ufficiale data al 29 giugno 1518, allorché fu bandito il concorso dal quale uscì vincitore Vettor Fausto (16 ottobre).
Che il ritorno di Musuro fosse atteso è confermato da un dispaccio del 29 ottobre 1517 con cui l’ambasciatore veneziano a Roma Marco Minio ne comunicava il decesso al Senato: «E perché le V. Serenità per una sua mi commette che debba intendere quando il reverendissimo Mousuro è per venire a Venetia alla sua lettura, li significo come lui grandemente desiderava ritornare a leggere, né delle cose di qui molto si sodisfaceva, ma l’è piaciuto al Nostro Signore Iddio di chiamarlo a Sé, e domenica a hore X morse» (Manoussacas, 1970, p. 462). Essendo il 29 un giovedì, e ricordando che il giorno veniva computato a partire dalla sera precedente, ne consegue che Musuro morì verso le 4 del mattino di domenica 25 ottobre 1517.
Un elenco degli epigrammi composti da Musuro e sparsi in vari manoscritti è dato da F. Pontani, 2002-03, p. 176 e nn. 2-4. L’elenco dei codici da lui posseduti o annotati si ricava incrociando i dati di Mioni, 1971 e 1974; Sicherl, 1974; Cataldi Palau, 1994 e 2004. A queste liste sono state apportate correzioni e integrazioni, distinguendo i codici in sei gruppi in base a caratteristiche grafiche abbastanza definite e assegnandoli a periodi diversi della biografia di Musuro (Speranzi, 2010A). Le addizioni (25 in tutto) sono segnalate in: Pagliaroli 2004B; Speranzi, 2010A, pp. 192 n. 18, 193 s. nn. 19-20; Id., 2010B, pp. 359 s; Id., 2010C, pp. 277 s. e n. 83, 282 n. 109; Id., 2010D, p. 343 n. 111.
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