MONTANO, Marco
– Nacque da Giovanni di Donino probabilmente a Urbino (sebbene Allegretti lo dica pesarese) sul finire degli anni Venti del Cinquecento.
Ignoto è il nome della madre e, in generale, la sua biografia è velata da ombre difficili da dissipare, per la scarsità di fonti documentarie e per la naturale riservatezza dell’autore a dire di sé, nelle proprie opere, con riferimenti sicuri. La formazione avvenne sotto il magistero del giurista Antonio Galeota, conoscitore, oltre che del latino e del greco, anche dell'ebraico, poi pedagogo del figlio del duca Francesco Maria II Della Rovere, Federico. Degli anni della giovinezza, a parte l’amicizia con Antonio Galli e la menzione del suo nome nel testamento di Guglielmo Sanfreoli (1556), non si hanno notizie fino a quando fu chiamato a Roma come segretario di Carlo Borromeo. L'esiguo carteggio con Borromeo colloca il soggiorno romano tra la primavera del 1560 e la fine del 1566 (erra Zaccagnini, che posticipa l'ufficio al 1580, attribuendolo alla mediazione di Bernardino Baldi, e lo dice anche alternato al servizio per Silvio Antoniano). Non si intravede infatti possibilità di anticipare un qualche rapporto di familiarità con Borromeo prima che questi accedesse alla porpora (31 genn. 1560), né prima che il fratello Federico, duca di Camerino, sposasse, nel maggio di quell’anno, Virginia Della Rovere. Neppure è consentito, secondo quanto il M. afferma in una lettera a Borromeo il 10 sett. 1566, già dalla primavera tornato a Milano, posticipare di molto la conclusione del segretariato, per ragioni che il M., nella dedicatoria al cardinale del tardo De veri corporis et sanguinis Domini nostri Iesu Christi sacrifitio, dichiara del tutto personali. L’esperienza romana resta segnata dall’amore per la poetessa Alda Lonati (o Lunati) e dall’amicizia con il poeta Giovan Battista Amalteo, membro dell’Accademia delle notti vaticane fondata da Borromeo il 20 apr. 1562, cui anche il M. ebbe verosimilmente accesso nella fase iniziale, quando gli interessi poetici erano dominanti sugli intenti poi divenuti strettamente controriformistici.
Nell'assenza di notizie per gli anni successivi all'ufficio romano spiccano le edizioni bolognesi, presso Alessandro Benazzi, delle Rime amorose, et spirituali, senza data, e dei Carmina, del 1568. Posteriori al rientro a Urbino sono la «favola scenica»Teonemia, composta tra la primavera e l’estate del 1574 per le nozze di Francesco Maria II Della Rovere e Lucrezia d’Este, e la stampa delle Rime (Urbino, D. Frisolini, 1575). Dal luglio 1576, con ordinanza ducale di Francesco Maria II, il M. fu chiamato a far parte del Pubblico consiglio; nel bimestre aprile-maggio 1577 fu gonfaloniere. Da quella data sino alla morte si ha notizia dell’intensa attività oratoria, poi confluita a stampa nei postumi Ragionamenti religiosi (ibid., B. Ragusi, 1588), nell'ambito della Confraternita di S. Giuseppe, istituita per assistere i condannati all’ultimo supplizio e aggregata all’Arciconfraternita di S. Giovanni decollato di Roma.
Sin dalle prime prove il gusto e l’impegno del M. si definiscono entro una sentita affinità tra scrittura poetica e scrittura sacra, con forte valenza allegorica e un'intima disposizione teatrale. Accanto al prioritario modello biblico, non mancano però tentazioni che si potrebbero considerare profane, di cui sono testimonianza le edizioni bolognesi delle Rime amorose, et spirituali e dei Carmina. Della produzione lirica sono databili con certezza, rispettivamente al 1571 e al 1572, solo due canzoni spirituali: Della creazione del mondo e del conflitto degli angeli (antologizzata postuma nel Concerto delle Muse, Venezia 1608, come Il mondo creato); Sulla battaglia di Lepanto (poi con il titolo Vittoria cristiana), entrambe tempestivamente inviate a Borromeo e da questi forse sollecitate, almeno l’ultima, elogiata dal cardinale.
Le Rime, opera andata in stampa a Urbino nel 1575, presenta la struttura di canzoniere nella più ampia sezione in volgare, secondo il tradizionale cammino d’elevazione spirituale, ma spesso intercalate con inserti encomiastici o di etica gravità, quando non di vera e propria poesia spirituale, che diventano prevalenti nella sezione latina. Sempre intonata con forte accento recitativo, con timbro e con cadenze decisamente epiche, la poesia del M. è a sostegno di un impegno d’ortodossia che non solo confuta il protestantesimo iconoclasta (come nella Canzone alla Vergine), ma si confronta anche con la dottrina ebraica. Non mancano soluzioni più finemente modulate e non prive di qualche vibrazione, specialmente nei passaggi descrittivi che disegnano scene d’Arcadia o atmosfere elegiache (così nei distici dedicati al sonno). Un singolare cammeo, incastonato tra le due sezioni, è l’ecfrasi Sopra una pittura d’una santa Maria Maddalena del Tiziano, che è la Maddalena appartenente alla quadreria roveresca. Nell’economia della silloge il soggetto non solo si segnala per attitudine sperimentale o intenzione di misurarsi col precetto oraziano dell’ut pictura poesis, ma ne costituisce uno snodo strutturale, capace di far risalire in superficie la linea autobiografica del canzoniere amoroso: come Maddalena, il poeta segnala icasticamente la propria elevazione spirituale e la distanza che ora pone con la scrittura della propria giovinezza (il periodo romano, evidentemente) disperso in vane e sensuali parole e ora riscattato per il tramite di una clamorosa conversione.
La Teonemia, mai rappresentata e rimasta in oblio sino all’edizione ottocentesca di Gregorini sulla scorta del ms. 92 della Biblioteca universitaria di Urbino (autografo; il ms. 1662 della Biblioteca Oliveriana di Pesaro è copia datata 1821), accoglie i motivi dell’Aminta tassiano (rappresentato a Pesaro per il carnevale 1573) e insieme guarda a una meno sicura, quasi attardata soluzione scenica che tiene presente l’unità di dettato della tradizione eglogica. La pastorale si colloca storicamente entro una contingenza travagliata per il ducato feltresco: l’alleanza coi Borromeo, stabilita con il matrimonio fra Virginia Della Rovere e Federico, si era da tempo interrotta per la morte di quest'ultimo (1562); la nuova alleanza con gli Estensi era compromessa dai dissapori coniugali e dal definitivo ritorno di Lucrezia a Ferrara (1575); la rivolta di Urbino contro la politica fiscale di Guidubaldo si concluse con una sanguinosa repressione (1573); la morte infine di Guidubaldo (28 sett. 1574) venne a spegnere la tradizionale prodigalità verso gli artisti della corte urbinate. Non sorprende dunque che l’opera del M., caduta ogni opportunità politica che l’aveva per tanti aspetti determinata, sia rimasta consegnata per secoli all’esemplare di Urbino. Il M., che la tradizione vuole onorato del lusinghiero apprezzamento di Tasso (a lui è dedicato secondo Solerti il sonetto Perché Apollo m’è scarso e che non spira, in Le Rime di Torquato Tasso, a cura di A. Solerti, III, Bologna 1900, p. 45) accolse l’implicita sfida del modello tassiano e si dispose, assecondando le consuetudini del genere, a ritessere motivi speculari all'esempio, a esempio opponendo al prologo di Amore dell'Aminta il monologo di Venere. Nel complesso, però, l’ardita e originalmente risolta lezione teatrale tassiana non fu del tutto compresa e la Teonemia, pur nel suo pregio d’essere risposta più che tempestiva alle nuove suggestioni spettacolari, denuncia ancora una struttura piuttosto cristallizzata sia nei temi sia nell’ipotesi scenografica di rappresentazione (con l’abituale compresenza di elementi naturalistici e architettonici da scena multipla), che fanno intravedere meccanismi dell'egloga mescidata della tradizione cortigiana settentrionale.
Verosimilmente composta dopo il 1583 è la tragedia Erode insano, dichiarata dagli eredi del M. nella dedicatoria della copia d’omaggio a Francesco Maria II (Biblioteca apost. Vaticana, Urb. lat. 372) «l’ultimo suo componimento» (un secondo ms. è a Urbino, Biblioteca universitaria, 64; un terzo, con molte varianti, a Pesaro, Biblioteca Oliveriana, 1348). Certamente anche a quest’opera, il M. alludeva nelle volontà testamentarie, sollecitando la stampa delle sue cose ultime. Ma, a parte l’edizione «ad instantia degli heredi», a Urbino, presso Bartolomeo Ragusi nel 1588, del De veri corporis et sanguinis Domini nostri Iesu Christi sacrifitio dialogus e dei Ragionamenti religiosi, fatti nella divota compagnia di s. Giosefo di Urbino, le omelie sul Genesi sono andate smarrite (benché Vernaccia le dica ancora presso di sé) e l’Erode insano vide i torchi, in uno con la Teonemia, solo nel 1898. La tragedia peraltro giunse alle stampe fortemente gravata dal giudizio di Vernaccia, rimbalzato nella bibliografia successiva, di incongruo disprezzo per le unità di tempo e luogo (la successione dei fatti si estende dall’uccisione di Gionata, 35 a.C., alla morte di Erode, 4 a.C., mentre i luoghi dell’azione sono Gerusalemme, Roma e l’Egitto). Scegliendo una «storia di religione vera», il M. intendeva tenersi fedele piuttosto al modello poematico tassiano, con l'accoglienza anche del meraviglioso cristiano, che non alla soluzione teatrale di Lodovico Dolce, il quale con la sua Marianna, manipolando la cronologia degli eventi, aveva voluto rappresentare l’uxoricidio perpetrato da Erode non come esito di una sopraggiunta follia, ma come calcolo politico del tiranno. La scelta del M. restituisce gli eventi in direzione allegorico-figurale e ripropone il fondamentale tema paolino dell’opposizione fra legge e grazia, negando la casualità del fato e affermando ab aeterno la legislazione insondabile della giustizia divina. L’impegno dogmatico induce così il M. a scelte didascaliche: intere scene squisitamente liturgiche (redatte sul Levitico); motivi tra l’esotico e l’araldico nel rievocato viaggio in Egitto; suggestioni pittoriche nella figurazione della strage degli innocenti; angelismo e demonismo in modi di realismo comico e di sacra rappresentazione.
I quindici Ragionamenti religiosi, in quanto omelie, sono strutturati in forma di esposizione e commento dei testi sacri secondo i tempi e le occorrenze del calendario liturgico o i modi di una conversazione-confutazione. Già predisposte per la stampa vivente l'autore, come dimostrano le due distinte dedicatorie a Francesco Maria II della Rovere, le due opere si presentano con caratteri che vanno oltre la lettura in pubblico avvenuta (almeno per alcune di esse) tra il 1582 e il 1585. Nelle glosse di rinvio a margine del testo emerge una linea di neoplatonismo dialetticamente coniugato con l’esigenza di una concordia filosofica fondata sulla universalità dei princìpi etici. Dominano le citazioni di Marsilio Ficino, insieme con luoghi di Platone, Plotino, Proclo, Gregorio Nisseno, Dionigi Aeropagita, non meno che richiami ad autori che abbiano confermato la necessità di una lettura allegorizzante delle Scritture, Ambrogio e Tertulliano, o a chi, come Girolamo Vida, si sia assunto l’impegno di inaugurare una nuova epica cristiana conciliando cultura umanistica e religione. Nei Ragionamenti tutto muove dalla definiziona paolino-platonica della carità come spirito vitale di ogni azione e come «desiderio dell’altrui bene». Ogni esercizio e condizione di tale virtù viene trattato, con corollario di argomentazioni sulla pazienza cristiana e sulla religione, nei primi sei Ragionamenti. Seguono poi, alternandosi e duplicandosi, quelli sul Natale (VII e XI), sulla pentecoste (VIII e XII), sull’eucarestia (IX e XIII), sulla morte (X e XIV). Nel quindicesimo e ultimo «si tratta della passione, e morte di Giesù, Signor nostro». Il dogma della transustanziazione viene poi specialmente affermato nel De veri corporis et sanguinis Domini nostri Jesu Christi sacrifitio, inviato in redazione manoscritta a Borromeo il 3 apr. 1583, in forma di dialogo in cui si confuta un ebreo cui si dà nome Hebius, simbolo dell’inquinamento e perturbamento della verità cristiana che discende ora specialmente dall’eresia luterana.
Il M. morì a Urbino l'11 genn. 1586.
Nell'occasione Bernardino Baldi compose un Epitaphium e un carme In Marci Montani funere (in Carmina, Parma 1609, p. 32, anche pp. 25 s.).
Altre poesie in lode del M. sono nei Versi e prose di Baldi (Venezia 1590, pp. 319 s.; cfr. Versi e prose scelte, a cura di F. Ugolini - F.L. Polidori, Firenze 1859, pp. 172-179), che inoltre lo ricorda nell’Encomio della patria al serenissimo principe Francesco Maria II Feltrio della Rovere duca di Urbino, Urbino 1706.
Dopo le stampe postume eseguite dagli eredi, una selezione di rime con il titolo Euterpe uscì nel Concerto delle Muse ordinato secondo la vera armonia de’ metri da Piergirolamo Gentile nell’Illustrissima Accademia de’ signori spensierati di Fiorenza, Venezia 1608. Poi nulla fino all'edizione de La Theonemia favola pastorale e l’Erode insano tragedia ..., a cura di A. Gregorini, Bologna 1898 e della sola Teonemia, a cura di T. Mattioli, Urbino 1990.
Fonti e Bibl.: Urbino, Biblioteca universitaria, Mss., 32: P. Vernaccia, Priorista overo Catalogo de’ gonfalonieri, et priori componenti il Magistrato della città di Urbino, ad nomen; 57: Id., Priorista 1348-1721, ad nomen; 59: Id., Elogi degli uomini illustri di Urbino, ad nomen; 73: A. Rosa, Memorie d’alcuni insigni uomini d’Urbino nella pietà nelle scienze ed arti raccolte l’anno 1800, cc. 223r-231r; 1096: P. Vernaccia, Serie degli uomini e delle donne illustri ch’ebbero per patria la città d’Urbino, ad nomen; Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Mss., 1692, f. IV, n. 11; C. Grossi, Degli uomini illustri di Urbino, Urbino 1819, pp. 136-138; J. Dennistoun, Memorie dei duchi di Urbino, a cura di G. Nonni, II, Urbino 2010, pp. 241 s.; V. Mastropasqua Lopez, M. M. poeta urbinate del secolo XVI (da documenti inediti), in La Favilla, XX (1898), pp. 61-65; G. Zaccagnini, M. M., in Lirici urbinati nel secolo XVI, in Le Marche, I-III (1903), pp. 105-114; E. Carrara, La poesia pastorale, Milano 1909, pp. 340 s.; L. Manicardi, Un eroe metaurense alla battaglia di Lepanto (Gio. Battista Bonarelli della Rovere) Stanze inedite di M. M., in Annuario scolastico del R. Istituto tecnico Bramante di Pesaro, 1926, pp. 5-17; T. Mattioli, Documenti per M. M., in Studi urbinati, LVIII (1985), pp. 117-135 (contiene il carteggio con C. Borromeo, due lettere al cardinale Giulio Della Rovere, il testamento); G. Allegretti, Una patria per M. M., in La villa Montani di Ginestreto, Pesaro 1991, pp. 16-19; T. Mattioli, Un’esperienza di teatro tragico nel tramonto della corte roveresca, in Studi urbinati, LXIV (1991), pp. 295-337; Id., Di alcune immagini del sacro nella poesia di M. M., in Autorità, modelli e antimodelli nella cultura artistica e letteraria tra Riforma e Controriforma, a cura di A. Corsaro et al., Manziana 2007, pp. 395-408.