MINIO, Marco
MINIO, Marco. – Nacque a Venezia, nella parrocchia di S. Tomà, nel 1460 dal patrizio Bortolomio di Marco e da Elena Trevisan di Silvestro.
La famiglia del M. era agiata, anche se non ricca; il padre ricoprì cariche pubbliche di rilievo alternandole, comportamento non insolito per i nobili della sua condizione, all’esercizio della mercatura. Fu eletto capitano a Nauplia, in Morea (19 sett. 1479), della muta di galee di Fiandra (18 giugno 1484), della fortezza di Famagosta (1° ott. 1492) e a Candia (21 dic. 1500). Resse le podestarie di Cremona (3 maggio 1503) e Padova (17 genn. 1507). Fu del Consiglio dei dieci (27 ag. 1503), consigliere di Venezia (1° febbr. 1497, 22 marzo 1506, 30 nov. 1508, 6 luglio 1511) e più volte senatore, fino alla morte. Oltre al M., gli sopravvissero due figli e due figlie: Alvise, podestà a Capodistria nel 1526, senatore, consigliere di Venezia; Francesco dedicatosi al lucroso trasporto dei pellegrini diretti a Gerusalemme come «patron» della nave Dolfina, fu avvocato grande, auditor nuovo, dei Dieci savi, prese in moglie Lucrezia Marcello di Pietro, non avendone però discendenza ed estinguendo così il ramo; Cecilia si fece monaca; Elisabetta, si accasò, in età matura, con Zaccaria Bembo di Francesco.
Scarse le notizie sugli anni giovanili del M., spesi verosimilmente, prima e dopo la prova di età (22 nov. 1478) necessaria per concorrere all’estrazione della balla d’oro, in studi accurati, di carattere umanistico, anche se non ci sono evidenze sul fatto che si addottorasse, come scrisse M. Barbaro (Archivio di Stato di Venezia, Miscellanea codici, I, Storia veneta, 21: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de patritii veneti, V/21, c. 143). Dopo l’esperienza politica di auditor nuovo (18 marzo 1492) praticò la mercatura e curò gli interessi economici della famiglia. La tarda età del padre sembrò finalmente schiudergli le porte della carriera diplomatica, fortemente voluta: si presentò candidato a tutte le elezioni di ambasciatori dal 1501. Eletto oratore in Spagna (11 febbr. 1502) non partì, in questo impedito dagli importanti incarichi ancora assegnati al genitore. Intraprese per contro un cursus honorum esemplare nelle magistrature cittadine. Fu camerlengo di Comun (23 apr. 1503), senatore (20 luglio 1505), confermato quasi ogni anno, provveditore alle Biave (18 nov. 1509), avogadore di Comun (1° giugno 1511), savio di Terraferma (25 giugno 1513, 29 marzo 1514, 29 sett. 1515), savio a tansar (6 genn. 1514).
Pochi giorni dopo la morte del padre, il M. ottenne l’ambasceria ordinaria di Roma (7 maggio 1516). Fu dei Savi del Consiglio (29 sett. 1516) e il 9 febbr. 1517 gli fu data la commissione. Gli si ordinava di convincere papa Leone X a collegarsi con Venezia e il re di Francia e di trattare le migliori condizioni possibili per i risarcimenti delle proprietà dei Veneziani nelle terre di Romagna cedute a Roma. Affiancato dall’esperto segretario Girolamo Diedo (che più tardi lo lasciò per recarsi in missione a Napoli), dovette affrontare una situazione difficile.
Sin dal suo arrivo (19 febbr. 1517) il clima si fece teso per il tentativo di alcuni cardinali di avvelenare Leone X; ebbe tuttavia l’appoggio di Pietro Bembo, allora segretario di Leone X, che lo stimava. Riuscì a disimpegnarsi dai capitoli preparatori del progetto di una nuova crociata: in quei momenti i rapporti di Venezia con i Turchi erano più che buoni e l’impegno richiesto – ben 41 galee – gravoso oltre misura. Percepì subito lo sconcerto diffusosi nella Curia di Roma per il propagarsi della ribellione di Martin Lutero e ne informò il Senato. Trattò con Agostino Chigi la restituzione di gioie per 20.000 ducati, date in garanzia per l’acquisto di una grossa partita di allume, e si interessò della canonizzazione di Lorenzo Giustinian.
Tornato a Venezia, fece una relazione particolarmente apprezzata (M. Minio, Relazione di Roma, in Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato …, a cura di E. Albéri, s. 2, III, Firenze 1846, pp. 61-64), ed entrò consigliere per il sestiere di S. Polo (26 giugno 1520). Data l’esperienza maturata, fu scelto per l’ambasciata di complimento (7 nov. 1520) per l’esaltazione al trono di Sulaiman il Magnifico e contestualmente fu nominato duca di Candia (2 dic. 1520).
Sebbene l’oggetto principale della commissione data al M. (14 maggio 1521) prevedesse la conferma della pace siglata con Selim I, padre di Sulaiman, dagli oratori straordinari Bartolomeo Contarini e Alvise Mocenigo (8 sett. 1517), l’aggressione dello stesso Sulaiman contro l’Ungheria, che faceva seguito all’annessione di Egitto e Siria, e dei loro scali, vitali per l’economia veneziana, lo costrinse a prendere tempo. Su precise direttive del Senato (10 luglio 1521) il M. arrivò a Costantinopoli a cose fatte (27 ott. 1521), dopo la presa di Belgrado (29 ag. 1521), creando non poco imbarazzo nel bailo Tommaso Contarini e irritazione nella diplomazia ottomana. Riuscì a scusarsi, ebbe la conferma sia del trattato di pace sia dei privilegi per i mercanti veneziani. Congedato dal sultano (18 dic. 1521), mandò a Venezia il segretario Costantino Cavazza, che lesse in sua vece la relazione al Senato (8 apr. 1522), e si portò a Candia. Qui fece fronte alla delicata situazione politico-militare creatasi con l’assedio di Rodi (28 luglio - 20 dic. 1522), e si prodigò per mantenere in efficienza la squadra navale veneziana, riuscendo nel contempo a non guastare i rapporti con Sulaiman: il tutto complicato da una grave pestilenza (luglio 1523 - aprile 1524) che afflisse l’isola procurando 26.000 morti.
Tornò in città il 3 nov. 1524 e riferì in Collegio sulla situazione dell’area, quindi fu votato consigliere di Venezia (30 nov. 1524). I nuovi successi turchi in Ungheria – a Mohács (28 ag. 1526) era stato annientato l’esercito di re Luigi II Jagellone – suggerirono al Senato un nuovo invio del M. alla Porta (26 sett. 1526), per rafforzare i rapporti con Sulaiman. Nella commissione (19 dic. 1526) gli si raccomandava di congratularsi con il sultano, ma soprattutto di smussare le numerose liti di confine e commerciali tra turchi e Veneziani, possibili cause di nuova guerra. Riferì in Senato sugli accordi presi (8 ott. 1527: M. Minio, Relazioni di Costantinopoli, in Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato …, a cura di E. Albéri, s. 3, III, Firenze 1855, pp. 69-91, 113-119) in veste di consigliere di Venezia – vi era stato rieletto, ancora in missione, il 4 ag. 1527 – quindi fu del Consiglio dei dieci (20 sett. 1528) e savio del Consiglio (28 ott. 1528). Eletto ambasciatore ordinario in Francia (5 giugno 1529), si scusò accettando invece la carica di provveditore alle Biave, ma suscitò proteste per non aver approvvigionato a dovere Venezia di frumento. La carriera non ne risentì: fu nuovamente del Consiglio dei dieci (1° ott. 1529, 20 sett. 1530, 1° ott. 1531, 9 gennaio e 17 ag. 1533, 6 sett. 1534), savio del Consiglio (31 dic. 1529, 21 sett. 1530, 31 marzo 1531), del Collegio alle acque (20 dic. 1530), riformatore dello Studio di Padova (14 febbr. 1530, 26 apr. 1532, 1° dic. 1540), carica in cui si alternò con Gasparo Contarini e Nicolò Tiepolo per un decennio.
Vicino alle posizioni riformiste di Contarini, si occupò delle concessioni dei permessi di stampa tenendo un comportamento dichiaratamente anticuriale, del quale il nunzio Girolamo Aleandro si lamentò con l’allora protonotario apostolico Pietro Carnesecchi per essergli in ogni occasione il M. «tanto contrario in ogni cosa, sotto specie di gatta morta» (14 marzo 1534, Nunziature di Venezia …, I, p. 191).
Decano degli ambasciatori, fu scelto (9 ott. 1532), insieme con Lorenzo Bragadin, Girolamo Pesaro e Marco Foscari per accompagnare Carlo V, in transito per il Friuli e il Veneto, diretto a Mantova. Fu lui a riferire in Senato (13 nov. 1532) e a guidare la delegazione inviata a Roma per omaggiare il neoeletto (ottobre 1534) Alessandro Farnese, papa Paolo III. Rimase ancora ai vertici della politica veneziana come savio del Consiglio dal 1533 al 1541, consigliere di Venezia (14 apr. 1532, 2 apr. 1536, 17 nov. 1538 e 3 luglio 1541) e membro del Collegio alle acque (18 febbr. 1533). Più volte ballottato procuratore di S. Marco, sebbene mai eletto, contese la nomina di doge a Pietro Lando (19 genn. 1539).
Il M. morì a Venezia il 28 febbr. 1542.
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