MINGHETTI, Marco
Uomo-di stato, nato a Bologna l'8 novembre 1818, morto a Roma il 10 dicembre 1886. Suo padre era un agiato proprietario e sua madre, Rosa Sarti, apparteneva a famiglia di sentimenti liberali. Fu posto a studiare presso i barnabiti, ma nel 1832 sua madre, rimasta vedova, lo condusse a Parigi, e colà, nella casa dello zio Sarti, ebbe occasione d'incontrarsi con alcuni dei più noti esuli italiani, quali l'Orioli, il Mamiani, il Maroncelli, il Canuti, ecc., quindi, insieme con lo zio, visitò Londra. Tornato a Bologna, il giovinetto intramezzò gli studî di fisica, chimica, mineralogia, botanica con l'intermittente frequenza dei corsi universitarî. Fu pure a un tempo discepolo di Paolo Costa, dal quale apprese l'amore agli studi letterarî e filosofici, pur rilevando le insufficienze della scuola. Intervenne, nell'autunno del 1839, al primo congresso degli scienziati, che si tenne a Pisa; e questa fu per lui propizia occasione per conoscere uomini noti nelle scienze e nelle lettere, come il Lambruschini, il Montanelli, il Giusti, ecc. Da Pisa visitò Roma e Napoli, sempre col proposito di stringere nuove relazioni. Di ritorno a Bologna (1840), proseguì con ardore gli studî storici e filosofici, e nel luglio del 1841 pubblicò un opuscolo: Intorno alla tendenza agli interessi materiali che è nel secolo presente, che fu il germe di altri scritti, ben più poderosi, che in seguito diede a luce nel campo dell'economia. Nello stesso anno intervenne a Firenze al terzo congresso degli scienziati, e subito dopo intraprese un lungo viaggio in Europa. A Parma conobbe il Giordani; a Milano il Confalonieri, e di più il Manara e i Dandolo; poi visitò la Svizzera, il Belgio, l'Olanda, la Prussia, e per il Piemonte si restituì a Bologna.
Colà, insieme con Carlo Berti Pichat, diede maggiore incremento a quella società agraria che fu dapprima palestra di studî di agricoltura e in seguito di politica e che aveva per organo un giornaletto intitolato il Felsineo. Nel 1844 il M. riprese a viaggiare. A Torino conobbe Cesare Balbo e il Petitti; a Parigi, dove rimase cinque mesi, seguì alla Sorbona e al Collegio di Francia le lezioni di Raoul Rochette, del Quinet, del Michelet, dell'Ozanam, e frequentò i ritrovi intellettuall'specialmente quello degli Arconati; avvicinò pure Pellegrino Rossi e Guglielmo Libri. Recatosi poi in Inghilterra, furono per il M. oggetto di studio gli opifici manufatturieri di Birmingham, di Manchester, di Leeds. A Londra s'incontrò con il Mazzini, ma entrambi s'avvidero subito quanta diversità fosse nelle loro idee politiche, e si lasciarono freddamente. Nella via del ritorno in Italia, a Zurigo, fece conoscenza col Gioberti. L'elezione al pontificato di Pio IX trovò il M. già abbastanza maturo per la vita politica. Egli era stato uno dei fimatarî di quel memoriale che nel giugno del 1846 fu inviato da Bologna a Roma, per essere presentato ai cardinali adunati in conclave, al fine di ottenere riforme politiche e amministrative; e subito dopo, quasi a commento d'una circolare del card. Gizzi, segretario di stato, stese in collaborazione con A. Pizzoli e L. Berti una serie di proposte riguardanti i modi più acconci per attuarle. Ai primi di novembre andò a Roma, dove ebbe un'udienza dal pontefice, a cui raccomandò l'istituzione d'una specie di guardia civica per le Romagne; e vi tornò l'anno dopo, membro della Consulta di stato. Fece parte della commissione eletta per presentare a Pio IX l'indirizzo di risposta alle parole da lui pronunziate, inaugurando (15 novembre 1847) la Consulta di stato, e fu egli stesso incaricato di redigerlo; se non che, il 17 novembre fu chiamato al Quirinale, essendosi il pontefice allamiato per alcune espressioni dell'indirizzo stesso, che gli sembravano alludere a pericolose novità. Infatti da molte parti s'invocava la trasformazione della Consulta in un organo rappresentativo. Il M. per tutta risposta espresse la convinzione che i verbali delle sedute della Consulta dovessero essere resi pubblici; e la Consulta decise infatti che fossero rese di pubblica ragione le deliberazioni motivate. A ogni modo in quell'assemblea apparve subito evidente il contrasto fra i due elementi, laico ed ecclesiastico, e del primo il M. era riconosciuto l'oratore più eloquente. Formatosi il 10 marzo il primo ministero laico, il M. vi ebbe il portafoglio dei Lavori pubblici; ma l'allocuzione del 29 aprile determinò le dimissioni di quel gabinetto, date il giorno successivo, e il M. due giormi dopo, quando cioè fu formato il ministero Mamiani, lasciò Roma, e si avviò al campo di Carlo Alberto a Sommacampagna, dove giunse il 10 maggio. Nominato dal re capitano aggregato allo Stato maggiore, fu presente alla battaglia di Goito (30 maggio), al blocco di Mantova e a Custoza, in cui ebbe la promozione a maggiore, poi seguì il quartier generale nella sua ritirata su Milano (3-5 agosto). Congedatosi dall'esercito piemontese, il M. tornò a Bologna. Nel frattempo, egli era stato eletto al Consiglio dei deputati (18 maggio), e dal ministero Mamiani aveva avuto l'offerta di sostituire il Farini, come commissario del governo pontificio al campo. Rifiutò quest'offerta, ma accettò tuttavia una specie d' incarico ufficioso: quello d' inviare notizie dei fatti che si svolgevano al quartier generale e di trasmettere al re e ai suoi ministri le comunicazioni che dal governo di Roma gli fossero fatte. Andò a Roma per l'inaugurazione del parlamento (15 novembre), funestata dall'assassinio di Pellegrino Rossi; e sdegnato che il ministero Muzzarelli non si fosse impegnato pubblicamente a iniziare il processo contro gli autori del delitto tornò a Bologna, e di là, insieme con C. Bevilacqua e A. Banzi, inviò una protesta e le dimissioni da deputato. Fu pronto invece a recarsi in Piemonte subito dopo la denunzia dell'armistizio Salasco e fu presente alla rotta di Novara. Rivide Bologna (23 maggio) occupata dagli Austriaci e nell'agosto, tornata la reazione in Romagna, pubblicò l'opuscolo: Della restaurazione pontificia (Firenze 1849), in cui delineava rapidamente gli avvenimenti trascorsi dall'assunzione al pontificato di Pio IX a quei giorni.
Nei primi anni di quella sua forzata inazione, dopo restaurato il governo pontificio, attese a larghi studî di letteratura, di storia, di filosofia e di economia politica. Fece frequenti viaggi a Torino, e nel primo (luglio 1852) ebbe modo di avvicinare Cavour, del quale doveva poi diventare così fido collaboratore; e visitò ancora una volta la Francia, l'Inghilterra, la Germania (1853). Ormai il M. aveva acquistato l'abito dell'uomo di stato; lo provò quando, tornato a Torino, ebbe colloquî col Cavour e con il Hudson, ministro inglese in Piemonte, sulla questione della possibile partecipazione d'un corpo d'esercito sardo alla guerra d'Oriente; e più ancora quando il conte di Cavour, recatosi al congresso di Parigi, incaricò M. Castelli di recarsi a Bologna per invitare il M. a redigere un memoriale sullo stato delle provincie dell'Italia centrale soggette al governo pontificio e a raggiungerlo poi a Parigi. Tornato a Bologna, contribuì a dar vita in Romagna alla Società Nazionale di La Farina; il 20 luglio 1857 ebbe un colloquio con Pio IX, cui parlò arditamente della necessità di concedere riforme. L'anno appresso pubblicò un importante libro in materia di economia, Dell'economia pubblica e delle sue attinenze con la morale e col diritto (Firenze 1858), che fu poi tradotto in francese con prefazione del Passy (Parigi 1863). Aveva, nei primi giorni del 1859, iniziato un viaggio in Egitto, quando il conte di Cavour, desiderando valersi della conoscenza che il M. aveva delle condizioni delle Romagne e della questione romana, lo richiamò in Italia. Giunto a Torino il 21 aprile, quando cioè la guerra contro l'Austria stava per iniziarsi, fu "naturalizzato sardo", e nominato segretario generale al Ministero degli affari esteri; quindi, sollevatesi la Toscana, le Romagne e i ducati, assunse la "direzione degli affari d'Italia" che si era formata a Torino. Dopo Villafranca seguì il conte di Cavour nelle dimissioni, e recatosi nell'Italia centrale fu acclamato presidente dell'Assemblea delle Romagne. Annesse quelle provincie al Piemonte, fu eletto deputato al Parlamento Subalpino per il 4° collegio di Bologna, poi, nel nuovo gabinetto Cavour (21 gennaio 1860) fu nominato (31 dicembre) ministro dell'Interno, carica che, morto il Cavour, mantenne anche nel gabinetto Ricasoli, fino al 1° settembre 1861. Tornò ministro (8 dicembre 1862), questa volta per le Finanze, nel gabinetto Farini, al quale succedette il 31 marzo 1864 nella presidenza del consiglio; e il nome di lui va associato alla convenzione di settembre (v. romana, questione) da lui illustrata in un volume, edito postumo (La Convenzione di settembre, Bologna 1899). Costretto allora a lasciare il governo, rimase semplice deputato fino al 13 maggio 1869, in cui il Menabrea gli affidò il Ministero dell'agricoltura, ma vi durò pochi mesi. Nell'agosto dell'anno successivo fu in qualità d'inviato straordinario e di ministro plenipotenziario a Vienna, donde incitava a cogliere l'occasione di occupare Roma (e già prima aveva contribuito a combattere l'idea di un intervento a fianco della Francia) e il 10 luglio 1873 succedette al Lanza nella presidenza del consiglio, conservando per sé il portafoglio delle Finanze, nelle quali introdusse abili riforme, al punto che in un'esposizione finanziaria poté affermare di avere raggiunto il pareggio nel bilancio dello stato. In seguito ai nuovi atteggiamenti della politica italiana che condussero la sinistra al potere, il M. dovette abbandonare il governo, il 16 marzo 1876. Ma prima di abbandonarlo poteva dichiarare che la destra lasciava il paese tranquillo all'interno, in buone condizioni e rispettato all'estero; le finanze assestate". Tornato al suo posto di deputato, fu riconosciuto capo dell'opposizione parlamentare; e alla camera pronunziò memorabili discorsi in materia di finanza, nei quali la forma smagliante gareggiava con la precisione dell'informazione e l'acutezza degli argomenti. Il 3 marzo 1886, quando già un terribile male aveva disfatto la sua fortissima fibra, pronunciò parole che parvero un grave ammonimento: "Prima di ogni riforma amministrativa e politica occorre una riforma morale... E tempo di spezzare questa catena di ferro che lega elettori e deputati a ministri, che corrompe l'esercizio del più sacro dovere, e cancella perfino il sentimento della patria comune". L'ultimo suo discorso fu per commemorare in Torino (21 giugno 1886) l'anniversario della morte del conte di Cavour.
Il M. oltre che insuperabile oratore fu elegante scrittore di materie storiche, artistiche e letterarie. Sono da citare di lui gli Opuscoli letterarî (Firenze 1872), e il volume su Raffaello (Bologna 1885). I suoi Discorsi parlamentari furono per voto della camera riuniti in quattro volumi (Roma 1888-90). In materia politica, ai già citati, sono da aggiungere i volumi: I morti e i vivi, Fisiologia del Palazzo Carignano (Torino 1865); Chiesa e finanza, Lettere a C. Boncompagni (Firenze 1866), Stato e Chiesa (Milano 1878); I partiti politici e la loro ingerenza nella giustizia e nell'amministrazione (Bologna 1881). Oltre al volume sulla Convenzione di settembre furono dati a luce, dopo la sua morte, I miei ricordi (Torino 1888-1890), in tre volumi che giungono fino al 1859. Una buona scelta di Scritti varî è quella curata da D. Zanichelli (Bologna 1896).
Bibl.: G. Saredo, M. M., Torino 1861; R. Bonghi, in Nuova Antologia, 16 dicembre 1886 e 16 dicembre 1888; M. Tabarrini, M. M. parlatore e scrittore, in Rassegna nazionale, 16 marzo 1887; L. Luzzatti, Commemorazione di M. M., in Rendiconti dell'Accademia dei Lincei, dicembre 1887; F. Crispi, Commemorazione di M. M., Roma 1887; A. Ippoliti, M. M. letterato e scrittore, Ancona 1887; G. Finali, Commemorazione di M. M., Imola 1888; Carteggio tra M. M. e G. Pasolini, per cura di G. Pasolini, Imola 1924-31, voll. 4; G. Maioli, M. M., Bologna 1926.