MARZIALE, Marco
– Non si conosce la data di nascita del M., pittore belliniano, tuttora poco studiato, la cui attività è documentata dalla fine del XV secolo.
La sua storia critica comincia solo nel 1762, quando viene citato in una guida artistica della città di Cremona (Panni). Essendo pochissime le notizie documentarie che lo riguardano, la cronologia della sua vita si ricava soprattutto dai dipinti firmati e datati.
Il suo nome compare per la prima volta nel gennaio del 1492 come uno degli assistenti di Giovanni Bellini nella realizzazione dei teleri per il salone del Maggior Consiglio di palazzo ducale a Venezia. Questa decorazione, andata distrutta, impegnò il M. fino al dicembre del 1495 (Ludwig, p. 35). Un successivo documento del 1493 ricorda che il M., pittore residente della parrocchia S. Moisè, era iscritto nella mariegola della Scuola grande di S. Marco a Venezia (ibid.). Da queste scarne notizie documentarie si possono ricavare informazioni preziose e fare alcune ipotesi: in primo luogo il M. si formò come artista nella città di Venezia, verosimilmente all’interno della vivace e attivissima bottega dei fratelli Giovanni e Gentile Bellini; in secondo luogo nell’ultimo decennio del Quattrocento egli doveva essere ancora abbastanza giovane da doversi legare formalmente al patrocinio belliniano, ma nemmeno troppo da non potere eseguire opere in piena autonomia, anche perché fin dai primi documenti egli è citato col titolo di «pentor». Queste supposizioni trovano conferma nella sua prima opera firmata, La Vergine col Bambino tra s. Pietro che presenta il donatore e s. Caterina d’Alessandria, conservata a Zara nel Museo di S. Donato e datata 1495: nel cartiglio, su cui appone la firma, il M. si definisce allievo di Gentile Bellini.
In effetti questa pala, in cattivo stato di conservazione, è in gran parte belliniana: il disegno legnoso e la maniera pittorica asciutta, per quanto non priva di ricchezza cromatica, sono da ricondurre all’influsso di Gentile; mentre da Giovanni il M. riprende l’idea generale della composizione e alcune tipologie dei personaggi; nello stesso tempo è possibile individuare, nel gruppo principale, una somiglianza con le figure di Pier Maria Pennacchi, il che testimonierebbe un precoce contatto del M. con l’ambiente trevigiano.
Nel 1499 firmò e datò la Circoncisione del Museo Correr di Venezia.
La tavola si trovava originariamente nel conservatorio delle penitenti di S. Giobbe a Venezia, dove ricordava di averla vista l’abate Luigi Lanzi (1795). La composizione è una variante di un’invenzione di Giovanni Bellini, perduta, ma ben nota perché più volte richiamata dalla bottega e dai pittori belliniani sullo scorcio del secolo (come la versione di Vincenzo da Treviso, conservata pure al Museo Correr). La scena sacra si svolge secondo l’iconografia tradizionale; ma il paradigma belliniano si arricchisce di riflessi nordici, tedeschi, forse già düreriani, noti al M. grazie alla diffusione delle stampe, rintracciabili nella durezza del segno, nella articolazione complessa della linea di contorno, nella scelta di una gamma di colori fredda e luminosa; anche in questo caso non sono casuali le affinità stilistiche, oltre che iconografiche, con la pala di stesso soggetto firmata da Pennacchi, già negli Staatliche Museen di Berlino e ora dispersa (Mariacher). Tuttavia, rispetto al modello, il M. aggiunge una grande abside dietro al gruppo dei protagonisti e colloca delle figure di complemento nella penombra dello sfondo, conferendo così un ritmo più ampio, ormai quasi cinquecentesco, alla composizione originaria. Infine la presenza del bel tappeto orientale in primo piano afferma per la prima volta la preferenza del M. per l’addobbo e le fogge esotiche (Dorigato).
Alla fine del XV secolo o proprio all’inizio del successivo, il M. dovette trasferirsi a Cremona, dove realizzò una serie di importanti dipinti per la committenza locale. Nel 1500, infatti, eseguì su commissione di Tommaso Raimondi, cavaliere dell’Ordine gerosolimitano, giureconsulto e poeta, la Circoncisione, una grande tela a tempera forte firmata e datata, già sull’altare maggiore della chiesa cremonese di S. Silvestro e oggi conservata nella National Gallery di Londra.
Il gruppo centrale, con l’episodio evangelico della circoncisione, replica esplicitamente la versione precedente e più piccola del Museo Correr. Anche questa volta la scena è ambientata nel presbiterio di una chiesa absidata decorata con mosaici a fondo oro, richiamo immediato agli ori di S. Marco e alla cultura neobizantina della Venezia di fine Quattrocento, oltre che alla celebre invenzione belliniana. Ugualmente, citazioni da Giovanni Bellini sono le iscrizioni in lettere nere che corrono sugli arconi del presbiterio, sulla cupola e sull’abside, tratte dal Vangelo di Luca. Gli ossequi al maestro lagunare proseguono nel cagnolino in primo piano, nel cartiglio con la firma in latino apposto al centro dell’altare, nel sacrario aperto a battenti dorati a traforo che lasciano vedere libri e oggetti liturgici perfettamente scorciati, come fossero tarsie prospettiche. All’interno di questa composizione tradizionale l’originalità del M. esce allo scoperto nel modo in cui disegna e colora i protagonisti: sono figure vestite da manti spigolosi, con pieghe secche e ritorte, alla tedesca, con colori traslucidi quasi smaltati, splendidamente ricamati a motivi floreali o geometrici; i volti hanno i tratti appuntiti, acuti, vicini alla tradizione veneziana dei Vivarini, ma anche sensibili alla maniera trevigiana di Pier Maria Pennacchi. La tela, però, è soprattutto un omaggio alla nobile famiglia dei Raimondi, a quel tempo il centro letterario e artistico di Cremona, i cui rappresentanti assistono imperturbabili alla scena sacra. Il donatore, Tommaso Raimondi, è infatti ritratto di profilo all’estremità destra della pala, vestito elegantemente; dalla parte opposta si trova la moglie, Doralice Cambiago, in abito di raso bianco a ricami e arabeschi di colore rosso, sulle spalle un manto di velluto azzurro sul quale sono ripetutamente intrecciate le iniziali del nome della donna; il ragazzo dai capelli lunghi e lisci che le sta accanto, inginocchiato sui gradini dell’altare, potrebbe essere il figlio Marco, allora quindicenne. Anche altre due figure hanno le caratteristiche fisionomiche dei ritratti: il personaggio vicino a Tommaso, col capo coperto da un curioso ed elegante turbante bianco, lo sguardo rivolto verso lo spettatore e in mano un librone chiuso, potrebbe essere Eliseo, fratello architetto del committente, mentre la figura femminile corrispondente dalla parte opposta potrebbe essere sua moglie Lorenza degli Osi (Sacchi, pp. 168 s.).
La Circoncisione della National Gallery rappresentò il biglietto da visita con cui il M. si fece conoscere e apprezzare a Cremona. Egli evidentemente aveva individuato in questa città periferica, in quegli anni (1499-1509) sotto il dominio di Venezia, una piazza artistica relativamente aperta e libera.
In effetti la sua maniera rappresentò un momento di importante aggiornamento della pittura locale, in gran parte ancorata alla tradizione tardogotica rappresentata da Bonifacio Bembo, e dove le novità rinascimentali, intraviste per la presenza di passaggio del Platina (Bartolomeo Sacchi) e di Giovanni Antonio Amadeo, erano comunque filtrate attraverso il foppismo rudimentale di un Giovanni Pietro da Cemmo. Di contro anche il suo stile sarebbe poi maturato, influenzato non solo dalla grafica nordeuropea, ma anche e profondamente dalla scuola locale, diventando, come si firmava Bartolomeo Veneto, «mezo vinizian e mezo cremonese» (Bertini, p. 201).
A Cremona un primo segnale di rinnovamento, in direzione questa volta umbra e pierfrancescana, si era avuto già qualche anno prima, esattamente nel 1494, con l’arrivo in città della tavola del Perugino (Pietro Vannucci) acquistata dai nobili Roncadelli e collocata nella chiesa di S. Agostino, raffigurante la Madonna col Bambino tra i ss. Giacomo e Agostino. Non a caso un immediato riflesso di questa novità si riscontra nella successiva opera del M., la Madonna col Bambino e il donatore Tommaso Raimondi, conservata nell’Accademia Carrara di Bergamo, dipinta nel 1504, come recita il cartellino, per lo stesso committente della Circoncisione londinese.
Nella composizione ordinata, nell’addolcirsi dei tratti del volto, nell’uso di accordi cromatici più armonici e caldi è evidente e voluto il debito del M. per la pala del Perugino (Geiger, p. 122). A essi però è bene aggiungere le sempre più forti influenze lombarde, almeno di Bernardino de’ Conti, se non di Giovanni Antonio Boltraffio.
Del 1504 è anche l’Adorazione dei magi, firmata e datata, in collezione privata milanese (Bertini).
Le figure sono ravvicinate in primo piano e tagliate di tre quarti, secondo uno schema di origine mantegnesca, e si stagliano sullo sfondo azzurro lapislazzuli con le loro vesti di broccato ricamate a colori sgargianti e i loro voluminosi turbanti di foggia orientale; su tutti si distingue il re moro, la cui individualità si risolve nello splendore degli ornamenti e i cui occhi spiccano bianchi come gemme sul volto bruno; non meno esotiche paiono le decorazioni dei vasi cesellati, delle collane e dei monili indossati dai protagonisti, che rivelano un compiacimento quasi fiammingo nella resa dei tessuti e delle materie preziose. Anche in quest’opera il M. dipinse il ritratto del donatore, purtroppo ignoto, nel volto del re mago inginocchiato ai piedi del Bambino; mentre rimane un’ipotesi indimostrabile riconoscere l’autoritratto del M. nel personaggio che all’estrema destra guarda furtivamente lo spettatore.
Un impianto simile, con le figure disposte tutte in primo piano e tagliate poco sopra il ginocchio, presenta la tela con Cristo e l’adultera di Groninga, Istituto di storia dell’arte.
Otto figure si stagliano su un fondo neutro in uno spazio rettangolare: al centro il Cristo visto frontalmente segue l’iconografia belliniana del Salvator mundi, alla sua sinistra china il capo l’adultera, riccamente vestita e ingioiellata, il cui profilo ha un vago sapore carpaccesco, tutt’intorno i farisei, dai volti grotteschi che sembrano usciti dalle caricature di Leonardo, fanno gesti ed espressioni indignate e scandalizzate. L’impianto generale della scena è ancora una volta debitore di Giovanni Bellini; ma la caratterizzazione forzata dei volti, la concentrazione delle figure, la tabella dal profilo mistilineo affissa in alto, che reca incise le parole del Vangelo di Giovanni (8, 7) «Qui sine peccato est vestrum / primis in illam lapidem mittat», sono spiegabili solo grazie alla conoscenza delle opere di Albrecht Dürer.
Nel 1505, a causa della lunga e perdurante assenza da Venezia, il nome del M. venne cassato dalla lista dei pittori di S. Marco (Ludwig, p. 35). L’anno successivo dipinse a olio su tavola la Cena in Emmaus, oggi conservata nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia, firmata e datata sul cartellino posto su una gamba del tavolo.
La scena sacra, ambientata all’interno di una stanza, ricalca la composizione di una famosa Cena in Emmaus dipinta da Giovanni Bellini nel 1494 per Giorgio Corner, fratello della regina di Cipro Caterina, e andata perduta (Moschini Marconi). Rispetto al modello, che ci è noto grazie a copie e stampe, la versione del M. si distingue per l’ormai consueta angolosità dei contorni delle figure, soprattutto delle fisionomie e delle vesti.
Il volto di Tommaso Raimondi ricorre con ogni probabilità una terza volta nella Cena in Emmaus del 1507, un olio su tavola conservato nella Gemäldegalerie degli Staatliche Museen di Berlino, ma ricordata nell’Ottocento nella collezione Bresciani Carena di Cremona.
Se fosse esatta l’identificazione di Raimondi nel personaggio in piedi con una veste scura dai risvolti in pelliccia, allora il fanciullo alla sinistra di Cristo potrebbe essere il figlio Marco, morto nel 1568 (Tanzi, 1990). Anche questa tavola ricalca il già ricordato prototipo belliniano per Giorgio Corner, che il M. aveva usato nella versione dell’Accademia.
Sempre nel 1507 il M. lavorò per il nobile cremonese Nicolò Magio, eseguendo una Madonna con il Bambino, i ss. Bartolomeo, Gallo Abate, Giovanni Battista e Giacomo e un angelo musico, destinata all’altare maggiore della chiesa di S. Gallo a Cremona (Londra, National Gallery), che è anche l’ultima testimonianza pervenutaci del M. (Id., 1982, p. 56).
Rimane forte il marchio belliniano, se si confronta l’opera con la Pala di s. Giobbe (Venezia, Gallerie dell’Accademia), soprattutto per l’ambientazione – una sorta di battistero bizantino ornato di mosaici a fondo oro con rabeschi e scritte inneggianti alla Vergine – e per la figura dell’angelo che suona il liuto ai piedi del trono mariano; il resto è invece concepito secondo la maniera cremonese, che sembra qui incontrarsi per un verso con la compostezza classica del Perugino, filtrata attraverso le esperienze della scuola bolognese, in particolare di Lorenzo Costa e Francesco Francia, dall’altro con le novità leonardesche di un Bernardino Luini. L’estemporanea vicinanza stilistica tra il M. e il Luini di questi anni è peraltro confermata da due opere databili nel primo decennio del Cinquecento, la cui paternità è tra loro contesa: la Madonna e santi dei Musei civici di Padova (Banzato) e il Compianto su Cristo morto del Museo di belle arti di Budapest (Moro), opera quest’ultima effettivamente luinesca nell’impostazione e nella figura del Cristo, ma vicina alla maniera del M. nella definizione metallica e tagliente di abiti e volti, uno dei quali, quello al centro accanto alla croce con berretto di velluto nero sul capo, sembra ricordare ancora le fattezze di Tommaso Raimondi. Nel novero delle poche opere del M. si può invece aggiungere una Madonna con Bambino tra i ss. Gerolamo e Benedetto (collezione privata), già attribuita a Benedetto Diana, ma restituita al M. da Tempestini (pp. 962, 982, fig. 1061), che ravvisa elementi tipici del M. nella tipologia del Bambino (soprattutto la posa delle gambe è identica a quella delle Circoncisioni) e nella testa di Maria. In parallelo con l’attività di pittore sacro, di pale d’altare e tavole devozionali, il M. era richiesto anche come ritrattista, genere che egli aveva imparato alla bottega dei Bellini e che perseguì senza troppa originalità rispetto a quel magistero, se non nell’attenzione sempre più meticolosa al dettaglio fisionomico, come si vede nel Ritratto di giovane del Landesmuseum di Magonza (1496: siglato «M.M.F.»), simile ai ritratti di Marco Basaiti; nel successivo Ritratto d’uomo (noto anche come Ritratto di Giulio Mellini) del Louvre, che presenta sul retro un Paesaggio allegorico con putti intorno a un vaso con alberello d’alloro allusivo alle virtù del personaggio; o nel Ritratto di giovane uomo della Kress Collection (Kansas City, Art Museum), affine ai modi del bergamasco Andrea Previtali. Un Ritratto virile è anche l’unico disegno noto attribuibile alla mano del M., un carboncino su carta conservato nel British Museum di Londra (Popham - Pouncey).
Dunque le poche ma significative opere del M., soprattutto quelle cremonesi, inducono a leggere la sua figura come quella di un artista «ponte» fra culture figurative diverse, alla stregua di uno Iacopo de’ Barbari o di un Benedetto Diana (Tempestini, p. 962).
Del M. non sono noti data e luogo di morte.
La sua personalità poco originale, ma eclettica, capace di fondere con misura e fantasia le esperienze della formazione cosmopolita veneziana con quelle della terra lombarda, lo portò ad adottare uno stile eccentrico, impregnato di arguzie nordiche, manierato nella resa ricercata dei tessuti e quasi anticlassico nella definizione dei volti, che ebbe un importante riflesso nella scuola cremonese di primo Cinquecento, in particolare su Altobello Melone.
Fonti e Bibl.: A.M. Panni, Distinto rapporto delle dipinture che trovansi nelle chiese… di Cremona, Cremona 1762, pp. 124, 145 s.; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, II, Bassano 1795, p. 32; III, ibid. 1796, p. 479; G. Gaye, Carteggio inedito di artisti dei secoli XIV, XV, XVI, II, Firenze 1840, p. 71; F. Sacchi, Notizie pittoriche cremonesi, Cremona 1872, pp. 165-172; G. Ludwig, Archivalische Beiträge zur Geschichte der venezianischen Malerei, in Jahrbuch der Preussischen Kunstsammlungen, XXVI (1905), pp. 34-36, suppl.; B. Geiger, M. M. und der sogenannte nordische Einflusz in seiner Bildern, ibid., XXXIII (1912), pp. 122-148; A.E. Popham - P. Pouncey, Italian drawings in the Department of prints and drawings in the British Museum: the fourteenth and fifteenth centuries, London 1950, p. 199 n. 330; S. Moschini Marconi, Gallerie dell’Acc. di Venezia. Opere d’arte dei secoli XIV e XV, Roma 1955, p. 143; B. Berenson, Italian pictures of the Reinassance. Venetian school, I, London 1957, p. 112; A. Bertini, Un dipinto poco noto di M. M., in Arte veneta, XI (1957), pp. 200-204; G. Mariacher, Il Museo Correr di Venezia. Dipinti dal XIV al XVI secolo, Venezia 1957, pp. 110 s.; F. Heinemann, Giovanni Bellini e i belliniani, Venezia 1962, I, pp. 123-126; II, p. 286; G. Fiocco, Un omaggio a Dürer, in Paragone, XXII (1971), 253, pp. 71 s.; H.W. van Os - C. de Jong-Janssen, in The early Venetian paintings in Holland, a cura di H.W. van Os et al., Maarsen 1978, pp. 110-114; F. Rossi, Acc. Carrara, Bergamo. Catal. dei dipinti, Bergamo 1979, p. 46; M. Tanzi, Novità e revisioni per Altobello Melone e Gianfrancesco Bembo, in Ricerche di storia dell’arte, XVII (1982), pp. 49-56; F. Moro, Il polittico di Maggianico e gli esordi di Bernardino Luini, in Archivi di Lecco, IX (1986), 1, pp. 131 s., 165; M.T. Fiorio, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, I, Milano 1989, p. 82; M. Lucco, in La pittura nel Veneto. Il Quattrocento, II, Milano 1990, p. 468; M. Tanzi, M. M. Circoncisione, in Pittura a Cremona dal romanico al Settecento, a cura di M. Gregori, Milano 1990, pp. 23, 247; D. Banzato, in Da Bellini a Tintoretto. Dipinti del Museo civico di Padova dalla metà del Quattrocento ai primi del Seicento (catal.), a cura di A. Ballarin - D. Banzato, Roma 1991, p. 110 n. 43; A. Dorigato, in Carpaccio, Bellini, Tura, Antonello e altri restauri quattrocenteschi della Pinacoteca del Museo Correr (catal.), Venezia 1993, pp. 82 s.; M. Visioli, in La pittura in Lombardia. Il Quattrocento, Milano 1993, pp. 149, 156, 172; M. Lucco - A. Pontani, Greek inscriptions on two Venetian Renaissance paintings, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, LX (1997), p. 111; A. Tempestini, «La Sacra Conversazione» nella pittura veneta dal 1500 al 1516, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, III, Milano 1999, pp. 962, 982, 999, 1013; M. Calì, La pittura del Cinquecento, Torino 2000, pp. 257, 424, 463; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 191 s.; The Dictionary of art, XX, p. 529.