CRASSO, Marco Licinio
Oratore e uomo politico romano. Nato tra il 114 e 115 a. C. da famiglia ricca e d'antica nobiltà, ma retta con criterî patriarcali, C. visse una giovinezza austera e laboriosa. Dovette appunto alla preparazione giovanile e alla tenacia che metteva in ogni sua attività, se, quantunque poco dotato dalla natura, divenne presto un principe del foro. Costretto a fuggire in Spagna dalla reazione popolare di Cinna e Mario, partecipò bravamente alla ripresa di Silla, e il merito della vittoria alla porta Collina fu in gran parte suo. Ma ebbe il torto di sfruttare troppo energicamente e apertamente la situazione per i suoi interessi personali, e Silla, che non poteva tollerare che la vittoria si trasformasse in un affare, finì con il lasciarlo in disparte.
C. ricompare in prima linea nel 72, quando il Senato decise di alfidargli il comando della guerra contro Spartaco. Egli organizzò subito un esercito, valendosi anche della sua autorità personale e della forza degl'interessi che doveva tutelare, e si accampò ai confini dei Picenti, con l'intenzione di attendere al varco Spartaco, che si trovava in Lucania. Dopo drammatiche vicende Spartaco fu sconfitto e ucciso in una battaglia alle sorgenti del Silaro nel nord della Lucania. Ma con tutto ciò C. dovette accontentarsi d'una Ovazione, mentre il suo rivale Pompeo per le vittorie su Sertorio e sulla Spagna ebbe il trionfo.
Quando C. comprese che per raggiungere i suoi scopi doveva accordarsi con Pompeo, si gettò dalla sua parte. Eletto con lui console per il 70, lasciò che Pompeo svolgesse il suo programma di restaurazione democratica, limitando la sua azione politica a sgarbi e puntigli contro il collega. Nel 66 sembra abbia partecipato alla congiura di Silla e Autronio, consoli designati per il 65 condannati per broglio, col piano di farsi eleggere dittatore avendo Cesare come magister equitum, e, riordinato a suo arbitrio lo stato, restituire a Silla e Autronio il consolato. Ma al momento dell'azione si sarebbe ritirato, facendo fallire il movimento.
Nel 65 C. fu eletto censore e in tale carica non smentì la sua abitudine di considerare ogni posizione politica come una base d'affari; e sostenne vivacemente la tesi democratica dell'autenticità del testamento con cui Tolomeo aveva lasciato l'Egitto al popolo romano, e come conseguenza di questa tesi sostenne la necessità dell'annessione. Catulo suo collega nella censura si oppose vivacemente al progetto, come pure a quello di estendere ai Transpadani la cittadinanza romana, ed entrambi finirono con l'abdicare dalla carica. Nel 64 sostenne la candidatura di Catilina, e fu accusato d'aver partecipato alla congiura. Sembra fuori dubbio che la legge agraria di Servilio Rullo, che rimetteva in discussione, tra l'altro, l'annessione dell'Egitto, sia stata ispirata da C. e da Cesare. Non era la prima volta che gl'interessi della plutocrazia e dell'estrema democrazia, nonostante la diversità degli scopi finali, coincidevano. Divenuto nel 61 creditore di Cesare, entrò nel triumvirato ed ebbe il secondo consolato e un comando straordinario per 5 anni, con pieni poteri, in Siria.
Il secondo consolato di C. e Pompeo non ebbe una grande importanza politica, ove si prescinda dalle violenze a cui essi ricorsero per raggiungere i loro scopi. C. personalmente non pensava ormai che alla spedizione contro i Parti. S'adattò persino a riconciliarsi con Cicerone, per averne l'appoggio nella lotta contro l'opinione pubblica, e, nonostante la viva opposizione del tribuno Ateio Capitone, partì.
Dopo una prima avanzata compiuta nel 54 attraverso la Mesopotamia, sino al fiume Balissos (odierno Belikh), e che si risolse nell'occupazione in forze di alcune città, C., ritiratosi col resto dell'esercito nella Siria, vi passò l'inverno a far denari con tutti i mezzi. Nel 53, giuntagli la cavalleria inviatagli da Cesare sotto il comando del figlio, nonostante una minacciosa ambasciata dei Parti e le preoccupanti notizie che venivano dalle città presidiate della Mesopotamia, C., con 7 legioni, ripassò l'Eufrate, e non curando gli inviti del re di Armenia Artabaze e i consigli del suo questore Cassio, turbato dal fatto che Artabaze, attaccato dal re dei Parti, non aveva mandato gli aiuti promessi, e dal conseguente pericolo dei presidî lasciati sul Balissos, seguì il consiglio del principe arabo Abgaro, passato poi al nemico, abbandonando l'Eufrate e dirigendosi decisamente verso oriente attraverso una regione desertica.
I primi contatti coi Parti comandati dal Surena si ebbero nelle vicinanze del fiume Balissos, a sud di Carre (v. carre). C. senza preoccuparsi della stanchezza dei soldati decise d'attaccare battaglia. Le truppe erano state disposte in quadrato, facilitando così la tattica dei Parti, che evitavano un corpo a corpo, limitandosi a lanciare i loro pesanti dardi sulla massa dei soldati. C. decise allora di gettare all'attacco l'ala destra, al comando del figlio. Ma Publio C. e i suoi furono circondati e in parte uccisi, in parte fatti prigionieri. Quando C. vide comparire dinnanzi alle sue linee la testa mozza del figlio infissa sull'asta d'un cavaliere parto, tentò invano con le parole forse più alte di tutta la sua vita di rialzare il morale dei soldati. Solo la notte costrinse i Parti a rallentare la morsa in cui andavano stringendo i Romani. C. abbandonò praticamente il comando nelle mani del legato Ottavio e di Cassio: ma con l'aiuto del presidio di Carre, avvertito della sconfitta, i Romani riuscirono a disimpegnarsi riparando colà. Sopraggiunto il Surena, C. riuscì a sfuggire una seconda volta alla stretta dei Parti, abbandonando la città durante la notte, ma, trascinato da guide infedeli in luoghi paludosi, si ritrovò alla mattina poco lontano da Carre e già incalzato dal nemico. A stento riuscì a raggiungere, su una posizione meno elevata, quella parte d'esercito che al comando di Ottavio s'era distaccata da lui. Il Surena, quando comprese che i Romani gli sarebbero sfuggiti definitivamente, propose a C. un colloquio, e il proconsole fu costretto dai soldati ad accettare. Seguito da Ottavio e pochi altri, discese dal colle, e poco dopo fu ucciso in un parapiglia provocato dai Parti. Dei suoi soldati una parte s'arrese, altri si dispersero durante la notte. Di questi solo pochi riuscirono a salvarsi.
La tragedia di C. e del suo esercito, svoltasi secondo i calcoli più attendibili dal 9 al 15 giugno del 53 a. C., ebbe un indegno coronamento nella parodia della scena delle Baccanti, in cui Agave ritorna alla reggia col capo di Penteo, rappresentata da un attore greco con in mano la testa di C., davanti a Orode e Artabaze, che celebravano banchettando la vittoria, la pace e le nozze della sorella del re armeno col figlio di Orode.
I contemporanei attribuirono a C. il cognome di Dives, e in realtà egli fu soprattutto un creatore e accumulatore di ricchezze. Si può dire che gli unici caratteri originali della sua attività sono le imprese edilizie e la cura dei suoi schiavi. C. infatti, vedendo come Roma fosse colpita da frequenti incendî e disastri edilizî, si provvide d'una maestranza di più di 500 schiavi e ad ogni incendio comprava a basso prezzo gli edifici della zona colpita per ricostruire o restaurare con criterî industriali. Ma oltre questi schiavi, C. fra lettori, scrivani, saggiatori d'argento, amministratori e dispensieri, possedeva tanti schiavi, così abili e istruiti con tale cura, che essi erano considerati la parte più preziosa del suo patrimonio. Egli fu dunque un uomo d'affari e un organizzatore abilissimo: gli mancò invece la stoffa dell'uomo politico e persino l'abilità nell'usare a scopi politici della sua ricchezza. Prestava agli amici senza interesse, ma era implacabile nel richiedere alla scadenza la restituzione del capitale.
C. pensava che ai suoi tempi non si dovesse considerare ricco se non chi poteva nutrire un esercito. Il problema del finanziamento era per lui, in guerra e in politica, il problema centrale, e questo suo modo di affermarsi nei riguardi di Cesare e Pompeo caratterizza la sua mentalità e ne spiega, in un'epoca tanto complessa e tumultuosa, la fatale inferiorità.
Fonti: Oltre a molti accenni sparsi in Cicerone e in altre fonti minori, v. soprattutto la vita di C. in Plutarco; Cassio Dione, XXXVII-XL; e i frammenti delle storie di Sallustio nell'ed. del Maurenbrecher, I, Lipsia 1893, pp. 40-46.
Bibl.: W. Drumann-P. Groebe, Geschichte Roms, Lipsia 1910, V, p. 84 segg.; M. Gelzer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIII, col. 295 segg.; T. Rice Holmes, The Roman republic and the founder of the empire, I e II, Oxford 1923, passim, particolarmente II, p. 312 segg.; K. Regling, Crassus' Partherkrieg, in Klio, VII (1907).