GRADENIGO, Marco
Figlio di Bartolomeo, nacque a Venezia nel primo quarto del XIII secolo, forse durante il primo decennio ma, probabilmente, non oltre la prima metà del secondo.
Alquanto confuse e contraddittorie le notizie che si possiedono circa la composizione della famiglia d'origine del G.: forse era suo fratello, non si sa se maggiore o minore, il Bartolomeo padre di Angelo e nonno del doge omonimo (1263-1342); ovvero, tagliando di netto una generazione, il fratello potrebbe essere, e con maggiori probabilità, proprio Angelo e il doge Bartolomeo suo nipote e non pronipote. È certo il matrimonio del G. con una Querini, di cui non si conosce il battesimale. Ebbe almeno due figli maschi, il maggiore, Marino, dal cursus honorum non disprezzabile, e Pietro, il doge della "serrata", la svolta costituzionale che segnò il destino di Venezia fino agli ultimi giorni della sua esistenza quale Stato sovrano e indipendente. Forse ebbe anche alcune figlie, ma i genealogisti tacciono al riguardo. Risiedette più o meno stabilmente nel sestiere di S. Marco, e questo consente di distinguerlo con maggior sicurezza rispetto agli omonimi coevi, anche se non del tutto coetanei: un Marco da S. Croce, un Marco di Paolo, da S. Polo, e un Marco di Giovanni, da Castello.
Decisamente scarse e non sempre attendibili le notizie che si possiedono sulla sua giovinezza, considerata la confusione fatta dai cronisti che ebbero occasione di raccontare gli avvenimenti che in qualche modo, direttamente o indirettamente, lo riguardarono: cosicché furono talora riferiti al G. episodi e avvenimenti che quasi certamente videro piuttosto coinvolto il padre. Due soprattutto sono gli episodi, a dir poco dubbi, che avrebbero segnato gli esordi della vita pubblica del G.: la missione diplomatica a papa Gregorio IX nel 1231, unitamente a Francesco Giustinian, Nicolò Querini e Pietro Dandolo, di cui parla Pietro Gradenigo nelle sue Memorie istorico-cronologiche, che non trova ulteriori conferme, e che appare decisamente poco attendibile anche in relazione alla giovanissima età del G. in quegli anni. Al riguardo, secondo la Cronaca di Antonio Morosini, come ammette pure lo stesso Pietro Gradenigo, l'ambasciata avrebbe avuto invece luogo nel 1265, e sarebbe stata inviata a papa Clemente IV. Il Verdizzotti, confondendolo con il padre, lo vuole duca di Creta nel 1232. In realtà duca di Creta nel 1232 era Nicolò Tonisto, mentre Bartolomeo Gradenigo, inviato nell'isola nel 1233 con l'incarico di portare a termine la repressione della rivolta in corso - già intrapresa con esiti positivi dal predecessore -, vi rimase poi in veste di duca. Morto nel 1234 Bartolomeo, gli subentrò il figlio (o nipote) Angelo che, probabilmente, aveva accompagnato il padre (o lo zio) nel delicato incarico, come di frequente avveniva allora per i giovani patrizi veneziani.
Il primo incarico pubblico di cui si abbia notizia certa viene così a essere il comando, ottenuto nel 1256, di una squadra di sette galee nell'ambito della flotta veneziana inviata al recupero di Negroponte (Eubea), occupata l'anno precedente da Guglielmo di Villehardouin; riconquistata l'isola, il G. vi si trattenne almeno fino a tutto l'anno successivo in qualità di rettore (bailo). In quest'occasione il G. dimostrò non solo ottime qualità di comandante navale ma anche eccellenti doti di amministratore. Da Negroponte passò quindi nel 1259 a Costantinopoli quale podestà veneziano - l'ultimo - della capitale dell'Impero latino d'Oriente, prossima ormai a cadere sotto i colpi di Michele Paleologo.
Per oltre un anno le accorte difese di terra e di mare predisposte dal G., quasi del tutto privo di uomini e di mezzi e costretto persino a contrattare un prestito di 3000 iperperi per potere stipendiare le truppe, riuscirono a respingere il nemico e a tenere aperta un'eventuale via di fuga. Tuttavia, verso la fine di luglio del 1261, all'approssimarsi dell'esercito greco e dimostratosi ormai del tutto inutile qualsiasi tentativo di resistenza, il G., raccolto e riorganizzato quanto rimaneva della flotta latina, composta in gran parte di galee veneziane, le uniche rimaste a difendere la città, vi imbarcò l'ultimo imperatore occidentale, Baldovino II, il patriarca, Pantaleone Giustinian, tutti i mercanti veneziani che era stato possibile accogliere a bordo, e si rifugiò con la massima celerità a Negroponte, proprio mentre Michele Paleologo entrava solennemente in Costantinopoli e prendeva possesso delle insegne imperiali. Da Negroponte il G. passò poi con le sue galee a Candia, pronto a sventare un possibile tentativo d'invasione greco, a proposito del quale da più parti si levavano voci minacciose.
A far tempo dal 1261 è documentata la sua presenza in Maggior Consiglio, ancora parzialmente elettivo prima della riforma di Pietro Gradenigo, anche se è del tutto verosimile che ne abbia fatto parte anche negli anni precedenti, presenza che si protrasse con regolare cadenza annuale almeno fino al 1271-72.
Nel 1263 il G. si trovò ancora per mare, al comando di una squadra di sei galee, impegnato in azioni di polizia marittima contro i Genovesi che si erano dati alla guerra di corsa a danno del naviglio mercantile veneziano.
Nella primavera del 1265 fu invece associato a Giacomo Dandolo (Dondulo) e inviato nelle acque del Canale di Sicilia, dove era segnalata la presenza di naviglio genovese. Al largo di Trapani la flotta veneziana, agli ordini del G., forte di 25 galere (24, secondo il cronista Andrea Dandolo), incrociò quella rivale guidata da Lanfranco Borborino, la cui consistenza era di poco superiore.
La sorpresa e l'aggressività costituirono l'arma vincente dei Veneziani ("imperoché Venitiani erano usì sora de loro come el sparvier sora le quaie": Cronaca Veniera, c. 64r) che ebbero ben presto la meglio sul nemico, il quale non si attendeva un attacco così violento e soprattutto così diretto. La battaglia si concluse con la totale disfatta dei Genovesi, che lasciarono sul campo, a detta del cronista, oltre 4000 morti e 3 galere; 24 galere e 700 prigionieri costituirono invece il bottino di quello scontro memorabile. Poi, mentre il G. rientrava a Venezia scortando la preda, il Dandolo proseguiva fin sotto Tunisi all'inseguimento di corsari, genovesi e barbareschi.
La fama di accorto stratega e di valoroso comandante procurò al G. ulteriori incarichi militari, navali e terrestri. Fu così ancora per mare tra il 1266 e il 1267, spedito ancora una volta in tutta fretta a dare la caccia alla flotta genovese che, agli ordini di Luca Grimaldi e Andrea Doria, si dedicava alla guerra di corsa nelle acque tra Rodi e Creta a danno dei Veneziani e dei loro possedimenti coloniali. Il G. incrociò i Genovesi al largo di Tiro, costringendoli pure in questa occasione a ingaggiare battaglia. L'esito dello scontro, particolarmente cruento, rimase a lungo incerto, anche se alla fine si concluse con la fuga delle non molte galere genovesi che riuscirono a disimpegnarsi, mentre le rimanenti venivano date alle fiamme e una decina, le poche che erano ancora in grado di reggere il mare, catturate e portate a Venezia.
Qualche anno dopo (1272-73) il G., ottenuto il bastone del comando dalle mani del doge Lorenzo Tiepolo, e ancora una volta insieme con Giacomo Dandolo, guidò l'esercito veneziano nella dispendiosa guerra contro i Bolognesi i quali, alleati con le città minori dell'entroterra emiliano-romagnolo, contendevano alla Serenissima il controllo del commercio fluviale che dalle bocche del Po interessava tutta la pianura Padana. Gli scontri, ripetuti e incerti, contraddistinti da innumerevoli episodi a favore ora dell'uno ora dell'altro, si concentrarono soprattutto nei pressi del castello di S. Alberto e delle postazioni fortificate di Primaro. Alla fine la stanchezza e l'esaurimento delle risorse, più ancora che una vittoria netta e definitiva, ma soprattutto la mediazione di papa Gregorio X, convinsero Veneziani e Bolognesi a cessare i combattimenti, e a trovare una soluzione diplomatica al conflitto d'interessi, anche se la fortuna della armi stava comunque arridendo ancora una volta al Gradenigo.
In quest'impresa, l'ultima cui prese parte, ma con tutta probabilità la cosa era già avvenuta anche nelle spedizioni navali degli anni addietro, il G. si era fatto seguire dal figlio Pietro, il futuro doge. E fu proprio Pietro ad accompagnare nel 1274 a Bologna, per trattare la pace, Giacomo Dandolo - già collega del padre in tante occasioni - che guidava la nutrita missione diplomatica veneziana.
Quasi certamente, infatti, il G. era morto non appena posto fine ai combattimenti, ovvero durante gli ultimi mesi di guerra, comunque tra il 1273 e il 1274, stroncato dalle fatiche di una vita spesa al servizio dello Stato più sui campi di battaglia, o sulle acque in tal caso, che non al chiuso degli uffici e delle cancellerie.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, pp. 71, 89; 59: Cronaca Veniera, c. 46r; 74: P. Gradenigo, Memorie istorico-cronologiche spettanti ad ambasciatori della Serenissima Repubblica di Venezia spediti a vari principi, cc. 3r, 372r; Misc. codd., III, Codici Soranzo, 21: Historia veneta scritta da Gio. Giacomo Caroldo… in forma di cronica dalla fondazione di Venetia sino l'anno 1356, c. 178v; 32: G.A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto, II, cc. 579 s.; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 3782: G. Priuli, Li pretiosi frutti del Maggior Consiglio…, II, cc. 103r-104v; Codd. Gradenigo, 133/I, cc. 35r, 37r, 40r, 70v-71r; Ibid., Bibl. naz. Marciana, Mss. it., cl. VII, 192 (= 8230): P. Gradenigo, Vita del doge Bartolammeo Gradenigo, p. 3; 2048 (= 8331): A. Morosini, Cronaca Morosina, p. 42; A. Dandolo, Chronica per extensum descripta, a cura di E. Pastorello, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XII, 3, pp. 306, 311-313, 319, 670, 672; L. De Monacis, Chronicon de rebus Venetis, a cura di F. Corner, Venetiis 1758, pp. 144, 148; Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, I, a cura di R. Cessi, Bologna 1950, pp. 269, 272, 277 s., 281, 285, 289, 293, 298; Venetiarum historia vulgo Petro Iustiniano Iustiniani filio adiudicata, a cura di R. Cessi - F. Bennato, Venezia 1964, p. 182; F. Verdizzotti, De' fatti veneti dall'origine della Repubblica sino all'anno 1504, I, Venezia 1686, pp. 167, 188 s., 192-194, 198 s.; F. Corner, Creta sacra, II, Venetiis 1755 (rist. anast. Modena 1971), pp. 265, 267-270; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, II, Venezia 1854, pp. 220, 268, 270, 273, 297; F. Thiriet, La Romanie vénitienne au MoyenÂge. Le développement et l'exploitation du domaine colonial vénitien (XIIe-XVe siècles), Paris 1975, p. 102; G. Gullino, Una famiglia nella storia: i Gradenigo, in Grado, Venezia, i Gradenigo (catal.), a cura di M. Zorzi - S. Marcon, [Venezia] 2001, p. 137; F. Rossi, Quasi una dinastia: i Gradenigo tra XIII e XIV secolo, ibid., pp. 155 s., 170.