Bruto, Marco Giunio
Figlio di Servilia, sorellastra di Marco Porcio Catone, e di Marco Giunio Bruto, suo primo marito; nacque a Roma nell'82 a.C.
Stoico e pompeiano come Catone, dopo la battaglia di Farsalo aderì alla parte di Cesare ottenendone perdono e favori.
Propretore per la Gallia Cisalpina (47-45), e pretore urbano (44), timoroso, davanti agli atti più recenti della politica cesariana, di un definitivo sovvertimento con gli antichi ideali di virtus e di libertas, della ‛ dignità ' e degl'interessi della propria classe, fu con Gaio Licinio Crasso l'anima della fazione che progettò e attuò alle idi di marzo del 44 a. C. l'uccisione di Cesare.
Costretto ben presto ad abbandonare Roma con gli altri cesaricidi, conseguì con Cassio notevoli successi nei Balcani e in Oriente. Ma quando, in seguito all'interdictio aqua et igni agli uccisori di Cesare sancita nell'agosto del 43 e alla costituzione del secondo triunvirato, l'esercito di Antonio e di Ottaviano attraversò l'Adriatico e si scontrò vittoriosamente a Filippi con quello di B. e Cassio in due successive battaglie (ottobre 42), B. e Cassio si suicidarono.
Parricida per i cesariani, ma esaltato dai Romani fedeli alla tradizione repubblicana, B. è considerato con riprovazione nel Medioevo, non tanto, come in Agostino e in Orosio, come colui che uccise il benefattore, cui " contra exempla maiorum " (Orosio Hist. VI 17) si doveva la restituzione della vita e della dignità ai suoi avversari (Agostino Civ. III 30), quanto invece come il traditore della maestà dell'Impero, del quale Cesare era stimato l'instauratore.
Quest'atteggiamento viene chiaramente riflesso e sintetizzato da D. che pone B. in bocca a Lucifero, alla stessa maniera di Cassio e di Giuda (If XXXIV 65 quel che pende dal nero ceffo è Bruto: / vedi come si storce, e non fa motto!), ma caratterizzato da un'immagine di forza e di dignità (si storce e non fa motto) in cui D. intende forse conservare qualcosa delle lodi che di B. poteva leggere in Cicerone e in altri latini, soprattutto in Lucano (cfr. Phars. II 234-235 " At non magnanimi percussit pectora Bruti / terror "; IX 17 " in sancto pectore Bruti ", ecc.). Per D., infatti, la colpa dei cesaricidi è, come quella di Giuda, di gran lunga più grave di tutte le altre colpe degli uomini, essendo commessa contro una delle due autorità preposte da Dio alla guida del genere umano; mentre l'esemplarità della loro condanna è, per converso, testimonianza delle gloriose imprese che l'Impero di Roma ha realizzato per intervento divino (cfr. Pd VI 73-74 Di quel che fé col baiulo seguente [Augusto], / Bruto con Cassio ne l'inferno latra).
Non è forse estranea alla rappresentazione dantesca l'idea espressa da s. Tommaso nel De Regimine principum, per cui non è mai lecito levarsi contro il principe, neppure quando si sia fatto tiranno.
Bibl. - G. Longo Manganaro, B. e Catone nella D.C., Messina 1898; S. Frascino, Cesare, Catone e B. nella concezione dantesca, in " Civiltà Moderna " II (1930) 850-874 (recens. di G. Vandelli, in " Studi d. " XV [1931] 180-182).