GATTI, Marco
Nacque a Manduria, nel Salento, il 3 nov. 1778 da Michele e Maria Vittoria Rossi, in una famiglia di modesta condizione.
Svolti i primi studi di letteratura italiana, latina e greca sotto la guida dello zio materno L. Rossi e del cantore M. Schiavoni, nel 1798 si trasferì a Brindisi presso lo zio, divenuto vicario del vescovo A. De Leo e, completata l'istruzione nel seminario cittadino, vi ottenne l'insegnamento della lingua greca. L'anno seguente, però, per le burrascose vicende della Repubblica napoletana tornò a Manduria, ove fu avviato agli ordini sacri, con una scelta che, sebbene poco adatta al suo irrequieto temperamento, gli permise di proseguire gli studi. Grazie alla competenza acquisita nelle discipline letterarie, fu invitato dal governo a insegnare eloquenza e lingua greca presso il collegio di Lucera ove rimase dal 1811 al 1817, maturando nel frattempo le tendenze liberali testimoniate da alcune elegie in latino rimaste inedite. Nel 1814, oltre a pubblicare il Saggio sulla letteraria educazione dei giovani (in Biblioteca analitica, 1814, vol. 4, pp. 183-211, 321-345; vol. 5, pp. 3-19, 161-179, 321-344), raccolta di lettere dedicate a un nuovo ordinamento degli studi, il G. fu incaricato di insegnare eloquenza nel liceo di Benevento. Con l'inizio della Restaurazione la scuola fu però subito chiusa.
A seguito di un concorso vinto nel 1817, il G. ottenne la cattedra di lettere italiane e greche presso il liceo del Salvatore a Napoli, allora diretto dal fratello del G., Serafino (1771-1834), membro delle scuole pie e prolifico autore di testi di morale ed eloquenza sacra. Nel 1819 pubblicò a Napoli il Corso analitico elementare di letteratura, sintesi erudita delle più autorevoli opinioni sulla letteratura e sull'arte, la cui prima parte, dedicata alla prosa, fu recensita nella Biblioteca italiana (IV [1819], t. 14, pp. 30-34). Con lo scritto Della riforma della istruzione pubblica nel Regno delle Due Sicilie (Napoli 1820) il G. si inseriva invece nel dibattito sull'istruzione apertosi a Napoli a metà Settecento e sostenuto da studiosi quali A. Genovesi, G. Filangieri, V. Cuoco, M. Galdi, L. Cagnazzi De Samuele, tutti favorevoli a considerare l'istruzione come il mezzo più valido per la conquista del comune benessere. La dedica dell'opera alla patria sottolineava le accese posizioni liberali del G. che, più esplicitamente del contemporaneo Cagnazzi De Samuele (Saggio sopra i principali metodi d'istruire i fanciulli, ibid. 1819), evidenziava le potenzialità innovatrici della pedagogia che poneva alla base di ogni sviluppo civile.
Il trattato del G., diviso in tre libri, contestava gli ordinamenti amministrativi e didattici del Regno meridionale, criticando, fra l'altro, i criteri di assegnazione delle cattedre, il trattamento economico dei docenti, l'indipendenza dei maestri ecclesiastici dallo Stato, l'applicazione di metodi di apprendimento astratti e mnemonici, la disorganicità dei vari istituti. Sulla base delle posizioni espresse da M. Galdi nei Pensieri sull'istruzione pubblica relativamente al Regno delle Due Sicilie (Napoli 1809), il G. proponeva un dettagliato piano di riforma che, anziché restringersi all'ambito strettamente scolastico, copriva tutti i settori della cultura. Richiamandosi al Cuoco e al Galdi, il G. propendeva per un insegnamento che, tenuto conto della gradualità dell'apprendimento umano e sulla base di una concezione di stampo illuministico, fosse in grado di trasmettere il sapere con l'ausilio di enciclopedie compilate per ogni grado di scuola. Alla descrizione del suo piano di riordinamento scolastico il G. aggiungeva uno schema di ripartizione delle materie in cui la matematica e la fisica erano anteposte alle lingue classiche. Contrapponendosi infine a quanti avevano visto nella scuola privata il luogo ideale per lo sviluppo di una positiva emulazione tra i docenti, il G. si pronunziava complessivamente a favore dell'istruzione pubblica.
La reazione borbonica seguita al fallimento dell'esperienza costituzionale (1821) si fece sentire anche sulla scuola; per ordine di L. Loffredo principe di Cardito, presidente della giunta di scrutinio di pubblica istruzione, il G., compromesso dal liberalismo della sua Riforma, di lì a poco sequestrata, venne destituito insieme con altri pedagogisti, e le sue teorie vennero accantonate. Tornato a Manduria, riprese poco dopo a insegnare lettere, dapprima nel seminario di Monopoli, poi in quello di Ostuni e infine, nel 1827, in quello di Oria. Nel 1828 per le sue posizioni politiche fu confinato a Lecce, donde nel 1830 fece ritorno a Manduria, presso la cui collegiata fu nel 1837 nominato arciprete.
Nel frattempo attendeva a opere che, mai pubblicate per le sue precarie condizioni economiche e per la censura, andarono perdute anche per il disinteresse degli eredi: tra queste un'edizione accresciuta del Corso analitico elementare di letteratura, un trattato di estetica, una guida allo studio dei classici, alcune traduzioni dal greco e un saggio politico-letterario che sembra anticipasse nei contenuti il Primato giobertiano. Secondo G. Gigli, il G. fu anche autore di alcuni componimenti poetici in italiano, tre dei quali pubblicati postumi.
Nel 1848, dopo la concessione della costituzione da parte di Ferdinando II, il G. fu eletto deputato nel collegio di Terra d'Otranto, ma, per il colpo di Stato del 15 maggio e il conseguente scioglimento del Parlamento, non ebbe neppure il tempo di raggiungere Napoli; rieletto, non fu mai proclamato ufficialmente e, ristabilitosi il governo assoluto, subì nuovamente la reazione per opera del vescovo di Oria L. Margarita che nel 1854 lo obbligò a ritirarsi, insieme con il canonico C. Lombardi, nel convento della Penitenza di Ruvo di Puglia. Passati alcuni mesi, costretto a rinunciare all'arcipretura, fu tradotto nel convento degli alcantarini di Lecce. Due anni dopo poté tornare a Manduria ove, infermo e quasi privo della vista, trascorse gli ultimi anni.
Morì a Manduria il 2 maggio 1862.
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