FOSCARI, Marco
Ultimogenito di Nicolò di Giovanni e di Caterina Michiel, nacque a Venezia, nella parrocchia di S. Simeon Piccolo, attorno al 1392.
Rimasto orfano del padre, nel novembre 1412 fu iscritto all'estrazione della Balla d'oro (che allora avveniva al compimento del ventesimo anno di età) dal fratello maggiore Francesco, il futuro doge, più vecchio di lui di quasi due decenni. Nel 1417 il F. sposò Margherita Marcello di Francesco di Giovanni che gli diede numerosi figli, tra i quali Giovanni, cui sarebbe spettato di assicurare la continuità di questo ramo della famiglia, e Pietro, destinato a divenire cardinale. È probabile che sino all'ascesa al dogato del fratello (1423) il F., pesantemente condizionato nella carriera politica proprio dalla brillante ascesa di questo, abbia frequentato più spesso l'emporio realtino che le adunanze del Maggior Consiglio, proseguendo l'attività commerciale proficuamente intrapresa dal padre: alla politica si rivolse dunque abbastanza tardi, e dapprima in maniera sporadica.
La strada gli venne aperta dalla morte dello zio Francesco, detto Franzi (fine 1424-inizio 1425); costui era stato, insieme col fratello Nicolò, padre del F., uno degli artefici della repentina ascesa politica della famiglia negli anni a cavallo tra il XIV e il XV secolo, per cui negli ultimi tempi anche Franzi - così come il futuro doge - aveva contribuito a sbarrare l'accesso al cursus honorum al più giovane F., la cui vicenda nell'agone politico ebbe inizio, forse non a caso, nel 1425: ossia dopo che il fratello aveva indossato il camauro ducale e che lo zio era scomparso.
Un anno dopo, nel 1426 in seguito all'alleanza veneto-fiorentina in funzione antiviscontea, il F. fece parte del Consiglio dei venti savi alla Guerra; poi, qualche anno più tardi (5 maggio 1430), lo ritroviamo in veste senatoria, fra i rappresentanti del doge incaricati di sottoscrivere un trattato difensivo con Siena. Quest'atto segna l'inizio di una svolta nella vita del F., che d'ora in avanti si sarebbe dedicato soprattutto all'attività politica: capitano a Padova nel 1431-32, savio di Terraferma dall'aprile di quest'ultimo anno al febbraio del successivo, quindi podestà a Brescia dall'aprile 1433 al giugno 1434 (il 13 giugno 1433 caldeggiava la proposta di creare in questa città una nuova piazza, presso porta Bruciata, e il 7 luglio dello stesso anno ratificava l'alleanza con Gianfrancesco Gonzaga, marchese di Mantova); al ritorno in patria veniva quindi eletto nuovamente savio di Terraferma per il secondo semestre del 1434.
Proprio in quest'anno la carriera politica del F. conobbe una forte accelerazione: ad agosto (come si è accennato, egli era savio di Terraferma) la Signoria otteneva dall'imperatore Sigismondo il vicariato per la maggior parte dei suoi domini padani, ma tale successo venne controbilanciato dalla sconfitta patita in Romagna a opera delle truppe di Niccolò Piccinino; questo avvenimento - unito forse al desiderio del doge di abdicare, manifestato un anno prima - suggerì qualche mutamento nella guida dello Stato e si tradusse in un rafforzamento dell'entourage ducale, proprio nella persona del F., che il 1° ott. 1434 venne chiamato a far parte del Consiglio dei dieci e qualche settimana dopo, il 18 novembre, otteneva il titolo di procuratore de citra, nonostante l'ancor giovane età.
Se è probabile che dietro così rapido successo vi siano state pressioni da parte del doge, va anche detto che il F. doveva essere uomo di valore, come dimostra il prestigio che seppe ben presto procurarsi tra coloro che reggevano la guida del governo marciano: infatti, appena scaduto il mandato di membro del Consiglio dei dieci, fu subito eletto savio del Consiglio, carica che ricoprì per un intero anno (1° ott. 1435-30 sett. 1436), senza subire la prevista contumacia semestrale. In tale veste, all'inizio del 1436 eseguì un sopralluogo - insieme col savio di Terraferma, Zaccaria Bembo - nell'alto Trevigiano, in esecuzione di un ordine del Senato che intendeva studiare la possibilità di derivare un canale dal Piave, sotto Pederobba, al fine di migliorare le cattive condizioni idriche nelle quali versava la zona prossima al Montello. La risposta dei due incaricati, confortati dal parere dei periti Carabello da Bergamo, detto Pinzin, e Ravanello, fu positiva, onde il 22 marzo 1436 la Signoria deliberava il taglio del canale denominato Brentella. Pressoché contemporaneamente (11 gennaio-15 marzo 1436), sempre con il Bembo, il F. sostenne come procuratore della Signoria le ragioni di quest'ultima nella vertenza che l'opponeva al patriarca di Aquileia, Ludovico di Teck; questi s'era appellato al concilio di Basilea, ma la Repubblica preferì rivolgersi al pontefice Eugenio IV, allora a Firenze, cui fu inviato il giureconsulto Giovan Francesco Capodilista, che riuscì a ottenere la condanna dell'azione intrapresa dal patriarca. Qualche mese dopo, il 5 maggio e il 21 luglio, la presenza del F. è documentata a Padova, dove compare in qualità di testimone al conferimento di alcune lauree.
L'anno successivo, il F. dovette occuparsi soprattutto dei propri interessi: il 20 maggio 1437 acquistava alcuni edifici nella contrada di S. Simeon Piccolo, dove risiedeva (vi aveva comperato quattro immobili già il 24 sett. 1434), e qualche giorno dopo, l'8 giugno, vendeva una grande casa "da stazio", colà situata, a Ginevra, moglie di Ostasio da Polenta, signore di Ravenna, per la cifra di 3.500 ducati. Poiché neppure cinque anni dopo (21 febbr. 1441) il Senato s'impadroniva della città romagnola, condannando il da Polenta e la sua famiglia alla relegazione prima a Treviso, poi a Candia, non è da escludere che, approfittando di tale favorevole circostanza, il F. abbia potuto rientrare in possesso della prestigiosa dimora; in ogni caso, qualche anno più tardi (1452) il doge suo fratello avrebbe completato con l'acquisto e il rifacimento dello stabile sul Canal Grande a S. Pantalon (oggi meglio conosciuto come Ca' Foscari) la concreta separazione della casata in due rami, quale sarebbe durata per secoli.
Il F. non rimase a lungo, peraltro, lontano dalla politica, anche perché il riaccendersi della guerra con Filippo Maria Visconti aveva fatto registrare una violenta offensiva del Piccinino, con gravi rovesci inflitti ai Veneziani. Entrato savio del Consiglio nell'aprile 1438, il 1° ottobre era inviato, insieme con Paolo Tron, al campo di Erasmo da Narni (detto il Gattamelata), comandante delle truppe venete. Nonostante il successo riportato da quest'ultimo a Ronato, il Piccinino, forte anche dell'appoggio del marchese di Mantova, si era portato sotto Brescia, stringendola d'assedio (3 ott. 1438), mentre il Gattamelata riusciva a condurre in salvo l'esercito nel Veronese con un'epica marcia a Nord del Garda, nel Trentino. Dietro l'incalzare degli eventi, alla fine del mese il F. e il collega rientrarono a Venezia per riferire sulle necessità delle truppe, ma di lì a poco, essendo rimasto bloccato intorno a Brescia il grosso dell'esercito visconteo, il 16 novembre il F. fu incaricato di portarsi nuovamente al campo del Gattamelata, che operava tra Verona e Legnago, "pro visitando et hortando" i reparti e per rifornirli di denaro, in compagnia di Federico Contarini. Non si trattava di una missione propriamente militare, i due non dovevano sostituirsi ai provveditori in campo, ma solo assistere il condottiero. Il 7 dic. 1438 il F. scriveva da Legnago che i Viscontei stavano per sferrare un nuovo assalto a Brescia, pertanto è probabile che anch'egli abbia allora contribuito a elaborare l'audace progetto di soccorrere la città con una flotta, attraverso il Garda. Il 2 genn. 1439 il Senato gli concedeva il rimpatrio e a Venezia lo raggiungeva una lunga e famosa lettera (riportata dal Sanuto e verosimilmente redatta da Francesco Barbaro) con la narrazione del lungo assedio sostenuto dai Bresciani.
Il 20 settembre era eletto ambasciatore a Ferrara e, l'indomani, riceveva le commissioni in base alle quali avrebbe dovuto dissuadere il marchese Niccolò d'Este dallo schierarsi con i Milanesi; ma nella gestione della trattativa due mesi più tardi (18 novembre) Ermolao Donà subentrava al Foscari. Questi era poi eletto savio del Consiglio il 1° luglio 1440, e tenne la carica ben oltre il previsto semestre, ossia fino al 31 marzo 1441; l'11 maggio era quindi nuovamente eletto, insieme con Andrea Morosini, ambasciatore presso il nuovo comandante dell'esercito, Francesco Sforza, che si trovava a Verona: la permanenza al campo del F. si protrasse per qualche settimana, sino alla metà di giugno, mentre gli animi dei contendenti inclinavano all'ormai imminente pace. Al ritorno a Venezia fu ancora chiamato a far parte dei savi del Consiglio fino a ottobre e l'incarico gli fu costantemente rinnovato per oltre un ventennio, quasi sempre nel periodo aprile-settembre. In margine a un ruolo che lo poneva tra i responsabili della politica estera dello Stato, al F. vennero saltuariamente affidate altre incombenze, soprattutto di carattere amministrativo o diplomatico, poiché dalla gestione della politica interna, monopolizzata dal Consiglio dei dieci, si trovò escluso a motivo delle note vicende che coinvolsero il nipote Jacopo.
L'8 nov. 1443 era dunque chiamato a far parte del nuovo Collegio di quindici savi alle Acque, cui sarebbe toccato ovviare ai guasti provocati alla laguna dal Brenta, che tutti ormai concordavano dovesse esser deviato: ma sui luoghi e le modalità i pareri erano difformi; i lavori della commissione si protrassero per quasi due anni e il F. si trovò in minoranza nel sostenere l'opportunità di un taglio più vicino a Mira che alla laguna.
Nel giugno 1445 fu poi incaricato, insieme con Ludovico Foscarini, di rappresentare la Repubblica nella fase finale delle annose trattative che portarono alla definizione dei rapporti con il patriarcato di Aquileia, di cui venne riconosciuto titolare il cardinale padovano Ludovico Scarampi Mezzarota.
Riaccesasi, dopo la morte di Filippo Maria Visconti, la guerra in Lombardia, il 9 nov. 1447 il F. venne eletto provveditore in campo, ma rifiutò, e altrettanto fece il 9 genn. 1448, allorché fu votato provveditore a Bergamo, dichiarandosi malato. Per molti anni non ebbe altri incarichi, tranne il saviato del Consiglio, forse anche a motivo della clamorosa vicenda che vide protagonisti il fratello doge e il suo infelice figlio. Gli toccò anzi, nell'ottobre 1457, in occasione della deposizione di Francesco, il triste compito di confortare il vegliardo nel momento di lasciare il palazzo, temperando con la sua presenza la durezza delle disposizioni impartite dai Dieci. Il 7 dicembre dello stesso anno veniva nuovamente eletto nel Collegio delle Acque, dove per quasi un biennio tornò a occuparsi dell'irrisolto problema della regolazione del Brenta; il 23 ott. 1458 fu nominato membro della zonta del Consiglio dei dieci, quindi (8 maggio 1462) divenne correttore della Promissione ducale e qualche giorno dopo fece parte degli elettori del doge Cristoforo Moro.
Il 28 febbr. 1463 lasciava per l'ultima volta la carica di savio del Consiglio, abbandonando la politica; morì a Venezia il 14 maggio 1467 e il suo ritratto fu collocato nella sala del Maggior Consiglio, fino all'incendio del 1577.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta 19: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patrizi…, III, cc. 510, 513; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3782: G. Priuli, Pretiosi frutti…, II, c. 22rv; Arch. di Stato di Venezia, Arch. Gradenigo rio Marin, b. 333: P. Gradenigo, Lavoro storico cronologico biografico sulla veneta famiglia Foscari, pp. 69 s.; Ibid., Avogaria di Comun. Balla d'oro, regg. 162, c. 72r; 163, c. 255rv; sulla proprietà immobiliare: Ibid., Corporazioni religiose. Scuola di S. Maria del Rosario, b. 29: Commissaria Girardi; Ibid., Archivio Gradenigo rio Marin, b. 340/I: Catastico Foscari, p. 4; b. 373/I: Catastico Foscari, ad Indicem; per la carriera politica: Ibid., Senato. Deliberazioni miste, regg. 58, c. 131v; 59, c. 149r; Ibid., Consiglio dei dieci. Misti, regg. 11, cc. 103v-104r; 15, c. 163r; Ibid., Senato Mar, reg. 6, c. 171r; Ibid., Senato. Deliberazioni. Secreta, regg. 12, c. 80v e passim; 13, cc. 82v e passim, 185r e passim; 14, cc. 101v e passim, 159v, 164v-165r, 176r, 226rv; 15, cc. 30r e passim, 81r-82r, 84v-85r, 89r, 118r, 154v e passim; 16, cc. 1v, 88v, 164r e passim; 17, cc. 1r e passim, 146v, 177v; 18, c. 55r e passim; 19, c. 192r e passim; 20, cc. 2r, 83r, 129r, 141r, 151r, 183r e passim; 21, cc. 9v, 44r, 118v e passim; Ibid., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VIII, c. 55v; M. Sanuto, Vitae ducum Venetorum…, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXII, Mediolani 1733, coll. 1065, 1067 s., 1069, 1164, 1170 s.; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, Venezia 1896-1901, IV, pp. 163, 176, 178, 193, 292; V, pp. 108, 142 s.; Cronaca di anonimo veronese (1446-1488), a cura di G. Soranzo, Venezia 1915, p. 332; M. Cornaro, Scritture sulla laguna, in Antichi scrittori d'idraulica veneta, I, a cura di G. Pavanello, Venezia 1919, pp. 32, 84, 89 s., 92, 96 s., 102-105; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1406 ad annum 1450…, a cura di G. Zonta - G. Brotto, Patavii 1970, I, pp. 260, 262 s., 265-269, 271 ss., 276; II, pp. 27, 35 s.; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, I, Venezia 1752, pp. 50, 262, 366; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, Venezia 1830-1853, III, p. 363; IV, p. 604; V, p. 271; VI, p. 562; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1855, p. 203; G. De Renaldis, Memorie stor. degli ultimi tre secoli del patriarcato d'Aquileia (1411-1751)…, Udine 1888, p. 121; D. Tassini, La questione storico-giuridica del patriarcato di Venezia (Aquileia), Genova 1906, pp. 158, 165; G.B. Picotti, La Dieta di Mantova e la politica de' Veneziani, Venezia 1912, pp. 1, 40, 50, 324; G. Soranzo, L'ultima campagna del Gattamelata al servizio della Repubblica veneta (luglio 1438-gennaio 1440), in Archivio veneto, s. 5, LX (1957), p. 89; A. Da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 1960, ad Ind.; Storia di Brescia, Brescia 1963-1964, II, p. 43; III, p. 1109; A. Tenenti, La rappresentazione del potere, in I dogi, a cura di G. Benzoni, Milano 1982, p. 73; Carte Foscari sull'Arena di Padova. La "Casa grande" e la cappella degli Scrovegni, a cura di E. Bordignon Favero, Venezia 1988, pp. 33 s., 82 s., 96; G. Ortalli, Cronisti e storici del Quattrocento e del Cinquecento, in Storia di Vicenza. III, 1, L'età della Repubblica veneta (1404-1797), a cura di F. Barbieri - P. Preto, Vicenza 1989, p. 371; P. Litta, Le famiglie celebri ital., s.v., tav. I; Diz. biogr. degli Italiani, VIII, p. 153.